lunedì 30 aprile 2012

Il Primo maggio: storia e significato di una ricorrenza



Origini del Primo maggio
Tra Ottocento e Novecento
Il Ventennio fascista
Dal dopoguerra a oggi

























Origini del Primo maggio 
Il 1° maggio nasce il 20 luglio 1889, a Parigi. A lanciare l'idea è il congresso della Seconda Internazionale, riunito in quei giorni nella capitale francese :
"Una grande manifestazione sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare ad effetto le altre risoluzioni del Congresso di Parigi".
Poi, quando si passa a decidere sulla data, la scelta cade sul 1 maggio. Una scelta simbolica: tre anni prima infatti, il 1 maggio 1886, una grande manifestazione operaia svoltasi a Chicago, era stata repressa nel sangue. 

Man mano che ci si avvicina al 1 maggio 1890 le organizzazioni dei lavoratori intensificano l'opera di sensibilizzazione sul significato di quell'appuntamento.

"Lavoratori - si legge in un volantino diffuso a Napoli il 20 aprile 1890 - ricordatevi il 1 maggio di far festa. In quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte e conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto a chi lavora. Viva la rivoluzione sociale! Viva l'Internazionale!".
Monta intanto un clima di tensione, alimentato da voci allarmistiche: la stampa conservatrice interpreta le paure della borghesia, consiglia a tutti di starsene tappati in casa, di fare provviste, perché non si sa quali gravi sconvolgimenti potranno accadere.

Da parte loro i governi, più o meno liberali o autoritari, allertano gli apparati repressivi.
In Italia il governo di Francesco Crispi usa la mano pesante, attuando drastiche misure di prevenzione e vietando qualsiasi manifestazione pubblica sia per la giornata del 1 maggio che per la domenica successiva, 4 maggio.

In diverse località, per incoraggiare la partecipazione del maggior numero di lavoratori, si è infatti deciso di far slittare la manifestazione alla giornata festiva.

Del resto si tratta di una scommessa dall'esito quanto mai incerto: la mancanza di un unico centro coordinatore a livello nazionale - il Partito socialista e la Confederazione generale del lavoro sono di là da venire - rappresenta un grave handicap dal punto di vista organizzativo. Non si sa poi in che misura i lavoratori saranno disposti a scendere in piazza per rivendicare un obiettivo, quello delle otto ore, considerato prematuro da gran parte dei dirigenti del movimento operaio italiano o per testimoniare semplicemente una solidarietà internazionale di classe.

Proprio per questo la riuscita del 1 maggio 1890 costituisce una felice sorpresa, un salto di qualità del movimento dei lavoratori,che per la prima volta dà vita ad una mobilitazione su scala nazionale, per di più collegata ad un'iniziativa di carattere internazionale.

In numerosi centri, grandi e piccoli, si svolgono manifestazioni, che fanno registrare quasi ovunque una vasta partecipazione di lavoratori. Un episodio significativo accade a Voghera, dove gli operai, costretti a recarsi al lavoro, ci vanno vestiti a festa.
"La manifestazione del 1 maggio - commenta a caldo Antonio Labriola - ha in ogni caso superato di molto tutte le speranze riposte in essa da socialisti e da operai progrediti. Ancora pochi giorni innanzi, la opinione di molti socialisti, che operano con la parola e con lo scritto, era alquanto pessimista".
Anche negli altri paesi il 1 maggio ha un'ottima riuscita:
"Il proletariato d'Europa e d'America - afferma compiaciuto Fiedrich Engels - passa in rivista le sue forze mobilitate per la prima volta come un solo esercito. E lo spettacolo di questa giornata aprirà gli occhi ai capitalisti".
Visto il successo di quella che avrebbe dovuto essere una rappresentazione unica, viene deciso di replicarla per l'anno successivo. 
Il 1 maggio 1891 conferma la straordinaria presa di quell'appuntamento e induce la Seconda Internazionale a rendere permanente quella che, da lì in avanti, dovrà essere la "festa dei lavoratori di tutti i paesi".
 





Tra Ottocento e Novecento
Inizia così la tradizione del 1 maggio, un appuntamento al quale il movimento dei lavoratori si prepara con sempre minore improvvisazione e maggiore consapevolezza. L'obiettivo originario delle otto ore viene messo da parte e lascia il posto ad altre rivendicazioni politiche e sociali considerate più impellenti. La protesta per le condizioni di miseria delle masse lavoratrici anima le manifestazioni di fine Ottocento.

Il 1 maggio 1898 coincide con la fase più acuta dei "moti per il pane", che investono tutta Italia e hanno il loro tragico epilogo a Milano. Nei primi anni del Novecento il 1 maggio si caratterizza anche per la rivendicazione del suffraggio universale e poi per la protesta contro l'impresa libica e contro la partecipazione dell'Italia alla guerra mondiale.

Si discute intanto sul significato di questa ricorrenza: giorno di festa, di svago e di divertimento oppure di mobilitazione e di lotta ?

Un binomio, questo di festa e lotta, che accompagna la celebrazione del 1 maggio nella sua evoluzione più che secolare, dividendo i fautori dell'una e dell'altra caratterizzazione.

Qualcuno ha inteso conciliare gli opposti, definendola una "festa ribelle", ma nei fatti il 1 maggio è l'una e l'altra cosa insieme, a seconda delle circostanze più lotta o più festa.

Il 1 maggio 1919 i metallurgici e altre categorie di lavoratori possono festeggiare il conseguimento dell'obiettivo originario della ricorrenza: le otto ore.
 






Il ventennio fascista
Nel volgere di due anni però la situazione muta radicalmente: Mussolini arriva al potere e proibisce la celebrazione del 1 maggio.

