Spread alle stelle, borse che crollano. Cosa succede? «Sta crollando questo capitalismo basato integralmente sulla finanza
e non sull’industria, sull’artigianato, sulla manifattura, sui
fondamentali». Simone Perotti, ex manager convertitosi in skipper e
scrittore di successo – dopo il besteller “Adesso basta” l’ultimo
lavoro, “Scollochiamoci”, scritto per “Chiarelettere” , Paolo Ermani –
non ha più dubbi: dopo due secoli e mezzo il nostro capitalismo «sta
arrivando alla sua ultima fermata», ormai «i nodi vengono al pettine e
non si può che assistere all’agonia di un mostro impazzito che è
sfuggito al controllo del suo creatore». Un mostro o, a scelta, un
grande malato: che «nessuno dei grandi medici accorsi al suo capezzale
riesce a curare». Quella a cui stiamo assistendo è un’agonia: non ne
siamo responsabili, se non in minima parte, e non possiamo farci nulla. A
meno di non adottare l’unica arma di autodisfesa a nostra disposizione:
cambiare vita, e subito.
Secondo Perotti, intervistato dal blog “Cado in piedi”, si tratta di trovare il modo di mettersi al riparo dalla crisi, per quanto possibile, evitando di scivolare nel baratro cieco della recessione terminale che minaccia l’Europa,
l’Occidente e tutto il pianeta, sotto la scure delle inutili e crudeli
politiche di “rigore” inventate dagli stessi dominus della finanza mondiale, i principali “architetti” di una crisi
che, attraverso la speculazione, garantisce immense fortune a
pochissimi, a spese di tutti gli altri. La soluzione? «Vivere in maniera
più sobria, vivere di poco, disertare la Borsa e qualunque investimento
finanziario». Inutile aspettarsi miracoli dal fantasma della politica:
si può agire in proprio, tutti insieme. Per esempio, con investimenti
quotidiani e mirati: «Meglio utilizzare il proprio denaro (poco o tanto
che sia) per fare cose che abbiano un senso chiaro, magari
autoproducendo una parte del nostro cibo, forse creando valore per la
produzione di energia che ci serve realmente e concretamente per
scaldarci». Tradotto: «Pensiamo a installare un pannello solare, invece
di comprare le azioni di chi li produce».
Intanto la disoccupazione giovanile è esplosa e solo 2 assunzioni su
10 sono a tempo indeterminato. Per i giovani sembra non ci siano vie
duscita: il futuro
è letteralmente abolito dal cupo orizzonte disegnato dai tecnocrati
europei, emissari delle élite finanziarie. «I giovani – dice Perotti –
sono stati in difficoltà forte anche quando avevano 18 anni nel 1946 e
avevano magari un genitore morto in guerra
e due zii che erano stati fatti sparire dai nazisti perché erano dei
partigiani, e magari crescevano in una zona bombardata dagli inglesi via
mare in cui non c’era neanche il ponte per andare al di là del
Bisagno», il torrente che bagna Genova, città natale dello scrittore.
Tempi duri: il dopoguerra, la fame, l’impossibilità di studiare: il
dolore di quei ragazzi, aggiunge Perotti, è paragonabile alle difficoltà
della generazione attuale, come se di colpo i giovani fossero stati
scaraventati indietro di oltre mezzo secolo. «Ma poi i ragazzi sono
usciti, hanno fatto quello che ritenevano giusto fare, la possibilità se
la sono costruita: i nostri giovani devono fare un po’ la stessa cosa».
«Sono abbastanza critico rispetto a chi guarda i giovani con
paternalismo, pensando siano l’unica generazione di sfigati in una
storia dell’umanità in cui i giovani hanno sempre avuto tutte le
opportunità: non è vero, non è mai stato così», premette Perotti, in
sintonia con le tesi che Giampaolo Pansa ha esposto nel suo ultimo
lavoro autobiografico, “Poco o niente”, che rievoca le impensabili
durezze con cui si dovettero confrontare le generazioni precedenti. Ogni
epoca lancia le sue sfide, sostiene Perotti, e i giovani hanno comunque
le carte in regola per per affrontarle, con entusiasmo e magari un pizzico
di idealismo, rischiando cocenti disillusioni ma avendo dalla loro
parte quantomeno l’età. «Direi che quelli che sono messi peggio sono i
quarantacinquenni, i cinquantacinquenni che magari hanno perso un po’
l’abbrivio, che forse il meglio di loro l’hanno già dato e che devono
fronteggiare una situazione molto difficile».
Questo però non costituisce un’attenuante: se solo 2 assunzioni su 10
sono a tempo intederminato significa che «il sistema ha mentito: non può
essere drenata tutta la forza lavoro così come era stato promesso».
Otto giovani su dieci restano senza garanzie? E’ la prova della
“bufala”, del sistema basato su false promesse. «Questo è un Paese che
ha delle vocazioni ben chiare: basterebbe ripulirlo da tutta
l’immondizia che c’è in giro sulle coste, sulle spiagge, nelle montagne,
dovunque c’è un patrimonio turistico, naturalistico, architettonico,
paesaggistico e artistico che ha grande valore per noi, ma che noi
teniamo malissimo». Secondo Perotti, «basterebbe ripulire l’Italia
proprio togliendo le carte per terra e già lavorerebbero migliaia di
persone». Lavoro utile, e per tutti? Basterebbe bonificare i siti ex
industriali e restaurare l’immenso patrimonio storico. Nessun paese al
mondo ha così tante risorse, e nessuno le spreca come fa l’Italia:
stiamo dilapidando la nostra cassaforte turistica, quella che ci
salverebbe, con scelte sempre sbagliate o fuori tempo massimo.
Fonte:Libre.it
ATTENZIONE, LEGGERE QUESTI POST, NUOCE GRAVEMENTE AL SISTEMA NERVOSO, LA VOSTRA CALMA POTREBBE RISENTIRNE...MA VI AUGURIAMO LO STESSO BUONA LETTURA! democratic staff!
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martedì 31 luglio 2012
domenica 29 luglio 2012
Crisi e dittatura della finanza, perché non si fa la rivoluzione?
Perché non ci si ribella contro la
dittatura della finanza? Perché non si fa la rivoluzione? Negli anni
Sessanta si scendeva in piazza per molto meno e si chiedeva a gran voce
un cambiamento radicale del sistema, una rivoluzione appunto. Ora si
tace. Si guarda impassibili, demotivati, senza energia il lento defluire
degli eventi. Si assiste come spettatori impassibili dinanzi ad una
tragedia che ci coinvolge: disoccupazione alle stelle, licenziamenti di
massa, precariato a vita. Ci tolgono i diritti essenziali e le grandi
conquiste sociali ottenute dopo una stagione di lotta: il diritto al
lavoro, il diritto alla sanità e il diritto allo studio. Tutto questo è
messo in discussione perché c'è la crisi, facile pretesto per
convogliare risorse pubbliche nelle mani dei pochi, dell'élite economica
che governa il mondo. Aumenta il gap tra ricchi e poveri e aumenta la
disuguaglianza sociale tra chi ha e chi mai avrà. Ci hanno rubato il
futuro, la speranza e la voglia di sognare un futuro migliore. C'è la
crisi: un mantra per spiegare la rapina delle nostre risorse e dei
nostri diritti.
