sabato 29 settembre 2012

Se la politica volesse salvarsi dovrebbe riportare parte del potere nelle mani dei cittadini

Quando le pubbliche malversazioni fanno come le ciliegie che una tira l’altra, il vento dell’antipolitica monta a forza di burrasca, il consenso nei confronti dei partiti tradizionali scende a minimi storici e capipopolo improvvisati riescono a intercettare legittime aspirazioni di cambiamento che non trovano soddisfazione nelle minestre riscaldate che vengono propinate da ex mostri sacri senza più un’idea che sia una nelle loro teste frastornate, ebbene, quando succede tutto questo, la Politica vera, laddove ne esistesse una, dovrebbe porsi alcune domande. La prima delle quali potrebbe essere questa: abbiamo forse tradito il patto che ci legava agli elettori, ci siamo forse allargati un po’ troppo, abbiamo invaso ambiti che non ci sono propri e abbiamo magari fatto tutto questo con una tracotanza che non poteva, un giorno , non rivolgersi contro di noi come un boomerang ?

Sarà forse perché chi ha un martello vede chiodi dappertutto ma quando lo studioso di organizzazione guarda la politica di oggi questa non può non sembrargli come il letto di un fachiro. E nessuno in giro a tentare di ribattere almeno qualche chiodo. Quali consigli, da non addetti ai lavori s’intende, dare dunque ad una Politica che, disponendo ancora – per pura ipotesi – di un residuo istinto di sopravvivenza volesse, pur di misura, evitare il baratro che ha di fronte? Mi limiterei a tre banali considerazioni, chiarissime all’uomo della strada ma incomprensibilmente oscure ai professionisti della politica.

Riportare almeno parte del potere nelle mani dei cittadini. E’ molto difficile presso le persone comuni, come siamo tutti noi, accreditare l’idea che le decisioni che riguardano le condizioni di impiego di quei particolari servitori pro-tempore dello Stato quali sono (o dovrebbero essere) i politici quando ricevono un incarico ufficiale – dallo stipendio, ai rimborsi spese, ai benefit, alla pensione, ai posti disponibili in Parlamento e varie assemblee, alle auto blu e via enumerando – siano prese dagli stessi sui quali ricadranno i benefici delle stesse decisioni. In questo caso è veramente molto ingenuo lamentarsi del fatto che lorsignori antepongano i propri interessi a quelli degli altri cittadini. Si potrebbe dire che non è loro la colpa di un simile comportamento, assolutamente prevedibile per chi abbia un minimo di conoscenza della natura umana ma, se una colpa c’è, questa è da ascriversi solo ed unicamente al cosiddetto popolo sovrano che ha evidentemente e da molto tempo deciso di rinunciare alla sua presunta sovranità mettendo la volpe a guardia del pollaio. Anche se la politica non è solo organizzazione essa è anche organizzazione e aver trascurato in passato questo aspetto puramente organizzativo – non aver pensato cioè che le regole influenzano in modo determinante il gioco – ha creato le condizioni per danni e sprechi immani che tutti noi siamo tenuti ora a pagare.

In una qualsiasi azienda i benefit degli operai vengono decisi non dagli operai ma dai dirigenti e quelli dei dirigenti dalla proprietà. Non ci sarebbe dunque nulla di strano e sarebbe altamente salutare che, nella politica, a stabilire i benefit dei politici non fossero loro stessi ma apposite commissioni di cittadini comuni (se l’espressione popolo sovrano ha un qualche fondamento, non sono forse questi, cioè i cittadini, la «proprietà»?). Coraggio, aspiranti leader in cerca di consenso, non sono questi tempi in cui farsi guidare dalla paura e dalla mancanza di immaginazione !

Accettare l’idea blasfema che decidere la regola delle regole, cioè chi deve governare, non è materia da politici. I sistemi elettorali hanno questo di sbagliato, che ognuno viene sponsorizzato dalla forza politica che ne trae il maggior vantaggio. Si tratta di un gioco sporco fin dall’inizio che i politici dovrebbero avere l’intelligenza di abbandonare. Il sistema elettorale organizzativamente migliore – quello cioè che guarda al Paese e non agli interessi di questo o di quello e conseguentemente che fa meno danni di tutti gli altri – è quello studiato da puri scienziati dei sistemi costituzionali privi di qualsiasi interesse di parte che funzionano alla stregua di arbitri di una competizione alla quale né devono né possono prendere parte. Non c’è nessuno sport dove l’atleta mette il becco nel regolamento di gara, stabilito invece da altri che sono fuori dal gioco. Cari politici , fate qualcosa di analogo e la fiducia, che vi siete giocati, magari ritornerà.

Smetterla, una volta per tutte, con l’occupazione manu militari di tutto l’occupabile. La politica diventa cattiva politica quando abbandona la missione che le è propria – scegliere qual è  il tipo di società nella quale si vuole vivere – e occupa ambiti che non le appartengono come la gestione, l’amministrazione, l’economia. Quando la politica “mette” un certo direttore generale in un certo posto non perché costui realizzi la missione dell’ente che governa ma perché risponda e assicuri vantaggi a chi ha facilitato la nomina – un fatto normale oggi, che non fa più notizia – ebbene gli sprechi generati, non solo economici ma anche e soprattutto umani, sono enormi. Domanda: esiste un qualche fondato motivo, una ragionevole preoccupazione democratica che possa giustificare l’occupazione progressiva che la politica ha condotto in Italia finendo con il condizionare aspetti della vita di tutti noi circa i quali non ha mai ricevuto alcuna delega?

Prendiamo il caso della burocrazia. Nessuno ne contesta la necessità, bisogna pur amministrare il funzionamento della società. Ma il passo tra necessità amministrativa e metastasi burocratica che tutto soffoca è molto breve ed è ciò che stiamo sperimentando da qualche decennio. Se il compito di amministrare la società venisse affidato sulla base di obbiettivi, responsabilità, controllo e merito, come è regola negli ambienti aziendali tanto disprezzati da una certa cultura italiana  e la politica mollasse la sua presa mortale su ciò che non le è proprio per dedicarsi meglio a ciò che dovrebbe fare – e non fa – potremmo sciogliere la metastasi con enormi vantaggi per la libertà di intraprendere e per i suoi vincoli che oggi la rendono così difficile e in casi sempre più numerosi del tutto antieconomica. E tutto questo non solo nel campo dell’industria ma anche in quello della piccola impresa e delle professioni.

Non credo che gli italiani siano sufficientemente consapevoli di quale gigantesca sottrazione di libertà – ogni euro di tasse pagate in più per coprire sprechi ingiustificabili è un esproprio  di libertà – sia  stata perpetrata ai loro danni negli ultimi quaranta anni sotto la bandiera ipocrita dei diritti e del progresso (oh sì, certo, qualcuno un bel progresso l’ha fatto di sicuro ma oggi sappiamo bene  chi è che ha sbancato il lotto), forse perché è avvenuta un passetto dopo l’altro, in modo indolore. Un nuovo consenso politico è disponibile, ci sono tutti i segni, per chi sarà capace di facilitare la restituzione della libertà espropriata a coloro cui appartiene per diritto naturale. C’è qualcuno che lo capisce ?

di Peppe Caglini
Fonte:Tiscali.it

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