Durante il fascismo la festa del lavoro viene spostata al 21 aprile, giorno del cosiddetto Natale di Roma; così snaturata, essa non dice più niente ai lavoratori, mentre il 1 maggio assume una connotazione quanto mai "sovversiva", divenendo occasione per esprimere in forme diverse - dal garofano rosso all'occhiello alle scritte sui muri, dalla diffusione di volantini alle bevute in osteria - l'opposizione al regime.
 




Dal dopoguerra a oggi
All'indomani della Liberazione, il 1 maggio 1945, partigiani e lavoratori, anziani militanti e giovani che non hanno memoria della festa del lavoro, si ritrovano insieme nelle piazze d'Italia in un clima di entusiasmo.

Appena due anni dopo il 1 maggio è segnato dalla strage di Portella della Ginestra, dove gli uomini del bandito Giuliano fanno fuoco contro i lavoratori che assistono al comizio.

Nel 1948 le piazze diventano lo scenario della profonda spaccatura che, di lì a poco, porterà alla scissione sindacale. Bisognerà attendere il 1970 per vedere di nuovo i lavoratori di ogni tendenza politica celebrare uniti la loro festa.

Le trasformazioni sociali, il mutamento delle abitudini ed anche il fatto che al movimento dei lavoratori si offrono altre occasioni per far sentire la propria presenza, hanno portato al progressivo abbandono delle tradizionali forme di celebrazione del 1 maggio.

Oggi un'unica grande manifestazione unitaria esaurisce il momento politico, mentre il concerto rock che da qualche anno Cgil, Cisl e Uil organizzano per i giovani sembra aderire perfettamente allo spirito del 1 maggio, come lo aveva colto nel lontano 1903 Ettore Ciccotti:
"Un giorno di riposo diventa naturalmente un giorno di festa, l'interruzione volontaria del lavoro cerca la sua corrispondenza in una festa de'sensi; e un'accolta di gente, chiamata ad acquistare la coscienza delle proprie forze, a gioire delle prospettive dell'avvenire, naturalmente è portata a quell'esuberanza di sentimento e a quel bisogno di gioire, che è causa ed effetto al tempo stesso di una festa".
fonte: Cgil di Roma e del Lazio - Archivio Storico  "Manuela Mezzelani"

Fenici, etruschi, cartaginesi hanno brillato e sono scomparsi: anche noi italiani siamo giunti al capolinea?



di Marco Lodoli
Gabriele, uno degli studenti più sensibili, un ragazzo che ragiona e a volte si preoccupa anche troppo per il futuro, a ricreazione mi si avvicina e mi fa questo discorso: “Professore, ma gli Hittiti, che fine hanno fatto? E i Fenici, gli Etruschi, i Cartaginesi, i Medi, e tanti altri popoli dell’antichità? Hanno avuto la loro parabola, giusto?, da poco che erano sono diventati tanto, i loro villaggi sono diventati città, si sono espansi, hanno conquistato terre, e poi è iniziato il declino, cinquant’anni, cento anni, duecento anni di tramonto, hanno perso battaglie e guerre, si sono ridimensionati, sono arretrati, e alla fine sono scomparsi. Più o meno è andata così, vero professore? Erano potenti, poi erano impotenti, e poi si sono arresi al flusso della Storia che li ha sommersi. Ogni popolo a modo suo, ognuno per cause e ragioni diverse, però la sostanza è questa: chi dominava è stato dominato, chi trionfava è finito nella polvere, è diventato polvere, un capitolo del libro di Storia.
Il tempo è generoso e crudele, sviluppa e poi castiga, tutto procede obbedendo alla legge dell’energia. Quando l’energia è abbondante, il popolo cresce, quando declina non c’è più niente da fare, non si può trasfondere energia in un vecchio o in un popolo arrivato nei pressi del capolinea. Lo dice anche quella poesia di Leopardi che abbiamo letto in classe: “Or dov’è il suono/ di quei popoli antichi? Or dov’è il grido/ de’ nostri avi famosi, e il grande impero/ di quella Roma, e l’armi, e il fragorio/ che n’andò per la terra e l’oceano?/ Tutto è pace e silenzio, e tutto posa/ il mondo, e più di lor non si ragiona.
” E allora, professore, la grande domanda è questa: forse anche noi italiani siamo giunti verso la fine del nostro ciclo? Forse non abbiamo più la forza per immaginare un futuro, e nemmeno la crudeltà che serve per realizzarlo, ci siamo seduti su un divano a dondolo, ci siamo viziati, ci siamo indeboliti quasi senza accorgercene e ora non siamo più in grado di reagire alla sfida del tempo. Arretriamo e gli altri avanzano. Non facciamo più figli, non sappiamo più soffrire, non abbiamo più illusioni e pensieri potenti, ci trasciniamo nella rassegnazione, che è l’anticamera del crollo. Magari mi sbaglio, professore, magari siamo ancora pronti a reagire, a combattere, magari ci basta un sussulto di paura per rimetterci in movimento, ma certo la mia impressione è che l’arco si stia compiendo. Lei che ne dice, professore? Tra cento anni esisteremo ancora oppure tutto sarà cambiato, e noi saremo solo i rimasugli di un passato illustre e defunto?"