Mi capita spesso di chiedermi: come possiamo tollerare tutto questo? Come possiamo tollerare che personaggi come John Paulson fondatore della Paulson & Co intaschi in un anno 5 miliardi di dollari (8 mila miliardi di vecchie lire, lira più, lira meno), mentre in Grecia la disoccupazione giovanile è al 51%? Soldi guadagnati strangolando gli stati e i suoi cittadini deprivati delle proprie risorse per far arricchire questi sciacalli. Come possiamo tollerarlo? Come possiamo tollerare che David Tepper di Appaloosa Management, Ray Dalio di Bridgewater Associates e James Simons della Renaissance Technologies abbiano avuto, nel 2010, guadagni personali tra i due e i tre miliardi di dollari? Come possiamo tollerare che lo scorso 15 maggio un solo investitore, tale Kenneth Dart, abbia incassato 400 milioni di euro (quasi 800 miliardi di vecchie lire, più o meno lo stipendio mensile di circa 400mila operai) dalla Grecia, ovvero uno Stato dove, secondo l'Unicef, ci sono 400mila bambini sottonutriti? Perché dobbiamo continuare a dissanguarci, lavorare 5 anni in più, rinunciare a 18mila posti letto nella sanità pubblica, a veder chiudere migliaia di scuole, di asili nido, di università pubbliche, per regalare i nostri soldi a questi avvoltoi? Perché non ci si ribella a questa dittatura della finanza, a questo precariato irrazionale, a questo sistema immorale e criminale?
Il discorso è complesso e lungo, ma posso provare ad offrire, più che risposte, stimoli di riflessione. Innanzitutto non ci ribelliamo perché non sempre queste cose le conosciamo: avete mai sentito parlare in tv di John Paulson, un uomo che da solo, strangolando gli stati, guadagna 8 mila miliardi di vecchie lire in un anno? Avete mai sentito parlare di Kenneth Dart un esiliato fiscale degli Stati Uniti (non paga tasse e nessuno può farci niente) che ha chiesto e ottenuto in un solo giorno dalla Grecia, mentre il paese muore, lo stipendio mensile di 400mila operai? Avete mai sentito parlare di David Tepper, di Ray Dalio o di James Simons i cui guadagni personali oscillano tra i due e i tre miliardi di dollari ogni anno, ovvero quanto una finanziaria lacrime e sangue? Da dove credete che arrivino i loro immorali guadagni? Dalle nostre tasse, dai nostri sacrifici, dalle nostre lacrime amare. Quale TG ve ne ha mai parlato? Quale TG osa far vedere le loro facce e raccontare le loro storie, che poi sono i nostri soldi? Sappiamo tutto del nuovo amore di Belen, della sua farfalla e dei suoi capricci, ma non sappiamo niente di chi ci ruba il futuro, di chi ci dissangua, di chi ci obbliga a lavorare 5 anni per farli arricchire.
Sono invisibili, assenti e fugaci. È questo il nuovo volto del potere. È dall'invisibilità che trae la sua forza: contro chi ti ribelli? Contro le banche? E cosa fai? Chiami una banca e ti scagli contro un operatore precario e mal pagato di un call centre? Contro chi te la prendi? Contro gli Hedge Fund? Il nuovo potere che si affaccia nelle nostre vite sotto forma di Spread, di Mercato, di investimenti, di tecniche finanziarie, non ha un volto umano, ma è indecifrabile e invisibile. Sino a qualche decennio fa la forza del potere era data dalla visibilità. Il capitale era inchiodato al suolo con le sue fabbriche e ad esse era ancorato il lavoratore. La fabbrica fordista era il simbolo di oppressione, ma anche di sicurezza. Quel luogo era, come Bauman sottolinea, per padroni e operai un luogo di interessi comuni, era la dimora di entrambi, il "loro habitat comune, al contempo campo di battaglia per una guerra di trincea e casa naturale di sogni e speranze". Ora l'economia si volatilizza, viaggia liberamente da uno Stato ad un altro, imponendo le sue leggi e direttive, la sua logica e la sua ideologia. Non importa il colore del governo, centro destra e centro sinistra non fanno grande differenza (tranne sui valori del vivere civile e sui diritti) poiché ogni stato è schiavo delle decisioni politiche ed economiche prese altrove. Il governo diventa l'esecutore materiale di scelte prese lontano dalle telecamere e dagli interessi dei cittadini. Lo stato si riduce a mero commissariato di polizia la cui funzione è mantenere l'ordine sociale per permettere ai mercati di agire indisturbati.
Contro chi ti ribelli allora? Contro chi scaglia la tua frustrazione, la tua rabbia e il tuo malcontento? Nelle dittature classiche, quelle del manganello e delle purghe, l'effige del potere era ovunque, dalle scuole alle monete, dalle strade alle strutture pubbliche. Tutte portavano il simbolo del potere che traeva la sua forza dalla visibilità. Oggi, al contrario, la vera caratteristica del potere è la fuga, la capacità di evasione e di non essere identificabile. Ecco allora che subentra la rassegnazione, la frustrazione, l'incapacità di reagire e sognare. Un'intera generazione senza speranza, senza futuro, senza fini e senza sogni. Ecco qual è la cosa peggiore di questa crisi artificiale: ci hanno rubato il futuro e la voglia di lottare e sognare un futuro migliore. Ce lo hanno rubato perché il futuro neanche riusciamo ad immaginarlo, si vive per l'oggi, non per il domani, si vive nel precariato, nel tirare a campare senza prospettiva di un cambiamento. Durante una dittatura vecchio stampo, sogni che il tiranno cada, sai che dietro quella caduta, quella statua dell'oppressore che brucia in piazza, c'è la tua rivincita, ti aspetta un futuro migliore. Lotti perché il tuo sogni si avveri. Lotti perché credi in un futuro migliore. Lotti perché hai un sogno: una vita senza il tiranno. Ora che sogniamo? Che cada la statura di John Paulson? O quelle di David Tepper, di Ray Dalio o di James Simons? Ora non puoi sognare che cada ciò che non conosci ed è per questo che non riesci ad immaginarti un futuro migliore. Per questo non riusciamo a fare una rivoluzione: non sappiamo cosa sovvertire.
di Massimo Ragnedda
Fonte:Tiscali.it
Mi capita spesso di chiedermi: come possiamo tollerare tutto questo? Come possiamo tollerare che personaggi come John Paulson fondatore della Paulson & Co intaschi in un anno 5 miliardi di dollari (8 mila miliardi di vecchie lire, lira più, lira meno), mentre in Grecia la disoccupazione giovanile è al 51%? Soldi guadagnati strangolando gli stati e i suoi cittadini deprivati delle proprie risorse per far arricchire questi sciacalli. Come possiamo tollerarlo? Come possiamo tollerare che David Tepper di Appaloosa Management, Ray Dalio di Bridgewater Associates e James Simons della Renaissance Technologies abbiano avuto, nel 2010, guadagni personali tra i due e i tre miliardi di dollari? Come possiamo tollerare che lo scorso 15 maggio un solo investitore, tale Kenneth Dart, abbia incassato 400 milioni di euro (quasi 800 miliardi di vecchie lire, più o meno lo stipendio mensile di circa 400mila operai) dalla Grecia, ovvero uno Stato dove, secondo l'Unicef, ci sono 400mila bambini sottonutriti? Perché dobbiamo continuare a dissanguarci, lavorare 5 anni in più, rinunciare a 18mila posti letto nella sanità pubblica, a veder chiudere migliaia di scuole, di asili nido, di università pubbliche, per regalare i nostri soldi a questi avvoltoi? Perché non ci si ribella a questa dittatura della finanza, a questo precariato irrazionale, a questo sistema immorale e criminale?
