Debito pubblico oltre i due mila miliardi (record assoluto per Monti). Oltre 33 mila euro a testa di rosso per tutti gli italiani, dagli anziani ai neonati. In un anno oltre 90 miliardi di euro di debiti accumulati e due punti percentuali in più (dall’8,8 al 10,8%) di disoccupazione. Non solo: ben 43 volte l’esecutivo è ricorso al voto di fiducia (in media quattro ogni mese, roba che nemmeno B.) e, nonostante questo, su 482 decreti attuativi necessari per rendere operative le norme fino ad ora approvate, sono ferme al palo 392. Ecco gli incredibili numeri del disastro tecnico targato Mario Monti. A poco più di un anno dal suo insediamento, all’indomani delle manifestazioni andate in scena in tutta Italia (ed Europa) contro la politica di austerity di questi mesi e contro i cosiddetti governi dei banchieri, non è affatto un bilancio felice. Checché ne dicano i sostenitori di un Monti-bis.
di Carmine Gazzanni
Probabilmente quando in televisione Elsa Fornero avrà visto le scene degli scontri di ieri (che nessuno qui giustifica. La questione è un’altra), avrà pensato alle centinaia di migliaia di giovani scesi in piazza. Tutti choosy, ovviamente. Perdigiorno. Quasi un peso per la ripresa economica. Probabilmente anche molti degli altri ministri – a cominciare da Mario Monti – avranno avuto lo stesso pensiero. Si saranno domandati: cosa dovremmo fare? Stiamo lavorando per il bene del Paese e nemmeno vi va bene? Avranno pensato: “Ciò che è necessario va fatto comunque”, come ha detto ieri Angela Merkel di fronte ai tafferugli andati in scena nel suo Paese.
Peccato, però, che questo ipotetico “necessario” non sia utile. Perlomeno non è utile per il bene del popolo. Facili accuse? Assolutamente no. Pura e semplice verità. La questione, infatti, è che, a poco più di un anno dall’insediamento del governo Monti, se volessimo fare un bilancio, questo non sarebbe affatto positivo dato che l’Italia è sprofondata in una situazione decisamente peggiore alla precedente. E le responsabilità, ovviamente, non sono che imputabili alle scelte scellerate dell’esecutivo. Un vero e proprio disastro tecnico, insomma.
Ed è paradossale: a condannare il governo dei tecnici, dei professori e dei banchieri sono proprio quei dati e quei numeri a cui loro, molto spesso, hanno fatto affidamento. Cominciamo dal più sconvolgente: 1.995,1. Sono i miliardi di euro di debito pubblico italiano relativi a settembre e resi noti ufficialmente due giorni fa da un rapporto di Bankitalia. Non solo. Secondo stime ufficiose nel mese appena trascorso di ottobre sarebbe stato sfondato anche il muro dei due mila miliardi di euro. Un debito pubblico pauroso che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è affatto diminuito da un anno a questa parte. Ma anzi è aumentato di ben 90 miliardi (per la precisione 88,4 miliardi). In media 9,8 miliardi in più ogni mese. Cifre assurde, insomma. E lo sono ancora di più se facciamo un calcolo pro capite. Ad oggi ogni cittadino italiano – dall’anziano fino al bambino nato da un minuto – deve sopportare sul suo groppone un debito di circa 33 mila euro a testa.
Anche se ragioniamo percentualmente il discorso non cambia. Anzi, la questione diventa ancora più critica. Nel rapporto di Bankitalia, infatti, si mette a confronto il debito anche con il Pil. Se a fine 2011 il rapporto debito/Pil era del 120,1%, ora è del 126,1%. Un aumento di sei punti percentuali. Il perché è facilmente intuibile: se tassi blocchi l’economia, la produzione ne risente e il Pil scende.
Ma i numeri che sentenziano il fallimento della politica economica di Mario Monti sono anche altri. Secondo gli ultimi dati Eurostat, ad esempio, anche il tasso di disoccupazione è aumentato: nel settembre 2011 era al 8,8%; oggi è salito di due punti percentuali (10,8%).
Come se non bastasse, anche la partecipazione democratica è messa pesantemente a dura prova dall’esecutivo di Mario Monti. Anche a tal proposito, dunque, è innegabile il fallimento del governo dei tecnici, che è ricorso al voto di fiducia un numero incredibile di volte: ben 43 dl o ddl infatti hanno visto la loro approvazione tramite questo meccanismo. Una frequenza impressionante di voti di fiducia che ha annullato l’istituzione parlamentare. Un Parlamento che, nei fatti, è diventato inutile perché spogliato delle sue prerogative, chiamato solo ad un voto che non ha altra funzione se non quella di legittimare una situazione che ormai si è impiantata da dodici mesi a questa parte: è l’esecutivo a decidere, in autonomia. Non è possibile modificare alcunché, cambiare una virgola o togliere un punto. Nulla di nulla.
E questo, come detto, si è avuto ben 43 volte. Nemmeno Silvio Berlusconi era arrivato a tanto. Il Cavaliere, infatti, dal 2008 fino alla sua caduta è arrivato a quota 52: poco più di uno ogni mese di governo (43 mesi è durato l’esecutivo targato B). Una cifra assolutamente elevata. Basti pensare che il Berlusconi II – quello per intenderci che è arrivato alla scadenza naturale della sua legislatura – in cinque anni era arrivato a 31. Ebbene, Monti l’ha superato e non di poco: in dodici mesi è arrivato a 43. Il calcolo è agevole: quasi quattro voti di fiducia ogni mese.
Ma allora facciamoci un’altra domanda: il ricorso smodato al voto di fiducia perlomeno avrà portato a cambiamenti importanti nella vita economica, politica e sociale italiana? Niente affatto. Secondo gli ultimi dati de Il Sole 24 Ore l’attuazione delle varie norme approvate dall’esecutivo è ferma al 18,7%. In numeri: di 482 decreti attuativi necessari per rendere operative le norme approvate da dicembre scorso, ne mancano ancora 392. Di questi 218 sono in itinere (nel senso che gli uffici legislativi hanno cominciato a lavorare alla loro stesura), mentre ben 174 sono fermi al palo. Come se mai nessuno avesse approvato quelle norme. Il tanto blaterato cambiamento avuto da quando si è insediato Monti, insomma, è soltanto una favola (o una barzelletta?).
Ma andiamo più nello specifico. In particolare al decreto Salva Italia, primo provvedimento dell’esecutivo, mancano ancora 55 decreti attuativi su 90 norme totali, sebbene sia diventato legge il 22 dicembre 2011. Al Cresci Italia ne mancano 45 su 61, al Dl Semplificazione 47 su 49, al Dl Semplificazione fiscale 47 su 53.
Curioso il caso anche della spending review. Su 124 decreti previsti, solo 8 sono stati già presi. Ne mancano all’appello 111. Infine la tanto discussa riforma del lavoro: 27 norme che richiedono decreti attuativi. Ma ancora se ne attendono ben 23.
Da qualunque parti li si guardi, dunque, i numeri condannano senza appello l’operato del governo Monti. Ma allora perché – di grazia – si continua a parlare di Monti-bis?
Fonte:Infiltrato.it
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