"Tra cento anni si parlerà degli italiani nei libri di Storia, come dei Fenici e degli Etruschi, altri studieranno la nostra cultura straordinaria, quello che ha insegnato al mondi intero e poi come si è spenta, come una candela che illumina e poi si scioglie e si spegne perché la cera è finita? Lei che ne pensa, professore, sono troppo pessimista oppure la verità è questa e non c’è niente da fare, quando la spinta vitale si offusca nulla può farla risorgere?”
Fonte:Tiscali.it
 

I bilanci falsi delle banche

C’è da sottolineare una cosa riguardo alla riforma del sistema bancario...La sovranità della gestione della moneta è una cosa giusta...ma è solo un aspetto, seppur il primo per importanza, della questione monetaria cioè...il potere monetario oggigiorno non è solo della Banca Centrale, ma anche e soprattutto delle banche private attraverso il coefficiente di riserva frazionale.
I veri banchieri, quelli che fanno i soldi, sono quelli delle banche private; la BC (Bankitalia) - o la BCE (Banca Centrale Europea) - è solo lo strumento di copertura che i banchieri privati, per giunta azionisti di Bankitalia, utilizzano per proteggersi. Quindi Sovranità Monetaria significa…ridare completamente al Popolo, attraverso dei loro rappresentanti, il potere di creare e gestire la massa monetaria e questo significa rendere la moneta al 100% reale cioè tutta la moneta in circolazione deve essere in pezzi di metallo e carta, al 100% fisica e quindi controllata al 100% dallo Stato.
Per far ciò è necessario quindi non solo ridare allo Stato il potere di creare e gestire la questione monetaria, ma anche emanare leggi che obblighino le banche private (che possono continuare a fare un lavoro di vera intermediazione) ad una riserva del 100% e reale cioè...se ho 100 di depositi, non solo non posso prestare più di 100 ( a meno che non sia capitale della banca stessa che ha in cassa) ma quei 100 di depositi non possono essere utilizzati dal depositante finché sono in banca; dovrebbero cioè essere vincolati, invece oggi in buona parte non lo sono e come conseguenza vi è un'ulteriore creazione di denaro dal nulla, oltre a quello già creato dal nulla attraverso la riserva frazionale, da parte delle banche private.
Oggigiorno inoltre, nell'UE; la riserva obbligatoria è oramai inesistente:
0% per depositi e titoli con scadenza maggiore di 2 anni
2% per depositi con scadenza inferiore ai due anni
2% che è per di più, dall'inizio degli anni novanta, "mobilitabile" cioè non è un vero 2%, ma lo deve essere in media nell'arco del mese, in sostanza, quindi, le banche private hanno "carta bianca" oggigiorno; l'unico vincolo è di bilancio...ma i bilanci delle banche private sono controllati solo da Bankitalia.
Per far quadrare il bilancio, poichè in realtà le banche hanno molte più attività delle passività cioè hanno molti più crediti (prestiti, investimenti) che debiti (depositi) devono in qualche modo far quadrare il bilancio.
In sostanza, si fanno falsi bilanci, che nessuno può controllare al di fuori di Bankitalia, quale Istituto di Vigilanza. E’ come se le stesse banche private controllassero i loro stessi bilanci.
D’altra parte al giorno d'oggi, con il computer ed il trasferimento in un attimo di denaro via etere non è facile controllare tutto. Comunque di solito le banche private non sfruttano al massimo la potenziale libertà che hanno perché non vogliono rischiare di fallire per insolvenza e fare una figuraccia quindi si autocontrollano in un certo senso ma comunque creano molto denaro dal nulla lo stesso.
Ad esempio, una banca che ha in passività 100 di depositi, per far quadrare i conti di bilancio può comunque creare attività per un ammontare simile non dando così nell'occhio ma in realtà crea quella moneta dal nulla, dato che i 100 di depositi sono per lo più disponibili per i depositanti. Per esempio, sappiamo che le banche private creano quindi in questo modo denaro dal nulla. Giusto? Bene..allora..immaginiamo un bilancio di una banca..l'utile, inserito nel passivo, sarà la differenza tra l'attivo ed il passivo, aggiunto del capitale sociale e riserve (per semplificare).
Ora, poniamoci questa domanda: nel bilancio, il capitale più interessi che la banca privata crea dal nulla, e che poi gli viene restituito dove finisce? Non sono soldi che la banca incassa, cioè il capitale, che poi viene restituito con interessi, quando torna indietro capitale + interessi alla banca..nel bilancio, dove finiscono quelle cifre?  Se ci pensiamo la banca segna in attivo i crediti (cioè denaro momentaneamente prestato) ed in passivo i debiti (depositi) ed il denaro che è stato prestato e che è tornato indietro con gli interessi, dove risulta in bilancio? Ebbene, non c'è...la banca crea dei fondi nascosti che non risultano dal bilancio.
Per quanto riguarda Bankitalia il denaro che essa presta allo Stato è registrato nel passivo, ma quando quella quota prestata torna indietro con gli interessi tutti quei soldi dove vanno a finire? Dovrebbero essere nell’attivo...ma ciò non farebbe quadrare i conti.
I conti in un tale sistema non possono quadrare, perché c'è una quantità di numeri (denaro) che è creato dal nulla e che non fa parte del bilancio. Tutti quei soldi potrebbero essere conteggiati tra gli utili, in passivo, ma vedere cifre così enormi di utili creerebbe sospetto e soprattutto, non farebbe quadrare i conti. Quei soldi vanno a finire in fondi nascosti che non risultano da bilancio e poi quei soldi verranno divisi tra gli azionisti e serviranno anche a comprare il silenzio di chi sa.
Forse Bankitalia, gli interessi che paga lo Stato li segna in bilancio… bisognerebbe esaminare il suo bilancio. Quindi possiamo dire che in sostanza i soldi che le banche creano dal NULLA, finiscono nel NULLA, cioè nelle tasche degli azionisti e dei loro affiliati.
In sintesi, riflettiamo su: depositi, crediti (soldi prestati dalla banca, capitale) e crediti restituiti (capitale + interessi); guardiamo un bilancio e vediamo se li troviamo segnati da qualche parte; il trucco contabile sta nel detrarli dai crediti in bilancio...ma nella realtà, al di là del bilancio, dove vanno a finire?
Per esempio: presto 100...me ne tornano 80...quindi ora ho 20 di crediti...ma quegli 80 che mi tornano dove finiscono? In bilancio risulta 20 di crediti...ma nella pratica dove sono? Ricordiamoci sempre che quei 100 prestati sono creati dal nulla...quindi gli 80 che ritornano sono puliti...salvo interessi da pagare ai depositanti, che oggi sono ridicoli.
di Gianfranco Venturi
Fonte:Disinformazione.it