Il discorso è complesso e lungo, ma posso provare ad offrire, più che risposte, stimoli di riflessione. Innanzitutto non ci ribelliamo perché non sempre queste cose le conosciamo: avete mai sentito parlare in tv di John Paulson, un uomo che da solo, strangolando gli stati, guadagna 8 mila miliardi di vecchie lire in un anno? Avete mai sentito parlare di Kenneth Dart un esiliato fiscale degli Stati Uniti (non paga tasse e nessuno può farci niente) che ha chiesto e ottenuto in un solo giorno dalla Grecia, mentre il paese muore, lo stipendio mensile di 400mila operai? Avete mai sentito parlare di David Tepper, di Ray Dalio o di James Simons i cui guadagni personali oscillano tra i due e i tre miliardi di dollari ogni anno, ovvero quanto una finanziaria lacrime e sangue? Da dove credete che arrivino i loro immorali guadagni? Dalle nostre tasse, dai nostri sacrifici, dalle nostre lacrime amare. Quale TG ve ne ha mai parlato? Quale TG osa far vedere le loro facce e raccontare le loro storie, che poi sono i nostri soldi? Sappiamo tutto del nuovo amore di Belen, della sua farfalla e dei suoi capricci, ma non sappiamo niente di chi ci ruba il futuro, di chi ci dissangua, di chi ci obbliga a lavorare 5 anni per farli arricchire.
Sono invisibili, assenti e fugaci. È questo il nuovo volto del potere. È dall'invisibilità che trae la sua forza: contro chi ti ribelli? Contro le banche? E cosa fai? Chiami una banca e ti scagli contro un operatore precario e mal pagato di un call centre? Contro chi te la prendi? Contro gli Hedge Fund? Il nuovo potere che si affaccia nelle nostre vite sotto forma di Spread, di Mercato, di investimenti, di tecniche finanziarie, non ha un volto umano, ma è indecifrabile e invisibile. Sino a qualche decennio fa la forza del potere era data dalla visibilità. Il capitale era inchiodato al suolo con le sue fabbriche e ad esse era ancorato il lavoratore. La fabbrica fordista era il simbolo di oppressione, ma anche di sicurezza. Quel luogo era, come Bauman sottolinea, per padroni e operai un luogo di interessi comuni, era la dimora di entrambi, il "loro habitat comune, al contempo campo di battaglia per una guerra di trincea e casa naturale di sogni e speranze". Ora l'economia si volatilizza, viaggia liberamente da uno Stato ad un altro, imponendo le sue leggi e direttive, la sua logica e la sua ideologia. Non importa il colore del governo, centro destra e centro sinistra non fanno grande differenza (tranne sui valori del vivere civile e sui diritti) poiché ogni stato è schiavo delle decisioni politiche ed economiche prese altrove. Il governo diventa l'esecutore materiale di scelte prese lontano dalle telecamere e dagli interessi dei cittadini. Lo stato si riduce a mero commissariato di polizia la cui funzione è mantenere l'ordine sociale per permettere ai mercati di agire indisturbati.
Contro chi ti ribelli allora? Contro chi scaglia la tua frustrazione, la tua rabbia e il tuo malcontento? Nelle dittature classiche, quelle del manganello e delle purghe, l'effige del potere era ovunque, dalle scuole alle monete, dalle strade alle strutture pubbliche. Tutte portavano il simbolo del potere che traeva la sua forza dalla visibilità. Oggi, al contrario, la vera caratteristica del potere è la fuga, la capacità di evasione e di non essere identificabile. Ecco allora che subentra la rassegnazione, la frustrazione, l'incapacità di reagire e sognare. Un'intera generazione senza speranza, senza futuro, senza fini e senza sogni. Ecco qual è la cosa peggiore di questa crisi artificiale: ci hanno rubato il futuro e la voglia di lottare e sognare un futuro migliore. Ce lo hanno rubato perché il futuro neanche riusciamo ad immaginarlo, si vive per l'oggi, non per il domani, si vive nel precariato, nel tirare a campare senza prospettiva di un cambiamento. Durante una dittatura vecchio stampo, sogni che il tiranno cada, sai che dietro quella caduta, quella statua dell'oppressore che brucia in piazza, c'è la tua rivincita, ti aspetta un futuro migliore. Lotti perché il tuo sogni si avveri. Lotti perché credi in un futuro migliore. Lotti perché hai un sogno: una vita senza il tiranno. Ora che sogniamo? Che cada la statura di John Paulson? O quelle di David Tepper, di Ray Dalio o di James Simons? Ora non puoi sognare che cada ciò che non conosci ed è per questo che non riesci ad immaginarti un futuro migliore. Per questo non riusciamo a fare una rivoluzione: non sappiamo cosa sovvertire.
di Massimo Ragnedda
Fonte:Tiscali.it
mercoledì 25 luglio 2012
Andiamo oltre l'attuale sistema economico finanziario: che falliscano i banchieri
Puntellare costantemente e inutilmente questo sistema è veramente da folli: si drenano solo altre risorse per sostenerlo fittiziamente ma è già comunque fallito! Quello che ulteriormente sottolineo e ritengo ancora più tragico è che tutti gli addetti ai lavori lo sanno perfettamente, lo percepiscono quotidianamente. E’ un fallimento inarrestabile il cui default si allontana solo nel tempo: siamo ad un punto di non ritorno. Bisognerebbe che ciò, per il bene di tutti, venga presto dichiarato e ci si dia da fare con percorsi nuovi. Credo però che se non ci muoviamo decisamente noi cittadini non lo faranno mai coloro che gestiscono questo modello, non sanno proprio cosa fare!
Certamente sarà traumatico, ma non starei ad ascoltare i tromboni attuali, figli di questo sistema, che spaventano con le loro dichiarazioni. Ci dicono ad esempio che se falliscono le banche sarà una tragedia: ma per chi? Dipende infatti da chi si vuole salvare e dunque dalle scelte politiche del momento. Oggi le decisioni sono in mano alla finanza, bisogna che non sia lei a decidere ma la politica. Ma anche i politici direte sono in mano alla finanza? Allora, giustamente cambiamoli, mandiamo a casa in Italia questo governo e diamo ascolto a chi vuole invece salvare i cittadini: è possibile se si vuole! Si potrebbe infatti non
perdere i risparmi dei cittadini onesti, e non ovviamente quelli di coloro che li hanno usati, allettati da lauti guadagni, per il gioco della speculazione finanziaria mondiale, semplicemente se si utilizzasse solo una piccola parte delle risorse messe a disposizione dalla Banca Centrale Europea per salvare le Banche. Se solo una parte di queste infatti andasse invece agli Stati e da questi a coprire i risparmi dei correntisti delle banche fallite il problema sarebbe risolto. Ma solo una nuova classe Politica (con la P maiuscola) potrebbe avrebbe il coraggio di giudicare e condannare al fallimento i banchieri potenti di oggi.
Dobbiamo star certi comunque che i banchieri, nonostante siano da tempo falliti, non molleranno tanto facilmente il loro potere di influenza e per questo agiteranno come sempre lo spauracchio della speculazione attraverso il potere mediatico, che altrettanto detengono, facendo paura ai governi: “attenti, se non fate ciò che vi diciamo comincerà una speculazione forte sui vostri titoli sovrani!”. E’ un ricatto che usano da tempo, perché ancora noi stiamo dentro questa logica, ci richiudono nel pensiero unico: ci viene detto incessantemente e solamente che il problema è la speculazione, il debito, il pareggio di bilancio. Ma perché continuare a credere a coloro che, dopo aver creato tutto ciò oggi ci indicano pure le soluzioni? Perché diamo loro ancora così tanta credibilità?
