La furia dei tonfa, i manganelli dall’impugnatura a T: un rumore
raggelante di braccia e gambe spezzate. Sangue e materia cerebrale che
allagano il parquet della palestra scolastica, schizzano sugli intonaci,
gocciolano dai termosifoni. «Un sabba infernale di grida e lamenti che
hanno il suono osceno di bestie portate al macello», scrive Carlo Bonini
su “Repubblica”
il 24 marzo dopo aver visto in anteprima – insieme a due poliziotti e
ad una delle vittime – il film sulla “macelleria messicana” alla scuola
Diaz di Genova il 21 luglio 2001, girato da Daniele Vicari e prodotto da
Domenico Procacci. Un film arduo: pochissime riprese a Genova per
evitare disagi, e i mezzi della polizia usati per le riprese – furgoni e
blindati – sequestrati per accertamenti al ritorno da Bucarest, dov’era
stato allestito il set. Invitati all’anteprima, i politici – senza
spiegazioni – non si sono fatti vedere né a Palermo né a Torino, dove in compenso hanno inviato i vigili urbani a verificare orari e capienza della sala.
Tanta paura, dieci anni dopo, per un film? Il “Fatto Quotidiano”,
ricorda lo stesso Procacci, ha reso noto che il Viminale ha formalmente
invitato i poliziotti
a snobbare il film e soprattutto a non rilasciare dichiarazioni alla
stampa, previa autorizzazione del ministero dell’interno. Qualcuno, a
Palermo e Torino,
aveva addirittura preteso di ottenere la lista dei nomi degli invitati:
richiesta fermamente negata dai gestori dei cinema. Eppure, dice
Daniele Vicari, regista di pellicole come “L’orizzonte degli eventi” e
“Velocità massima”, le prime vittime di quella storia dovrebbero essere i
tanti poliziotti onesti che ogni giorno fanno il loro lavoro, e cioè
proteggere i cittadini inermi, non certo minacciarli. Poliziotti come
Claudio Giardullo e Franco Maccari, ridotti a «silhouette di pietra»
nella saletta proiezioni della Fandango, dove hanno visto in anteprima
insieme a Bonini e a Michel Geiser, uno dei 93 sopravvissuti alla
mattanza genovese, «le immagini che il Viminale e la polizia italiana
non ha sin qui ritenuto di vedere e che attendono come una calamità».
Le due ore di “Diaz” di Daniele Vicari, nelle sale italiane dal 13
aprile, per il giornalista di “Repubblica” sono «una potentissima
macchina del tempo, un coraggioso documento civile che strappa il
rimosso di una notte di luglio di 11 anni fa al buio in cui la cattiva
coscienza del Paese ha cacciato i giorni del G8 di Genova. Le immagini
arrivano dove la parola – testimonianza o atto processuale che sia – non
può o non è potuta arrivare». Lo spiega bene lo stesso Vicari il 3
aprile all’università di Torino,
dove ha incontrato gli studenti: se ti misuri con un fatto storico
attraverso il cinema sarebbe assurdo tentare di fare una semplice
ricostruzione, come accadeva in tanto pessimo cinema italiano di
cosiddetto impegno civile; quello che conta è seguire la storia di
centinaia di persone, poliziotti e manifestanti, proponendo
un’interpretazione onesta dei fatti. Verdetto: «Democrazia e Stato di diritto sono stati sospesi, prima alla Diaz e poi a Bolzaneto», dice il regista.
«Non voglio neppure sapere per quale strana dietrologia sia stato
ordinato quel massacro, seguito da tre giorni di torture: mi basta
sapere che è potuto accadere, in Italia, nel 2001».
Giardullo, poliziotto e sindacalista del Silp, alla fine della
proiezione romana stringe la mano a Michael Geiser: «Vorrei che tu
sapessi che sono un poliziotto di sinistra: rappresento i lavoratori
della Cgil». Maccari lo imita: «Sono un poliziotto anch’io, ma di
destra: anch’io difendo i lavoratori della polizia, sono il segretario
del Coisp». A Genova c’erano entrambi. Michael crede nella forza della
memoria: «Se non ricordiamo, quello che accadde allora si ripeterà».
Vero, ma i due poliziotti protestano: «La polizia è cambiata, sono
undici anni che ci facciamo un culo come un secchio per cercare di far
capire che la polizia italiana è un’altra cosa». Per Maccari, «il film è
coraggioso, ma è anche un obbrobrio: che senso ha ricordare così? Serve
solo a ricacciarci tutti indietro al punto di partenza, a farci
rimanere inchiodati al risentimento di quel giorno maledetto».