domenica 29 aprile 2012

MONTI, IMU, DISASTRO IMMOBILIARE


Il Censis stima che l’IMU produca una perdita di valore degli immobili italiani tra il 20 e il 50%, cioè tra 800 e 2.000 miliardi di Euro, stimando 4.000 il patrimonio ante IMU. E’ come se una serie di bombardamenti avesse distrutto un edificio e un terreno su tre.
Quindi Monti, ha fatto un danno di circa 1.500 miliardi al patrimonio privato e pubblico del paese, per incassarne 47.
Ha fatto un danno di 2/3 del debito pubblico, senza ridurre il debito pubblico, ma aggravandolo e peggiorando il rapporto tra valore dei risparmi e debito pubblico e privato.
Ha colpito in tal modo l’unico punto forte della situazione finanziaria italiana: il buon rapporto tra debito (pubblico e privato) e patrimonio (pubblico e privato). Davvero un genio dell’economia! Non basta la nomina a Senatore a Vita per alti meriti verso la patria. Merita  un premio Nobel.
 Il danno così cagionato da Monti e da chi lo sostiene non sta solo nella perdita di ricchezza nazionale, perché la svalutazione degli immobili ha ben altri effetti:

 1)rende più difficile e meno fruttuosa la via di ridurre il debito pubblico vendendo il patrimonio immobiliare dello Stato;

 2)taglia il valore delle garanzie immobiliari date da imprese e cittadini alle banche, quindi taglia il credito  e l’attività economica;

 3)deprime il mercato immobiliare, già depresso da circa cinque anni;

 4)fa chiudere i cantieri delle costruzioni in corso, per la ragione al punto 2) e al punto 3);

 5)fa chiudere o fallire molte imprese edili, con ricadute negative (insolvenze, cessazione degli ordinativi) sull’indotto e sull’occupazione, quindi anche sugli ammortizzatori sociali;

 6)moltiplica la recessione e la rende irreversibile, perché le recessioni e le riprese dei sistemi economici sono guidate e sostenute dal settore delle costruzioni, come ultimamente vediamo nel caso del Regno Unito.

 Possiamo facilmente immaginare che cosa sarebbe successo, che so, a Sarkozy, se avesse fatto una cosa simile alla Francia. Gli italiani, diversamente dai francesi, sono un popolo-materasso. Monti ha coalizzato intorno a sé le forze del privilegio e delle rendite – partiti, banchieri, monopolisti, grandi burocrati strapagati – per portare avanti una politica senza investimenti e senza rinnovamento e senza crescita, di sola recessione, tassazione, disoccupazione e pagamento di interessi agli stranieri e di sostegno alla speculazione bancaria.
 Ma a chi può giovare questa politica anti-italiana? Solo a un ceto bancario che vuole il paese ridotto in miseria e alla disperazione per far incetta delle sue ricchezze reali prezzi stracciati e approfittare del bisogno della gente per imporre tagli di diritti e ulteriore sottomissione al capitale di sfruttamento straniero. Solo a un disegno di sottomissione dell’Italia e di altri paesi europei al capitalismo soprattutto tedesco, e di loro riduzione a un ruolo servile di subcontinente europeo, di serbatoio di lavoro a basso costo e bassa qualificazione, a un mercato di sfogo per prodotti di basso prezzo e bassa qualità. La riforma Fornero, in diversi sensi, ne è un assaggio concreto.
E se leggete l’ultimo libro di Nino Galloni, Chi ha tradito l’economia italiana?, avrete la storia, ben documentata, di come gli interessi economici stranieri, sin dagli anni ’60, si sono ingeriti nella politica italiana per bloccare la crescita della nostra economia, il risanamento delle nostre finanze, anzi per sabotarle e porre l’Italia in condizioni di dipendenza.
 Monti può essere in buona fede – non conosco il suo animo, non posso condannarlo– ma di fatto agisce come un Nemico a tutti gli effetti. Se si vuole sopravvivergli, bisogna considerarlo per quello che è e fa, assieme alle forze e ai partiti collaborazionisti, che lo sostengono e lo votano per interesse. Il suo governo sta facendo più danni materiali della precedente occupazione tedesca, quella di cui si festeggiava e ieri la ricorrenza della fine; e, suicidio dopo suicidio, rischia di fare anche altrettante vittime di quella, se lo si lascia andare avanti.

 Alle elezioni amministrative, non votate per i collaborazionisti.