Il fallimento è già evidente da tempo e le misure che si attuano, fatte passare per “salvastati”, non fanno altre che confermarlo. Come definire se non un ultimo colpo di coda di un sistema ormai morto e fallito iniziative come: a) il continuo drenaggio di risorse dei cittadini e dello Stato per coprire un debito che tutti sanno è impagabile, e che è solo funzionale alla speculazione finanziaria? b) i trattati europei che hanno completamente privato i singoli Stati della propria sovranità ed imposto alla Banca Centrale Europea che il denaro stampato non possa essere messo a disposizione degli Stati ma solo dato alle Banche, dunque alimentando anche qui la sola speculazione finanziaria? c) il Fiscal Compact che tra l’altro impone a coloro il cui debito è superiore al 60% del Pil di rientrare a breve in pochi anni, in misura chiaramente insostenibile anche dall’analisi del più stupido economista e di nuovo alimentando la vendita di beni pubblici alla speculazione finanziaria?
Non deprimiamoci però, siamo vivi, abbiamo una testa per pensare e mezzi che ci possono aprire gli occhi o per lo meno farci vedere che esiste “altro”. Certamente chi è vissuto costantemente pendendo dalle labbra di questo sistema avrà più difficoltà, ma possiamo cominciare a difenderci per attenuare il trauma di questo fallimento in corso. Cerchiamo prima di tutto di informarci e conoscere cose che non vengono diffuse dai media attuali, ovviamente ancora in mano al Potere deleterio attuale. Ci sono innumerevoli esperienze recuperabili in internet cerchiamole e vedrete che tante saranno anche vicino a voi. Sono centinaia di migliaia le persone che quotidianamente già vivono senza farsi influenzare dalle logiche che ci stanno conducendo alla rovina, sociale, relazionale e ambientale. Queste persone combattono anche contro la politica di sistema attuale, che prova a mettere bastoni fra le ruote anziché agevolare la collaborazione tra cittadini: ma se i cittadini sono determinati e si muovono non possono che avere risultati positivi.
Assecondiamo perciò chi ci propone progetti di sviluppo locale, mettiamo a disposizione di finanziarie e piccole banche locali i nostri risparmi, anziché farceli bruciare dai mega colossi bancari e finanziari già falliti! Recuperiamo concetti che sembravano dimenticati o superati, ma che sono invece il fondamento più alto di ogni società, ovvero la mutualità, la solidarietà, il rispetto per l’altro. il mutuo aiuto. In questo modo la crisi della finanza ci preoccuperà di meno e sosterremo un’economia più sana e strutturata per essere al servizio dei cittadini del territorio. Sembrerà fuori luogo parlare in questo modo in un sistema globalizzato, forse però si dimentica che ogni sistema globalizzato si regge su produzioni locali che si interscambiano beni e servizi prima localmente e poi a livello planetario visto lo sviluppo dei mezzi di trasporto. Ma la globalizzazione attuale è degenerata perché ha accentuato le monoculture pensando più alla vendita internazionale che all’autonomia territoriale e alla sovranità alimentare: ora dobbiamo far fronte anche a questa crisi. ma ce la possiamo fare!
Ricominciamo dunque a recuperare la fiducia tra noi cittadini, provati da decenni di bombardamento sull’individualismo e la sopraffazione tra cittadini come unico modello di sviluppo: vinco se ti faccio fallire! Invece dobbiamo tutti vivere e tutti lavorare. In una situazione di lealtà generalizzata, il migliore avrà sempre più opportunità, ma mai si può dimenticare la crescita anche degli altri. Per realizzare questo c’è bisogno di altri politici, di altri pensieri e prospettive, siamo pronti? Forse, più che a politici di professione, dovremmo affidarci a cittadini attivi che portano un patrimonio di cultura ed esperienza nuove. E per fortuna di queste persone in Italia ve ne sono tante.
di Giovanni Acquati
Fonte:Tiscali.it
lunedì 23 luglio 2012
Perchè l'Italia
D'accordo, gli italiani sono dei menefreghisti. Gli italiani se ne
fottono di quello che succede al loro paese, e guardano soltanto al
vantaggio personale. Gli italiani si sentono tutti uniti quando gioca la
nazionale, ma poi tornano subito al loro passatempo preferito, che è
quello di pisciare nel giardino del vicino.
Gli italiani reagiscono come belve ferite se li tocchi nel portafoglio: prova a ritoccare le tariffe dei tassisti, e avrai di colpo intere città bloccate dalle auto gialle, che protestano per questi ritocchi. Oppure prova a ritoccare le sovvenzioni agli agricoltori, e avrai di colpo le strade di mezza Italia bloccate dalle mucche e dai trattori. Ma non vedrai mai i tassisti che scioperano per difendere i diritti degli agricoltori, nè gli agricoltori che scioperano per difendere quelli dei tassisti. In Italia la solidarietà fra le varie categorie non esiste, esattamente come non esiste la soliderietà fra gli individui.
Ognuno per i cazzi suoi, e che Dio ce la mandi buona.
Ma perchè siamo così diversi dagli altri? Perchè gli spagnoli scioperano uniti contro le misure dell'austerity, perchè gli inglesi protestano uniti quando la benzina è troppo cara, perchè i francesi scendono compatti in piazza contro l'innalzamento dell'età pensionabile, mentre noi restiamo serenamente a casa nostra, a meno che la cosa ci riguardi da vicino?
La prima risposta che viene alla mente, è che da noi il meccanismo del divide et impera abbia funzionato meglio che nelle altre nazioni. Ma siamo daccapo: perché da noi avrebbe funzionato meglio, e dagli altri invece molto meno?
Propongo un ragionamento, senza pretendere ovviamente di avere la verità in tasca. La nostra nazione ha una storia molto particolare, che la differenzia da tutte le altre: è stata infatti sia la culla del grande impero romano, ...
... sia la culla della Chiesa cattolica. Queste due entità, apparentemente molto diverse, hanno in realtà una caratteristica fondamentale in comune: sono ambedue basate su un principio di autorità assoluta, che viene dall'alto, e funzionano secondo una rigida struttura gerarchica, nella quale i vertici prendono tutte le decisioni, e agli altri non resta che obbedire.
L'imperatore dalla tribuna volgeva il pollice verso il basso, e il povero gladiatore veniva passato a fil di spada. Il prete invocava il nome di Dio dall'altare, e il povero selvaggio veniva mandato al rogo senza pietà.
Non a caso queste due istituzioni - Impero e Chiesa - sono riuscite a forgiare un'alleanza storica, dal terzo secolo in poi, che ha portato la spada e la croce a diventare due volti della stessa medaglia.
L'una mandava i crociati a conquistare le terre d'oriente, l'altra li assolveva in anticipo per tutti i massacri che avrebbero commesso.
In realtà, il concetto di autorità dall'alto è talmente simile, fra le due istituzioni, che ad un certo punto è nata la famosa questione temporale, ovvero se fosse l'imperatore a dover incoronare il papa, oppure il papa ad incoronare l'imperatore.
Nel frattempo il popolo subiva, anno dopo anno, decennio dopo decennio, secolo dopo secolo, fino ad abituarsi in modo irreversibile a subire senza più protestare. A tutto questo, naturalmente, dava una buona mano il cattolicesimo, che ti insegna ad accettare umilmente le pene terrene, promettendoti in cambio una ricompensa divina. Fiat voluntas Dei.
Il risultato è la tipica reazione dell'italiano di oggi, che di fronte ai problemi che lo affliggono scrolla le spalle e dice rassegnato: "Tanto, che cosa ci vuoi fare?"
Solo a quel punto subentra il meccanismo del divide ed impera.
Per bilanciare infatti lo schiacciamento collettivo, bisogna permettere all'individuo di rivalersi in qualche modo a livello personale. Altrimenti la rivolta esploderebbe, compatta e poderosa, e sarebbe inarrestabile.
Permettendo invece al singolo di trarre piccoli vantaggi quotidiani, a spese di tutti gli altri, si riesce ad incanalare la sua frustrazione non più contro le istituzioni, ma contro i propri simili.