Continua l’agente: «A me interessa il presente: la riforma dell’articolo 18, l’Europa
dei banchieri. Sono un poliziotto ma scendo in piazza anch’io, che
credi». Michael lo interrompe: «E non pensi che la violenza silenziosa
dell’Europa
dei tecnocrati sia cominciata quel giorno? Quando la polizia italiana
ha cancellato politicamente un’intera generazione, mostrando che il
dissenso non era ammesso?». La lezione di Genova? Imparare ad aver paura
della polizia: così, senza motivo, senza aver commesso alcun reato. E’
la tesi di libri-inchiesta come “G8 Gate”, di Franco Fracassi:
“qualcuno” a Genova aveva ordinato alla polizia italiana di lasciare che
i black bloc devastassero impunemente la città, per poi caricare
brutalmente i manifestanti pacifici. Fino all’atroce epilogo della Diaz.
Movente? Il super-potere americano, dice un ex 007 dell’Nsa, Wayne
Madsen, aveva più paura dei no-global che di Al Qaeda:
già allora, settori privatizzati della Cia erano finanziati dalle
grandi corporation attraverso le fondazioni: gente senza scrupoli,
pronta a tutto pur di mettere a tacere la temutissima contestazione
civile della loro globalizzazione selvaggia.
Di politica hanno parlato anche il superstite della Diaz e i due
poliziotti negli uffici di produzione della Fandango. Se i miei e i
vostri figli si convincono che non c’è spazio per il dissenso, per
immaginare un mondo diverso, dice Michel ai due agenti, «nei prossimi
mesi l’Europa
diventerà un campo di battaglia». La polizia? In un regime democratico
deve garantire proprio la libertà di manifestare, non certo reprimerla.
«Non dire che così il film non serve», dice Giardullo al collega del
Coisp. «A Genova fummo strumento di un raffinatissimo disegno del
governo di centro-destra che intendeva terrorizzare i moderati di questo
Paese, per convincerli che la piazza era un luogo senza ritorno: un
disegno riuscito». Se la proiezione in anteprima per i due poliziotti e
l’ex vittima ha suscitato lacrime, sgomento e parole sincere, il film –
nelle anteprime ad inviti – continua a destare emozioni fortissime: a
Berlino, dopo un diluvio di applausi, una pattuglia di giovani reduci
della Diaz ha raggiunto Vicari e Procacci al ristorante, per
ringraziarli: «Uno di loro ci ha detto: ora finalmente mi crederanno. E
ha spiegato: nessuno, in Germania, aveva mai creduto che una cosa del genere potesse essere veramente accaduta, nel vostro paese, nel 2001».
Stranissima la reazione dei genovesi: un silenzio ammutolito, dopo i
titoli di coda, e poi una interminabile sfilata, sotto il palco, a
salutare e ringraziare regista e produttore. «Genova non ha ancora
elaborato il lutto di quei giorni», dice Vicari. «Non ci hanno permesso
di girare riprese alla Diaz. Li capisco: non avrebbe fatto piacere
neanche a me, se mio figlio fosse andato a scuola lì». E poi: «Genova
non è una città qualsiasi. Lì è nata la democrazia
italiana: le grandi lotte operaie, la Resistenza, e poi il movimento
della nuova polizia democratica per la smilitarizzazione del corpo. Non è
un caso che, chi ha voluto quel massacro, abbia scelto proprio Genova».
Domenico Procacci difende il suo regista esponendosi in prima persona,
anche a Torino,
di fronte a un pubblico sconcertato. «Scusate se mi trema la voce –
dice una ragazza – ma sono ancora sotto l’effetto del film». Molti, data
anche l’ora tarda, ne approfittano per filarsela senza una parola,
visibilmente scossi. Un uomo di mezza età alza la mano: «Abbiate
pazienza, ma il film non mostra in modo equo la violenza: sono troppo
sfumate le immagini delle devastazioni inferte alla città». Vicari
sospira: a parte il fatto che i black bloc hanno scassato vetrine e non
braccia e gambe, c’è una differenza
sostanziale: quelli non erano la polizia, la nostra polizia del nostro
Stato democratico. «Se anche nella Diaz ci fossero stati novanta black
bloc, anziché tutti quei manifestanti inermi, nulla avrebbe giustificato
quell’inaudita violenza su di loro».
(Il film: “Diaz”, di Daniele Vicari, con Elio Germano, Claudio
Santamaria, Rolando Ravello, Aylin Prandi, Alessandro Roja, Monica
Birladeanu, Jennifer Ulrich, Renato Scarpa, Davide Iacopini, Paolo
Calabresi, Fabrizio Rongione, Ignazio Oliva. Scritto da Daniele Vicari
con Laura Paolucci, fotografia di Gherardo Gossi, montaggio di Benni
Atria e musiche di Teho Teardo. Prodotto da Domenico Procacci per
Fandango insieme ai francesi di Le Pacte e ai rumeni di Mandragora
Movies. Nella sale italiane dal 13 aprile 2012. Sito ufficiale: Diaz, il fim).
Fonte:Libre/associazione di idee
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