Marco Della Luna
Fonte: http://marcodellaluna.info

L’antipolitica è al governo: i partiti ricattano gli italiani


Nella manifestazione che ha visto migliaia di lavoratori bresciani farsi alcuni chilometri di corteo per poi giungere a presidiare l’autostrada, era comune il sentimento di rabbia e indignazione contro i principali partiti. Ma come, gridavano i lavoratori, questi ci hanno portato via le pensioni, il contratto nazionale, ora vogliono cancellare l’articolo 18, ci riempiono di tasse, tagliano i servizi e poi ci chiedono i soldi per sostenerli? Trovo ridicole le affermazioni del segretario del Partito democratico, che con il suo solito tono televisivo dice “attenzione o cadiamo tutti”. Forse non ha capito che in mezzo alla gente che soffre e che lotta questa non è una minaccia ma una speranza, un augurio.
E’ inutile continuare a blaterare della funzione dei partiti, quando i principali partiti italiani, guidati dalla sigla Abc (Alfano, Bersani, Casini) – che ha Giorgio Cremaschisoppiantato il Caf (Craxi, Andreotti, Forlani), che portò alla rovina la prima repubblica –, continuano semplicemente a subire i dettati delle banche e della finanza internazionale, mentre litigano tra di loro su come spartirsi il sottopotere rimasto. E’ fastidioso che si continui a spiegare che il finanziamento pubblico ai partiti garantisce dal potere delle lobby, quando in pieno finanziamento pubblico il capo del governo è stato l’uomo più ricco d’Italia. E’ insopportabile che si lamenti la crisi della democrazia quando il Parlamento di nominati dai segretari dei partiti sta cambiando tranquillamente la nostra Costituzione, imponendo alle generazioni future un obbligo di bilancio in pareggio che, non a caso, i padri costituenti del ’48 avevano ignorato.
La crisi dei partiti è sicuramente in campo e non saranno i soldi pubblici a salvarla. La verità è che partiti deboli e privi di reale identità, sono stati costretti a rinunciare al loro ruolo fondamentale, quello dell’organizzazione delle volontà dei cittadini, perché sulle questioni di fondo decidono il mercato, le banche, i poteri forti. Nella manifestazione di Brescia, come in altre manifestazioni oggi in corso in Italia, si faceva notare che negli stabilimenti Fiat in questi giorni si sta votando per eleggere le rappresentanze da cui sono preventivamente esclusi tutti i sindacati che non sono d’accordo con Marchionne. Come fare elezioni politiche generali a cui Alfano, Bersani e Casinipossano partecipare solo coloro che stanno con Monti. Eppure, dal Partito democratico non è venuta una parola su questa farsa, mentre si chiedono i soldi ai cittadini per rafforzare la democrazia.
La situazione economica del paese precipita e gli allarmi sono sull’antipolitica. Diciamoci la verità: l’antipolitica è frutto dell’ABC e di questi due schieramenti di governo, centrodestra e centrosinistra, che per vent’anni sono stati in rissa perenne tra di loro, essendo poi d’accordo su tutte le questioni economiche e sociali fondamentali. L’antipolitica è proprio costituita da coloro che oggi ci governano, la politica potrà essere ricostruita solo senza e contro di essi. Ricostruiamo la politica, mandiamoli a casa.
(Giorgio Cremaschi, “L’Abc dell’antipolitica”, da “Micromega” del 17 aprile 2012).
Fonte:Libre/associazione di idee

sabato 28 aprile 2012

75 anni fa moriva Gramsci

Il 27 aprile 1937 moriva a Roma,dopo essere stato recluso per circa 10 anni nelle prigioni fasciste ed aver trascorso gli ultimi 3 anni tra regime di semi libertà e cliniche,una delle figure più importanti dell'Italia contemporanea stimata ed apprezzata in tutto il mondo.
I suoi testi sono stati tradotti in molte lingue e sono presenti nelle biblioteche universitarie di tutto il mondo.
Antonio Gramsci era un filosofo,un critico letterario ed un giornalista,ma soprattutto un uomo che ha fatto dell'impegno civile la sua ragione di vita,che ha lottato senza mai chinare il capo ed ha pagato di persona per le sue idee.
Soprattutto in questo momento storico che stiamo vivendo, è opportuno soffermarci sulle sue parole che ci invitano a riflettere sull'indifferenza civile,sempre più dilagante:“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita”.
Infatti le cose non accadono solo per colpa di una ristretta minoranza,ma perchè la massa indifferente,assenteista, passiva ed abulica lascia che accadano,permettendo che vadano al potere persone indegne,salvo poi lamentarsi continuamente.
Ma se ognuno di noi facesse il proprio dovere e se avesse fatto valere la propria volontà ,senza ricorrere a  scappatoie e/o a scorciatoie e/o a favoritismi, tutto questo sarebbe successo?Vivremmo forse in un paese così corrotto ed anti meritocratico?
Non si può piagnucolare o protestare se non si è fatto niente per cambiare il sistema e neppure se si è parte integrante di esso.
Coloro che non prendono parte(ovvero non parteggiano)e che stanno alla finestra a guardare i pochi che si sacrificano,sono corresponsabili e complici delle ingiustizie e dei mali che criticano,quindi per dirla con Gramsci non sono e non fanno i cittadini!
Mi sembra opportuno a tal proposito concludere con questo significativo invito ai giovani a formare le proprie coscienze da cittadini responsabili ed attivi:
“Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza”.(da L'Ordine Nuovo,anno I, 1 Maggio 1919)