Nasce così la tolleranza istituzionalizzata, che ti permette di non pagare l'Iva evitando di fare lo scontrino, che schiaccia un occhio quando dichiari 30.000 euro all'anno e giri con la Ferrari, che finge di non vedere quando costruisci un bagno abusivo dove prima c'era un terrazzino.
Mentre tu ti senti "furbo" per aver "fottuto lo Stato", in realtà hai fottuto i tuoi concittadini, perché i soldi che hai risparmiato individualmente ti verranno comunque tolti a livello collettivo: tu risparmi 100 euro di Iva non versata, ma poi ciascuno di noi paga 100 euro in più, sotto forma di tassazione, quando va a fare benzina, compera le sigarette, oppure paga la bolletta del gas.
E' nella sottile distinzione che esiste fra "stato" inteso come istituzioni, e "collettività" inteso come insieme della popolazione, che si crea lo spazio per alimentare il divide et impera fra i singoli cittadini. Ed è nell'illusione che il vantaggio personale non finisca comunque per ritorcersi contro di te a livello collettivo, che si riesce ad alimentare quel meccanismo in ciascuno di loro.
Ma prima di mettere in funzione la guerra fratricida è necessario aver convinto la popolazione, ai livelli più profondi del nostro inconscio, che "tanto non c'è niente da fare". Altrimenti, quando si presenta un problema quelli si uniscono, ed invece di scannarsi fra di loro vengono dritti contro di te, perchè sanno che invece "qualcosa si può fare".
E a quel punto della tua autorità a divinis te ne fai ben poco: il re è nudo, e non serve nemmeno più che tu ti metta a scappare. Tanto i forconi, che siano terreni o divini, ti attendono in ogni caso.
di Massimo Mazzucco
Fonte:Luogocomune.net
Gli italiani reagiscono come belve ferite se li tocchi nel portafoglio: prova a ritoccare le tariffe dei tassisti, e avrai di colpo intere città bloccate dalle auto gialle, che protestano per questi ritocchi. Oppure prova a ritoccare le sovvenzioni agli agricoltori, e avrai di colpo le strade di mezza Italia bloccate dalle mucche e dai trattori. Ma non vedrai mai i tassisti che scioperano per difendere i diritti degli agricoltori, nè gli agricoltori che scioperano per difendere quelli dei tassisti. In Italia la solidarietà fra le varie categorie non esiste, esattamente come non esiste la soliderietà fra gli individui.
Ognuno per i cazzi suoi, e che Dio ce la mandi buona.
Ma perchè siamo così diversi dagli altri? Perchè gli spagnoli scioperano uniti contro le misure dell'austerity, perchè gli inglesi protestano uniti quando la benzina è troppo cara, perchè i francesi scendono compatti in piazza contro l'innalzamento dell'età pensionabile, mentre noi restiamo serenamente a casa nostra, a meno che la cosa ci riguardi da vicino?
La prima risposta che viene alla mente, è che da noi il meccanismo del divide et impera abbia funzionato meglio che nelle altre nazioni. Ma siamo daccapo: perché da noi avrebbe funzionato meglio, e dagli altri invece molto meno?
Propongo un ragionamento, senza pretendere ovviamente di avere la verità in tasca. La nostra nazione ha una storia molto particolare, che la differenzia da tutte le altre: è stata infatti sia la culla del grande impero romano, ...
... sia la culla della Chiesa cattolica. Queste due entità, apparentemente molto diverse, hanno in realtà una caratteristica fondamentale in comune: sono ambedue basate su un principio di autorità assoluta, che viene dall'alto, e funzionano secondo una rigida struttura gerarchica, nella quale i vertici prendono tutte le decisioni, e agli altri non resta che obbedire.
L'imperatore dalla tribuna volgeva il pollice verso il basso, e il povero gladiatore veniva passato a fil di spada. Il prete invocava il nome di Dio dall'altare, e il povero selvaggio veniva mandato al rogo senza pietà.
Non a caso queste due istituzioni - Impero e Chiesa - sono riuscite a forgiare un'alleanza storica, dal terzo secolo in poi, che ha portato la spada e la croce a diventare due volti della stessa medaglia.
L'una mandava i crociati a conquistare le terre d'oriente, l'altra li assolveva in anticipo per tutti i massacri che avrebbero commesso.
In realtà, il concetto di autorità dall'alto è talmente simile, fra le due istituzioni, che ad un certo punto è nata la famosa questione temporale, ovvero se fosse l'imperatore a dover incoronare il papa, oppure il papa ad incoronare l'imperatore.
Nel frattempo il popolo subiva, anno dopo anno, decennio dopo decennio, secolo dopo secolo, fino ad abituarsi in modo irreversibile a subire senza più protestare. A tutto questo, naturalmente, dava una buona mano il cattolicesimo, che ti insegna ad accettare umilmente le pene terrene, promettendoti in cambio una ricompensa divina. Fiat voluntas Dei.
Il risultato è la tipica reazione dell'italiano di oggi, che di fronte ai problemi che lo affliggono scrolla le spalle e dice rassegnato: "Tanto, che cosa ci vuoi fare?"
Solo a quel punto subentra il meccanismo del divide ed impera.
Per bilanciare infatti lo schiacciamento collettivo, bisogna permettere all'individuo di rivalersi in qualche modo a livello personale. Altrimenti la rivolta esploderebbe, compatta e poderosa, e sarebbe inarrestabile.
Permettendo invece al singolo di trarre piccoli vantaggi quotidiani, a spese di tutti gli altri, si riesce ad incanalare la sua frustrazione non più contro le istituzioni, ma contro i propri simili.
Nasce così la tolleranza istituzionalizzata, che ti permette di non pagare l'Iva evitando di fare lo scontrino, che schiaccia un occhio quando dichiari 30.000 euro all'anno e giri con la Ferrari, che finge di non vedere quando costruisci un bagno abusivo dove prima c'era un terrazzino.
Mentre tu ti senti "furbo" per aver "fottuto lo Stato", in realtà hai fottuto i tuoi concittadini, perché i soldi che hai risparmiato individualmente ti verranno comunque tolti a livello collettivo: tu risparmi 100 euro di Iva non versata, ma poi ciascuno di noi paga 100 euro in più, sotto forma di tassazione, quando va a fare benzina, compera le sigarette, oppure paga la bolletta del gas.
E' nella sottile distinzione che esiste fra "stato" inteso come istituzioni, e "collettività" inteso come insieme della popolazione, che si crea lo spazio per alimentare il divide et impera fra i singoli cittadini. Ed è nell'illusione che il vantaggio personale non finisca comunque per ritorcersi contro di te a livello collettivo, che si riesce ad alimentare quel meccanismo in ciascuno di loro.
Ma prima di mettere in funzione la guerra fratricida è necessario aver convinto la popolazione, ai livelli più profondi del nostro inconscio, che "tanto non c'è niente da fare". Altrimenti, quando si presenta un problema quelli si uniscono, ed invece di scannarsi fra di loro vengono dritti contro di te, perchè sanno che invece "qualcosa si può fare".
E a quel punto della tua autorità a divinis te ne fai ben poco: il re è nudo, e non serve nemmeno più che tu ti metta a scappare. Tanto i forconi, che siano terreni o divini, ti attendono in ogni caso.
di Massimo Mazzucco
Fonte:Luogocomune.net
venerdì 20 luglio 2012
Ore 19, la Sardegna riabbraccia Rossella: "Voglio riposare e festeggiare"
di Cristiano Sanna
Az1595. Molto di più del solito,
impersonale numero che contraddistingue un volo. Quel codice stavolta ha
il sapore di un abbraccio grande quanto un'intera isola. Atterra
all'aeroporto di Elmas proveniente da Roma, Rossella Urru. Ad attenderla
c'è la folla delle grandi occasioni. I compaesani di Samugheo, il
piccolo comune in provincia di Oristano da cui proviene la ragazza.
