lunedì 10 settembre 2012

Brancaccio: basta euro-sacrifici, è ora di mollare Monti

Più volte abbiamo sentito esponenti di governo affermare che si intravedeva la luce in fondo al tunnel e che la crisi stava per finire. Già nel 2009 lo diceva Berlusconi. Non mi risulta che Monti e Passera abbiano elementi nuovi per rendere il loro ottimismo più credibile di quello dell’ex premier. Le previsioni delle istituzioni internazionali parlano chiaro: a fine 2012 il Pil sarà caduto di altri due punti, e nemmeno per il 2013 si intravede una ripresa. Quel che dice Moody’s in realtà vale poco. I pareri delle agenzie di rating vengono tuttora usati per fini di lotta politica interna. Ma tra gli operatori finanziari le agenzie ormai godono di una scarsa reputazione per la sequenza di errori clamorosi che hanno commesso in questi anni. La famigerata tripla A che assegnavano a Lehman Brothers poco prima del suo tracollo è solo uno dei tanti. Non a caso, le ricerche più recenti mostrano che l’impatto degli annunci delle agenzie di rating sugli andamenti del mercato è modesto, talvolta addirittura risibile.
L’unica vera novità di questa estate è la presa di posizione del presidente della Banca Centrale Europea: Draghi ha dichiarato che farà tutto ciò che è in Emiliano Brancacciosuo potere per salvare l’euro, ed ha aggiunto che riuscirà nell’intento. La Bce si è quindi messa in prima linea per difendere la zona euro contro eventuali attacchi speculativi. Questo ha messo gli speculatori in stato d’attesa. L’ondata di vendite di titoli che si attendeva nel corso dell’estate, per il momento non è avvenuta. Molti ritengono che la svolta di Draghi sia stata decisiva, e abbia finalmente scongiurato il pericolo di implosione della zona euro. Ma la realtà è che la posizione della Bce nasconde una gigantesca contraddizione interna. La Bce è disposta ad acquistare i titoli dei paesi periferici solo a condizione che questi paesi proseguano con le politiche di austerità e di abbattimento del debito. Questa condizione genera però una incoerenza logica: come stiamo osservando in Grecia, ma anche in Italia, le politiche di austerity non aiutano a risanare i conti. Al contrario deprimono i redditi e quindi rendono sempre più difficile il rimborso dei debiti, sia pubblici che privati.
Di sicuro stiamo assistendo a un processo di “centralizzazione” dei capitali europei, che favorisce soprattutto la Germania. Costringere i paesi periferici della zona euro ad attuare politiche di austerity significa infatti aggravare la loro crisi e peggiorare la loro posizione debitoria. Di questo passo tali paesi si vedono costretti a far fronte ai debiti vendendo a prezzi di sconto gran parte del patrimonio nazionale, pubblico e privato: immobili, partecipazioni azionarie in aziende strategiche, banche, magari persino le isole e altri beni demaniali. Per chi dispone di molta liquidità si creano quindi grandi Draghi e Montioccasioni per fare shopping a buon mercato nei paesi periferici. E la liquidità, guarda caso, è abbondante soprattutto in Germania.
L’asse Monti-Hollande? Se anche ci fosse non mi pare che funzioni. Del resto, per la cultura che incarna, il professor Monti sembra più incline ad assecondare i processi in corso che a contrastarli. Solo per citare un esempio, per Monti la vendita di capitali nazionali a favore di acquirenti esteri deve ritenersi un fatto positivo, addirittura taumaturgico. Eppure basterebbe guardare all’esperienza italiana degli anni ’90 per capire che le acquisizioni estere non portano sempre benefici ma anzi possono fare molti danni al tessuto produttivo di un paese. Una riedizione del governo Monti dopo le elezioni? È l’auspicio di chi è disposto a tenere l’Italia nella zona euro a tutti i costi. Monti viene presentato come un baluardo intorno al quale riunirsi per impedire la vittoria delle forze anti-euro. A sinistra questa linea d’azione fa presa anche tra coloro che, dopo i primi entusiasmi, ormai diffidano dell’operato del premier. Il motivo è che tutte le forze di sinistra appaiono completamente soggiogate dall’idea che l’euro, nonostante le sue enormi contraddizioni, rappresenti una conquista alla quale non è possibile rinunciare.
Nel nostro libro cerchiamo di spiegare che questo atteggiamento è il frutto di un liberoscambismo acritico che da tempo pervade la sinistra, moderata o radicale che sia. Il problema è che a lungo andare questa posizione politica potrebbe rivelarsi insostenibile. Infatti, per come attualmente è configurata, l’Unione monetaria europea alimenta la crisi dei paesi periferici, spingendo sempre più in alto i numeri dei licenziamenti e delle bancarotte. In uno scenario simile, le forze politiche che propongono l’uscita dalla moneta unica e magari anche dal mercato unico europeo sono destinate a veder crescere i loro consensi, a danno soprattutto di quelle che hanno scelto di Pierluigi Bersaniarroccarsi in difesa dell’Unione. La dichiarazione di Berlusconi sulla possibile uscita dall’euro? E’ un sintomo del fatto che le forze di destra appaiono più pronte delle forze di sinistra a gestire l’inasprimento della crisi e ad elaborare, di conseguenza, una eventuale strategia di uscita dall’euro.
Questo appiattimento delle forze di sinistra in difesa dell’unione monetaria è un fatto sconcertante, che tra l’altro deprime la loro stessa capacità di agire dialetticamente per riformarla. Leggo che Bersani tuttora insiste con l’idea che il suo partito resterà fedele all’euro a tutti i costi. Mi rincresce notare che anche le altre forze della sinistra considerano l’euro un fatto indiscusso. In questo modo, però, ci si appiattisce inesorabilmente tutti sulla linea dei già numerosi pasdaran del montismo. Io credo invece che la sinistra, per restare fedele a sé stessa e maggiormente ancorata alla realtà della crisi, dovrebbe dichiarare che esiste un limite ai sacrifici che si possono imporre a un paese in nome della permanenza nella zona euro. Lasciare soltanto alla destra e alle forze cosiddette populiste la elaborazione di una eventuale strategia di uscita è un errore che potrebbe rivelarsi fatale.
Fonte:Libreidee.org

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