giovedì 26 aprile 2012

Le 400 nuove auto blu di Monti



UPDATE ORE 15.30: "GOVERNO: NON COMPREREMO NUOVE AUTO BLU"
Il Governo non acquisterà le nuove auto blu nel 2012 e auspica, per le amministrazioni territoriali, l'adozione di un'analoga impostazione. È quanto afferma Palazzo Chigi in una nota nella quale si precisa che il bando di gara della Consip sulle auto blu "non determina automaticamente l'acquisto di nuove autovetture".
Forse c'eravamo illusi a inizio anno, quando Super Mario presentò un decreto urgente al fine di ridurre drasticamente l'uso delle auto blu per tagliare i costi della politica.
E' notizia recente infatti l'acquisto di 400 nuove vetture destinate alla Pubblica Amministrazione. Non è un'ipotesi: il bando di gara è scaduto l'8 marzo scorso e l'acquisto da parte dello Stato è già in fase avanzata.
Il Governo giustifica la spesa di quasi 10 milioni di euro con la necessità di adeguare il parco macchine alle nuove direttive. Le nuove vetture "politiche" non devono superare i 1600cc di cilindrata. Ma per quelle attualmente in servizio non è prevista dismissione, e sono tante. 60mila per esser precisi: 10mila auto blu di alta fascia, per ministri e alti dirigenti, e altre 50mila auto di servizio, che ci costano complessivamente quasi 2 miliardi di euro l'anno.
La reazione politica più veemente arriva da Tonino Di Pietro: "È da mesi che continuiamo a chiedere al governo di spiegare l'acquisto di nuove auto blu. Abbiamo depositato diverse interrogazioni, a mia firma e a firma dell'on. Borghesi, per avere immediati chiarimenti su questa vicenda che è in palese contrasto con il contenimento dei costi della politica e della spesa pubblica".
"L'esecutivo- prosegue il leader dell'IdV - spudoratamente, ha dato una risposta burocratica. È assurdo, infatti, che per giustificare una spesa di 10 milioni di euro il governo abbia risposto che ne servono altre perchè le auto di servizio non devono superare i 1600 cc di cilindrata. Ma nessuno vieta di continuare ad utilizzare le vecchie macchine fino al loro esaurimento. È uno schiaffo nei confronti degli italiani e uno spreco inutile di risorse pubbliche. In un periodo di crisi come questo, in cui si chiedono sacrifici enormi ai cittadini, è grave che l'esecutivo spenda in un modo così dissennato i soldi degli italiani per i propri comodi.
Come al solito - ha concluso Di Pietro - il governo predica bene e razzola male: sin dal primo giorno ha promesso tagli alla casta, agli sprechi, ma ad oggi gli unici a pagare questa crisi sono stati i lavoratori, i pensionati e i giovani" [...] "Il governo faccia un passo indietro nel rispetto delle istituzioni e di quei cittadini che portano sulle spalle tutto il peso delle misure varate da questo esecutivo"
Fonte: Politica.excite.it 

Italiani globishizzati

    Non sono un sostenitore delle famose tre “I” (impresa, informatica, inglese), che qualche anno fa ci furono spacciate come la condizione indispensabile della via al successo (economico, naturalmente). Ritengo anzi che vengano prima altre lettere di molte altre parole che dovrebbero avere la precedenza: la “C” di “cultura”, la “S” di “solidarietà” e di “sociale”, la “R” di “rispetto”, eccetera. Ma, tralasciando questo discorso, che ci porterebbe lontano, mi vorrei soffermare su quella terza “I”, quella dell’inglese, che dovrebbe spianarci la via al successo.
    Premetto che ritengo giusto che si impari l’inglese, esattamente come è giusto che si imparino altre lingue. Ma quell’inglese che si va diffondendo in funzione di lingua internazionale è una lingua ben lontana da quella di Shakespeare, di Milton, di Eliot, di Joyce e di tutti gli altri grandi scrittori di lingua inglese che hanno arricchito con le loro opere la letteratura mondiale.
    L’inglese che ci viene proposto e imposto come lingua di comunicazione transnazionale è una sorta di codice piú o meno convenzionale che viene identificato con il nome di Globish (da “Global English”, inglese globale). È un pidgin che viene balbettato in campo internazionale, con il sorrisetto ironico di superiorità di coloro che sono di madrelingua inglese (o americana).
    Spesso i sostenitori del Globish, codice artificiale, sono gli stessi che cercano di screditare l’esperanto bollandolo come lingua artificiale, fatta a tavolino, e quindi perciò – chissà perché – inadatta alla funzione per cui è nata.
    Premesso che tutte le lingue sono artificiali, perché non sono una componente biologica dell’individuo, ma sono sempre insiemi di parole inventate dall’uomo, devo dire che la differenza tra il Globish e l’esperanto sta nel fatto che il primo è comunque difficile sia dal punto di vista fonetico, sia dal punto di vista grammaticale e il secondo è facilissimo. Il primo è la lingua presa a prestito da altri, che ne rimangono i padroni, il secondo può essere seconda lingua di tutti, mettendo tutti sullo stesso piano. Il primo è invadente e fagocitante, il secondo è discreto e disponibile.
    A questo proposito, è sotto gli occhi di tutti la corruzione in accelerazione costante della nostra bella lingua. È l’inglese – l’inglese dei fiorai che vendono “flowers” e dei calzolai che vendono “shoes” – che sta corrompendo la nostra lingua. E non solo quando si tratti di oggetti nati da tecnologie provenienti dagli Stati Uniti (computer, scanner, ecc.), ma anche per oggetti, ambienti, situazioni, occasioni, dove non ce ne sarebbe assolutamente la necessità. Basta entrare in un ufficio postale, per rendersi conto che l’inglese sta sopraffacendo l’italiano: “postepay”, “posteself”, “servizi business”, “posteshop”, “news”, “contact center”, “posta pick up”, ecc. ecc.
    Osservate l’intestazione del cedolino dello stipendio. Nel radioso presente americanofono, anche il patrio Ministero delle Finanze si organizza in Services. Una volta si diceva: “Direzione”, “Ripartizione”, “Ufficio”, “Dipartimento”. Ora non piú: questa è preistoria.
Non sto ad elencare i vari “tickets” (e gli obbrobriosi derivati come “ticketteria” per “biglietteria”), “Welfare” per “Stato sociale”, “nomination”, dove bastava “nomina”, “magazine” per “rivista”, “privacy” per “riservatezza”, perché sono sotto gli occhi di tutti. Ormai l’italiano è diventato “itanglese”, anzi: “itanglish”. E in futuro gli “italians” saranno tutti globishizzati. Con buona pace di Dante e Manzoni.                                                                          Amerigo Iannacone