Arrivano i parenti, si moltiplicano i curiosi, portando appresso
grappoli di palloncini-arcobaleno. Tutti a contendersi il posto in prima
fila alle transenne di fronte alle porte scorrevoli degli arrivi
internazionali. Non mancano giornalisti, fotografi, cameraman. Ad un
certo punto sembra che il volo, atteso in Sardegna per le 18:35, arrivi
prima. Dall'altra ala dell'aeroporto, ore 18 in punto, provengono urla
di festa, battiti di mani, immediato il travaso di reporter e curiosi
per capire cosa stia accadendo. Ma sono "soltanto" i Litfiba, Ghigo e
Piero, appena arrivati per un concerto nel capoluogo sardo. Si ritorna
tutti dall'altra parte, dove non si aspetta che la cooperante tornata,
davvero, a casa.
Stremata e felice - C'è
entusiasmo e c'è commozione (quella di una zia di Rossella Urru, sorella
del padre, che di fronte all'insistenza dei giornalisti chiede con
grande cordialità: "Vi prego, lasciateci gustare questo momento, non mi
chiedete altro"). C'è un caldo che diventa quello di una fornace nella
calca disordinata che attende la piccola operatrice umanitaria sarda,
l'organizzazione da parte dell'autorità aeroportuale non è delle
migliori. Sarebbe bastato creare due cordoni, uno per compaesani e
curiosi, l'altro per la stampa, per evitare il disordine e gli
assembramenti. Invece così si apre un duello a chi starà più vicino alle
porte scorrevoli da cui uscirà Rossella. Finché i carabinieri e
l'addetto stampa dell'aeroporto avvertono: "Rossella è arrivata. E'
stanchissima, ancora scossa da quanto le è accaduto. Farà un breve
saluto a tutti, poi andrà a riposarsi e a festeggiare a Samugheo".
Pioggia di flash - Quando
la ragazza minuta, capelli nerissimi, il viso provato ma sorridente, si
mostra alla folla, è festa. Parte la Banda Verdi di Sestu, suona l'inno
Dimonios della Brigata Sassari, partono, spesso invano, le
salve di flash a tentare di ritrarre Rossella letteralmente circondata
da un cordone di polizia e autorità locali. Si sbracciano i reporter
della televisione, ma niente interviste, e (perché?) nemmeno una veloce
conferenza stampa. La spuntano i samughesi che vengono lasciati
avvicinare a far sentire il loro abbraccio a chi hanno atteso a lungo.
La Urru parla a voce bassa nel vociare festoso attorno a lei. Ringrazia
"il popolo sardo che è stato vicino alla mia famiglia". E' felice,
stremata, emozionata dal ritorno nella sua terra, non vede l'ora di
riabbracciare gli amici di sempre (che l'hanno pianta per nove mesi e
ora sorridono attorno a lei con gli striscioni "Bentornata Rossella").
Ha bisogno di un po' di raccoglimento, viene scortata velocemente verso
un'auto che la attende. Si allontana come una star di quelle che siamo
abituati a vedere sul red carpet, ma in lei non c'è nessun
divismo, nella delusione dei tanti che sognavano lo scoop mediatico, la
dichiarazione solo per la loro testata stampa. Si porta appresso
l'affetto di chi non ha mai smesso di mantenere alta l'attenzione dei
media e del governo perché non cessassero di cercarla, di trattare per
la sua liberazione. Ora per Rossella è il momento del riposo, ma a
Samugheo saranno canti, balli e abbracci, fino a notte fonda. Sì,
bentornata.
Fonte:Tiscali.it
In un Paese serio, una faccia da culo come Formigoni
di: Mark
Invece di indire conferenze stampa dove con stomachevoli menzogne cerca di coprire altre e piu' stomachevoli menzogne arrivando, poi, al punto di querelare alcuni giornalisti colpevoli soltanto di raccontare la verita', sarebbe nottetempo prelevato, portato in un commissariato e/o in una caserma dei carabinieri, dove nel giro di 10minuti10 dovrebbe dare conto con ricevute, estratti conto, rogiti immobiliari e contratti di acquisto, di come abbia potuto "acquistare" , barca da 10 milioni di euro, villa in Sardegna da 8 milioni di euro, di come abbia potuto spendere per 4vacanze4 la somma di euro 70.000 oltre a 25.000 euro per spostamenti aerei . Scoccato l'undicesimo minuto senza che il celeste abbia potuto esibire quanto richiesto, senza indugio alcuno, accompagnato nel piu' vicino penitenziario con relativo getto della chiave. La conferenza stampa gliela farei fare lì con il celeste vestito da iuventino e con alle spalle qualche nerboruto secondino che al minimo accenno di tentativo di profferire ulteriori bugie li propinano paccate di patte nel cioccone nella speranza che diventi ......docile.
Invece di indire conferenze stampa dove con stomachevoli menzogne cerca di coprire altre e piu' stomachevoli menzogne arrivando, poi, al punto di querelare alcuni giornalisti colpevoli soltanto di raccontare la verita', sarebbe nottetempo prelevato, portato in un commissariato e/o in una caserma dei carabinieri, dove nel giro di 10minuti10 dovrebbe dare conto con ricevute, estratti conto, rogiti immobiliari e contratti di acquisto, di come abbia potuto "acquistare" , barca da 10 milioni di euro, villa in Sardegna da 8 milioni di euro, di come abbia potuto spendere per 4vacanze4 la somma di euro 70.000 oltre a 25.000 euro per spostamenti aerei . Scoccato l'undicesimo minuto senza che il celeste abbia potuto esibire quanto richiesto, senza indugio alcuno, accompagnato nel piu' vicino penitenziario con relativo getto della chiave. La conferenza stampa gliela farei fare lì con il celeste vestito da iuventino e con alle spalle qualche nerboruto secondino che al minimo accenno di tentativo di profferire ulteriori bugie li propinano paccate di patte nel cioccone nella speranza che diventi ......docile.
giovedì 19 luglio 2012
Tutto secondo copione: la Camera ha dato il via libera al MES e al Fiscal compact
Tutto come da copione. La Camera dei Deputati italiana ha ratificato oggi il Meccanismo Europeo di Stabilità (Esm) a larghissima maggioranza. I "Sì" sono stati 380, i "no" 59, mentre le astensioni sono state 36.
La Camera dei deputati ha poi approvato in via definitiva il Fiscal compact, con 368 "sì", 65 "no", 65 astenuti. Hanno
votato contro IDV e Lega Nord a cui si sono aggiunti alcuni deputati
del Pdl: Antonio Martino, Guido Crosetto e Sabrina De Camillis. Il
voto contrario in aula è INSIGNIFICANTE, vista la larghissima
maggioranza che sapevamo bene avrebbe consentito di ratificare i
trattati in questione; è eloquente come gli "oppositori parlamentari" non
intendono creare problemi al governo, dal momento che NON HANNO MAI
ILLUSTRATO AI CITTADINI gli effetti devastanti che avranno il "MES" ed
il "Fiscal Compact" che abbiamo illustrato nell'articolo pubblicato dopo la votazione al Senato del 12 Luglio.
DA EVIDENZIARE COME NEMMENO BEPPE GRILLO NE ABBIA PARLATO, preferendo dedicarsi a temi come le nozze gay e l'IMU, che sicuramente non "disturbano il manovratore".