Fonte: amerigoiannacone.wordpress.com 
Tratto da Il Foglio Volante n. 10/2007

I mass media e le società compiacenti con la casta truccano i sondaggi

Il PD rappresenta solo il 15 % dei cittadini aventi diritto al voto. Il PDL rappresenta solo il 10% dei cittadini aventi diritto al voto. Il Terzo Polo rappresenta solo il 4,5% dei cittadini aventi diritto al voto. E a seguire tutti gli altri con le percentuali almeno dimezzate rispetto a quelle che ci forniscono le rilevazioni. Questo vuol dire che il governo Monti si regge con il consenso di solo il 29,5 % di rappresentanza degli italiani. Ecco dove sta il trucco. Se si esprimono dati in percentuale la somma deve fare sempre e solo 100. Nei sondaggi che ci vengono presentati dalle agenzie di rilevazione commissionate a vario titolo dagli stessi partiti e dai media compiacenti la regola di cui sopra non esiste e nel migliore dei casi fa 150. Questi rilevatori dicono che oltre il 50 % degli italiani, quindi le percentuali dei partiti espresse sopra sono per eccesso, dichiara di non voler andare a votare (35%), di votare scheda bianca (5%), di essere indeciso (15%),invece non dicono, che le percentuali espresse per i partiti si riferiscono solamente a coloro che hanno espresso intenzione di volerne votare uno, ossia ricostruiscono le percentuali su questo panel che rappresenta meno del 50% degli italiani presentandolo come se fosse rappresentativo della totalità degli italiani stessi. E questo succede anche quando ci danno le percentuali dopo le elezioni che vengono calcolate non sul 100% degli italiani aventi diritto al voto, ma solo sul totale di coloro che hanno effettivamente votato. Il rimborso elettorale, a prescindere dalla sua truffa di fondo, è che l’ottantacinque per cento degli italiani deve pagare per il PD di cui non gliene frega nulla se non addirittura lo odia, che il 90% deve pagare per il PDL e via dicendo per gli altri. E hanno il coraggio,coi nostri soldi, di parlare di democrazia e accusare chi gli contesta la truffa di antipolitica.

mercoledì 25 aprile 2012

La protesta contro la Barilla parte dalla rete.



Parte dalla rete la protesta contro l’Impresa di prodotti alimentari più famosa d’Italia: la Barilla. L’azienda, non più italiana ma americana, usa grano con tassi di micotossine altissimo, e quindi ammuffito, derivante da lunghi stoccaggi, al prezzo più basso possibile. Ma perché accade ciò? La storia risale al 2006 quando l’Unione Europea decise di alzare i livelli di micotossine presenti nel grano duro in modo che anche gli altri paesi, con climi più sfavorevoli, potessero produrlo. Una decisione basata su fini puramente commerciali. Oltre ad impoverire la qualità dei prodotti, infatti, la manovra rappresentò un duro colpo per i contadini del Sud Italia. Quest’ultimi, il cui grano non conteneva micotossine poiché lavorato naturalmente, furono meccanicamente esclusi dal mercato europeo. Il discorso però era, ed è, diverso per i paesi d’oltreoceano. Per l’esportazione del prodotto in Usa e in Canada i parametri cambiano. In questo caso il grano deve avere un tasso di micotossine pari alla metà di quello accettato dalla UE per le importazioni. In questo modo è successo che: I prezzi internazionali del grano duro di riflesso sono crollati, circostanza favorevole per i commercianti italiani ed i monopolisti internazionali che hanno potuto acquistare il grano al prezzo più basso possibile dai contadini meridionali, messi alle strette dalle direttive europee. Questi stessi imprenditori hanno esportato poi il grano italiano migliore all’estero, lucrando sul prezzo, per poi portare da noi prodotti realizzati con il grano ammuffito, accumulatosi nei depositi, e radioattivo. Alla luce di ciò il web, attraverso i social network, sta diffondendo il messaggio per boicottare la Barilla, principale azienda responsabile di questo disastro alimentare, incentivando gli utenti ad acquistare solo prodotti graminacei coltivati nello stivale e di agricoltura biologica. Operazione non semplice visto che la Barilla è presente nel mondo con i marchi con il più alto valore commerciale: Motta, Essere, Gran Pavesi, le Tre Marie, le Spighe, Mulino Bianco, Pavesini, Voiello, Panem. La protesta sta raccogliendo consensi e già esistono liste di discussione dove è possibile trovare un’ alternativa di prodotti, completamente realizzati in Italia e non OGM, da poter sostituire al colosso americano. di Chiara Amendola Fonte:Nocensura.com

In galera per un contraccettivo

LE ASSURDITA'..

MAURIZIO CROZZA - Ballarò 24/04/2012 - La Fiducia



LA TEORIA DEL CAOS!

martedì 24 aprile 2012

Un Due Tre Stella - INTERVISTA DOPPIA - BERLUSCONI vs D'ALEMA, DUE PROTA...

I DUE COMPARI!

"IL DEMONE E' SCONFITTO"


Nel 2011 erano rimasti solo 3 paesi senza una banca centrale controllata dai Rothschild







 PARTENDO DAL 2000
7 Paesi erano privi di una banca centrale controllata dai Rothschild:
Afghanistan
Iraq
Sudan
Libia
Cuba
Corea del Nord
Iran
Poi c’è stata l’occasione dell’11 settembre e ben presto l’Iraq e l’Afghanistan persero il controllo della banca centrale, lasciando solo cinque paesi nella lista:
Sudan
Libia
Cuba
Corea del Nord
Iran
Sappiamo tutti in quanto poco tempo la banca centrale di Bengasi è stata messa in piedi.
Gli unici paesi nel 2011 rimasti senza una banca centrale controllata dai rothschild sono i seguenti:
Cuba
Corea del Nord
Iran
L’elite sta ora puntando sull’Iran… probabilmente l’elenco verrà ulteriormente decurtato a breve….

lunedì 23 aprile 2012

Avviso a Monti e Bersani: la Francia boccia la loro Europa

L’Europa è stanca: di “rigore” si può morire, e non se ne vede il motivo. Mentre l’Olanda andrà ad elezioni anticipate, in mancanza di un accordo politico “lacrime e sangue” per rispettare i diktat di bilancio del Fiscal Compact – lo Stato obbligato a ridurre ulteriormente la spesa sociale per contenere il debito – il primo turno delle presidenziali francesi punisce “Merkozy” e premia sia la sinistra di François Hollande che l’estrema destra di Marine Le Pen, entrambe contrarie alla “dittatura della Bce”. A differenza dell’Italia, dove Pd e Pdl al riparo di Mario Monti eseguono alla lettera il programma di austerity imposto da Bruxelles, o della Spagna, dove il neopremier Mariano Rajoy applica le durissime direttive di Francoforte, da Parigi ad Amsterdam la scure tecnocratica dell’eurocrisi sembra destinata ad incontrare un ostacolo imprevisto: la politica.
Messa in soffitta dai grigi burocrati non-eletti che hanno in pugno il governo di un’Europa berlinocentrica, le cui maschere Merkel e Draghi impugnano Merkel, Sarkozy e Montil’euro per favorire ad ogni costo l’export della Germania, proprio la politica – cacciata dalla porta e, in Italia, messa addirittura al bando come fosse una pericolosa malattia – rientra dalla finestra ad imporre drastici cambiamenti nell’agenda pubblica: «In queste due settimane – scrive Gad Lerner nel suo blog, pensando già al secondo round delle elezioni francesi – si gioca molto del prossimo futuro dell’Europa, e chissà che deciderà di fare Angela Merkel, una delle protagoniste di questa campagna elettorale, insieme all’austerità imposta dal suo governo e dalla Bce. Il pensiero dei francesi su questo tema è stato chiarissimo, e visto quanto sta succedendo nei Paesi Bassi, non si può non notare come chi sostiene l’austerità affonda nei consensi».
In Olanda, infatti, proprio la recessione e l’austerità imposta dalla Commissione Europea mette in crisi l’esecutivo di Mark Rutte: la coalizione di centro-destra ha perso il determinante appoggio esterno della destra xenofoba euro-scettica di Geert Wilders. «Non lasceremo scorrere, a causa di Bruxelles, il sangue dei nostri pensionati», ha detto Wilders, “staccando la spina” dalla maggioranza, alle prese con la “cura dimagrante” imposta anche agli olandesi: un ritocco dell’Iva, il congelamento dei salari pubblici e tagli (per ora contenuti) alla sanità e alla cooperazione per lo sviluppo. «Le misure di rigore olandesi appaiono modeste, se confrontate con le manovre “lacrime e sangue” attuate in Grecia, ma pure in Italia, Spagna, Portogallo e altrove», scrive Giampiero Gramaglia sul “Fatto Quotidiano”. Eppure, la Hollandepolitica olandese non ci sta. «Certo, l’Olanda rischia ora di vedere declassato il suo debito dalle agenzie di rating, che già danno segnali di nervosismo. Ma questo sarebbe un altro regalo a Wilders e al suo partito».
Difendere la Francia dalla finanza: è la parola d’ordine che Hollande rilancia, un minuto dopo l’esito degli exit poll che lo proiettano in testa nella corsa all’Eliseo, mentre il candidato dell’ultrasinistra Jean-Luc Melenchon esorta i suoi supporter a votare senza riserve per Hollande, al ballottaggio. La sinistra francese – socialista e radicale – è divisa sulle cifre, ma non sulla sostanza: se l’Europa di Bruxelles predica la teologia del rigore e impone tagli al welfare, sia Hollande che Melenchon “rispondono” a modo loro: promettono di ridurre l’età pensionabile e di introdurre un “reddito di cittadinanza” per chi non lavora – secondo Melenchon, almeno 1.700 euro mensili. «Aspetti degni del massimo interesse – dice l’ex presidente della Camera, Fausto Bertinotti – specie se messi a confronto con l’attuale politica italiana», incapace di uscire dal Sarkozypanico per i ricatti del super-potere: Europa, finanza, spread, agenzie di rating, sanità e pensioni, riforma “punitiva” del lavoro.
Da Marchionne a Monti, domina la minaccia dell’emergenza permanente a motivare tagli a senso unico, con Pd e Pdl praticamente ammutoliti – all’ombra di Elsa Fornero e Giorgio Napolitano – senza che siano in campo vere soluzioni politiche. Motivo: «Non c’è un’ombra di visione», dice Giulietto Chiesa: «Manca completamente la percezione della gravità della crisi e delle sue cause: nessuno ammette che non potremo più “crescere” come prima, specie in un sistema con regole truccate, democrazia sospesa e potere usurpato dai ricattatori dell’alta finanza, che oggi dominano le istituzioni». Risultato provvisorio: disaffezione elettorale e annunciato sabotaggio delle urne. Anche in questo, la Francia è in controtendenza: per denunciando una campagna “stanca”, ha votato l’80% del francesi.  Stando ai primi sondaggi basati sul risultato provvisorio, Hollande vincerebbe il ballottaggio con il 54% dei voti, contro il 46% di Sarkozy. Per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica, intanto, un presidente uscente si ritrova battuto al primo turno. Non è ancora la Waterloo del “marito di Carlà”, ma il vero sconfitto già si delinea: è l’Europa di Bruxelles e della Bce, quella dei “mandanti” di Mario Monti, l’uomo appoggiato da Bersani e Alfano.
Fonte:Libre associazione di idee

La mappa dei rincari