Lidia Undiemi, ex IDV, nei giorni scorsi aveva invitato il Senatore Lannutti, Presidente di Adusbef a "denunciare le complicità del suo partito" ma non ci risulta che abbia ottenuto risposta alcuna.
L'Italia ha aderito ai due "trattati suicida" e nessuno ne parla.
Sottoscritto
il 2 marzo 2012 insieme ad altri 24 governi europei, (si sono rifiutati
il Regno Unito e la Repubblica Ceca) il Fiscal compact entrerà in
vigore il primo gennaio del prossimo anno, quando sarà stato ratificato
da almeno 12 paesi dell'Eurozona, cosa che sicuramente non si farà
attendere.
Fonte:nocensura.com
lunedì 16 luglio 2012
Con il nano riapre il Circo, ........
di: Mark
Ammettiamolo !! Se non fosse per i tragici effetti che il solo pensare di un suo ritorno procura, il divertimento sarebbe assicurato. Sentite questa !! Oggi il nano ha aperto ufficialmente la campagna elettorale. Per l'occasione si è inventato una convention per i frequentatori dei centri sociali per anziani di Don Giorgio Talker. L'appuntamento era fissato all'Hotel Ergife di Roma. Le sedi dei centro sociali sono ubicati nei dintorni della capitale : Fiumicino, Aranova, Testa di Lepre e Bracciano. Prenotati 4/5 pulmann i vecchietti sono stati caricati quasi a forza sui mezzi con la promessa di una gita a Roma e, purtroppo ignari a cosa sarebbero andati incontro. Arrivati all'Ergife si sono trovati in una sala dell'hotel accaldati e spossati e con l'aria condizionata al minimo. Hanno iniziato a chiedere lumi agli organizzatori ed appena hanno saputo che si trattava di una manifestazione politica hanno iniziato a protestare dicendo che a loro non interessa niente di politica e che se avessero saputo che si trattava di cio' non sarebbero manco venuti. Poi e' apparso il Nano e coloro che si erano rassegnati ad aver effettuato una gita a loro insaputa si sono un po' ripresi quando lo stesso nano ha esordito dicendo :" Intanto una promessa solenne per voi. Gno..c.ca per tutti.........".
Ahahahahahahahahahahah. Siori e siore vienghino pure avanti. C'è posto e lo spettacolo sta per iniziare
domenica 15 luglio 2012
Monti fa infuriare i leader europei, ma la stampa italiana censura la notizia e lo incensa
“Monti
è andato a lezione di scorrettezza da Berlusconi “. Lo so, i media
italiani vantano il prestigio del professore, fingono che esso sia
dovuto alla reputazione accademica e non al suo ruolo di garante dei
massacri in sostituzione della troika, ma le cose non stanno
precisamente così, non più almeno. Anzi lo sghetto che il premier ha
tirato alla Merkel e agli altri leader più di due settimane fa, al
vertice di Bruxelles, ha fatto infuriare tutti e ha cominciato a far
nascere domande sull’affidabilità del prof e naturalmente sul Paese.
La storia è stata raccontata da una lunga articolessa di qualche giorno fa sul Frankfurter Allegemeine (qui), il più diffuso quotidiano tedesco: Monti avrebbe violato l’accordo fatto tra i leader europei di non parlare dei risultati del summit di fine giugno e di lasciare a Van Rompuy e Barroso il compito di illustrare il risultato dei lavori. Ma il premier italiano ha disatteso il patto e ha intrattenuto i media con la favola della sua “grande vittoria”. Stando bene attento però di riferire le cose plausibili e vere in inglese e le chiacchiere da miles gloriosus in italiano.
Così il mattino dopo la Merkel, Hollande e gli altri hanno appreso di essere stati sconfitti da un Monti che in realtà era stato molto silente durante la riunione e non solo, ma vengono a sapere che il Mes, potrà acquistare titoli di stato in maniera automatica e senza condizioni. La realtà era invece che si era convenuto di procedere a possibili acquisti di titoli di stato, ma solo su specifica richiesta e dietro precise condizioni. La Merkel insomma si è trovata ad andare a letto da sostanziale vincitrice e si è trovata a fare la prima colazione da sconfitta. Il che naturalmente non l’ha solo mandata in bestia, ma ha ottenuto l’effetto di rendere puramente teoriche anche le pur timide aperture fatte in contrasto con la Bundesbank.
Insomma una figuraccia gratuita e inutile che certamente avrà effetti negativi sulle nostre possibilità di contrattazione. Ma la sobria sceneggiata, fatta ad uso interno, una presa di fondelli per gli italiani, dimostra a che punto sia arrivato il cinismo e l’ambizione di un uomo che ormai è convinto di aver fatto l’uovo nel nido del potere: aveva bisogno di un risultato e se lo è inventato con la lucida complicità dei media. Spero nelle prossime sconfitte: almeno non saranno balle.
Fonte:ilsimplicissimus2.wordpress.com
La storia è stata raccontata da una lunga articolessa di qualche giorno fa sul Frankfurter Allegemeine (qui), il più diffuso quotidiano tedesco: Monti avrebbe violato l’accordo fatto tra i leader europei di non parlare dei risultati del summit di fine giugno e di lasciare a Van Rompuy e Barroso il compito di illustrare il risultato dei lavori. Ma il premier italiano ha disatteso il patto e ha intrattenuto i media con la favola della sua “grande vittoria”. Stando bene attento però di riferire le cose plausibili e vere in inglese e le chiacchiere da miles gloriosus in italiano.
Così il mattino dopo la Merkel, Hollande e gli altri hanno appreso di essere stati sconfitti da un Monti che in realtà era stato molto silente durante la riunione e non solo, ma vengono a sapere che il Mes, potrà acquistare titoli di stato in maniera automatica e senza condizioni. La realtà era invece che si era convenuto di procedere a possibili acquisti di titoli di stato, ma solo su specifica richiesta e dietro precise condizioni. La Merkel insomma si è trovata ad andare a letto da sostanziale vincitrice e si è trovata a fare la prima colazione da sconfitta. Il che naturalmente non l’ha solo mandata in bestia, ma ha ottenuto l’effetto di rendere puramente teoriche anche le pur timide aperture fatte in contrasto con la Bundesbank.
Insomma una figuraccia gratuita e inutile che certamente avrà effetti negativi sulle nostre possibilità di contrattazione. Ma la sobria sceneggiata, fatta ad uso interno, una presa di fondelli per gli italiani, dimostra a che punto sia arrivato il cinismo e l’ambizione di un uomo che ormai è convinto di aver fatto l’uovo nel nido del potere: aveva bisogno di un risultato e se lo è inventato con la lucida complicità dei media. Spero nelle prossime sconfitte: almeno non saranno balle.
Fonte:ilsimplicissimus2.wordpress.com
giovedì 12 luglio 2012
Europa, il poco di buono del dopo-vertice
Dietro le luci del vertice europeo, si stringe il
laccio di una “governance” all’insegna dell’austerità, la ripresa si
allontana e cambiano gli equilibri di Francia e Germania
Non facciamoci abbindolare dalle paillettes
luccicanti o dal clima di euforia montato ad arte dai grandi operatori
dei media che presentano i risultati dell’ultimo vertice dei Capi di
Stato e di Governo dell’Unione Europea del 28-29 giugno scorso come una
“svolta epocale” nelle strategie economiche e finanziarie di Bruxelles:
nessuno, durante il Consiglio Europeo, ha ottenuto una rimessa in
discussione profonda della politica di austerità che ha piombato
l’Eurozona in recessione; nessuno ha finalmente contestato davvero,
nella sede opportuna, la validità economica del dogma dell’austerità. Si
è trattato solo di accompagnarlo e renderlo più digeribile con
l’approvazione di una dichiarazione politica su un “Patto per la
crescita ed il lavoro” dai finanziamenti quanto mai incerti, per dare un
po’ di sollievo ai Paesi più esposti in questa crisi che non accenna a
diminuire in intensità.
Hollande sugli specchi
Regista dell’operazione è stato il neo-presidente francese François Hollande, che adesso ritiene “pienamente soddisfatta” una delle promesse più importanti fatte in campagna elettorale, quella di “rinegoziare il trattato europeo sul patto di bilancio” che costituzionalizza il principio del “deficit zero”. In realtà non c’è stata alcuna rinegoziazione, il trattato è quanto mai vivo e vegeto: anzi, durante la sua conferenza stampa a commento del vertice, Hollande ha affermato che “alla luce dei risultati del summit chiedo adesso al parlamento francese di approvare tutte le iniziative europee sul tavolo, compreso il patto di bilancio (fiscal compact), perché ora si parla anche di crescita”. A chi gli ricordava che in campagna elettorale si era scagliato contro quello stesso trattato che adesso chiede di ratificare, Hollande ha risposto “che per 'rinegoziato' non intendevo necessariamente la riscrittura formale del fiscal compact, ma anche un suo completamento, poco importa la forma”. È evidente che Hollande aveva la necessità di chiudere in tempi brevi la ferita politica apertasi nei rapporti franco-tedeschi con il suo posizionamento anti-patto di bilancio cavalcato in campagna elettorale. La via di uscita è proprio l’approvazione di un generico “patto per la crescita” che difficilmente riuscirà a cambiare i destini economici ed industriali dell’Unione Europea. Si noti che l’iniziativa sulla crescita assume i contorni giuridici di una semplice dichiarazione dei Capi di Stato e di Governo UE mentre il fiscal compact è destinato a modificare le costituzioni degli Stati Membri, che potranno addirittura essere portati in tribunale – la Corte Europea di Giustizia – se non applicano le politiche di austerità. L’adozione di un testo pro-crescita non è mai stata davvero messa in discussione, anche la Cancelliera tedesca Angela Merkel si era subito schierata a favore, a condizione – accettata ed inserita nel testo – di collocare la nuova iniziativa nel contesto delle politiche fiscali di consolidamento dei bilanci, del patto di stabilità e della governance rafforzata dell’euro.
Summum ideologico dell’austerità
Il nuovo accento politico messo dal Consiglio Europeo sulla crescita è ovviamente positivo in termini generali, ma sul piano pratico ha la sola conseguenza immediata di spianare la strada all’entrata in vigore del fiscal compact basato sul principio “deficit zero”, il summum ideologico dell’austerità. Il 29 giugno non è solo la data di chiusura del vertice, ma è anche il giorno in cui il parlamento tedesco, poche ore dopo la riunione di Bruxelles, ha ratificato il fiscal compact con il sostegno di conservatori, liberali ma anche verdi e socialisti, unica contraria la sinistra di Die Linke. Ed è il giorno in cui Hollande ha annunciato la prossima ratifica dello stesso trattato da parte della Francia, certamente con la stessa tipologia di maggioranza, c’è da scommetterci, vista la configurazione del governo e del parlamento parigini. Viene da chiedersi quanto erano sinceri e che fine abbiano fatto tutti gli appelli anti-austerità firmati in questi mesi dagli esponenti socialisti e verdi europe. Da una parte lanciano strali contro l’austerità, ma dall’altra – nei loro parlamenti nazionali – votano persino il fiscal compact.
All’accelerazione della ratifica del patto di bilancio si aggiunga che i Capi di Stato e di Governo si sono impegnati a ratificare in tempi stretti anche il nuovo “two-pack” sulla governance rafforzata (si tratta di un pacchetto legislativo composto da due regolamenti europei che pone nuove condizioni macroeconomiche ai Paesi in difficoltà), e che hanno anche approvato le cosiddette “raccomandazioni specifiche per Paese” che contengono gli ordini di Bruxelles e i compiti a casa in materia economico-fiscale assegnati ad ogni Stato Membro, destinati ad avere un forte impatto sulle politiche sociali nazionali. L’austerità, insomma, esce più che confermata dal vertice del 28-29 giugno.
Il quasi inutile “patto per la crescita"
C’è poi un serio problema che circonda il nuovo “patto per la crescita”. Sì, perché il tanto decantato piano di investimenti pari all’1% del Pil europeo, per un volume annunciato di 120 miliardi di euro in cinque anni, è in realtà tutto interno ai finanziamenti già stanziati dagli Stati membri, in sostanza non si tratta di fondi aggiuntivi, siamo in presenza di un giro di cassa. Ad onor del vero, va detto che ci sono alcuni stanziamenti aggiuntivi, ma ammontano solo a dieci miliardi di euro, somma che coincide con il livello annunciato di ricapitalizzazione della Banca Europea degli Investimenti (BEI), la quale a sua volta li reimpiegherà negli stessi stati da cui li ha ricevuti. Va osservato che gli azionisti della BEI sono i ventisette Paesi che compongono l’Unione Europea, siamo dunque in presenza di un giro contabile, utile certo per stimolare l’economia ma non in grado di modificare i fondamentali della crisi attuale. Globalmente, la BEI è incaricata dal Consiglio Europeo di buttare nell’economia continentale un totale di sessanta miliardi di euro, soldi che arrivano sempre dagli Stati membri UE. Forse sarebbe stato molto più utile decidere che le spese per investimenti pubblici produttivi dei singoli stati non vengano conteggiati nel calcolo dei deficit e del bilancio, ma non si è fatto niente: la Germania continua ad opporsi a questa misura di semplice buon senso economico e politico.
Gli altri sessanta miliardi di euro mancanti dovranno essere trovati in gran parte (55 miliardi) nel riutilizzo dei soldi già stanziati per i Fondi Strutturali Europei (una serie di programmi con i quali la Commissione di Bruxelles finanza numerose politiche per la coesione economica, sociale e territoriale dell’UE). L’idea è di attribuire nuove finalità, più legate alla crescita, ai fondi esistenti: da notare peraltro che “se prendiamo di qua, togliamo di là”, sarà interessante vedere quali programmi si apprestano a tagliare. Si tratterà comunque di un’operazione complicata, anche perché sono ormai due anni che la Commissione Europea non riesce a far fronte agli impegni di esecuzione del bilancio proprio perché i governi non mettono a disposizione le risorse promesse. Non sono in vista aumenti di dotazione del bilancio comunitario, piuttosto il contrario, e dunque i 55 miliardi di Fondi Strutturali non utilizzati esistono per il momento solo sulla carta. Infine, gli ultimi cinque miliardi dovrebbero provenire dall’attivazione dei cosiddetti “project bonds”, piani di investimenti su progetti specifici nei trasporti (Val di Susa, ad esempio), nell’energia, nelle infrastrutture, ecc… garantiti sempre dalla BEI (e siamo al punto di prima).
Il ruolo della BCE
Tutto questo, per essere fatto, prenderà comunque molti mesi, nella migliore delle ipotesi. Ma anche se ci fossero tutti i 120 miliardi da spendere in cinque anni, è troppo polemico ricordare che in quattro anni il sistema bancario privato ha ricevuto 6.000 miliardi di euro in aiuti diretti, e che si appresta a riceverne molte altre centinaia di migliaia? Chi infatti va davvero a nozze con questo Consiglio Europeo sono gli istituti bancari privati ed i mercati finanziari, di nuovo, che non a caso sono letteralmente esplosi di gioia – vedasi le reazioni delle borse – nell’apprendere le due altre misure presentate a Bruxelles: la futura unione bancaria ed il meccanismo anti-spread.
L’unione bancaria consiste sostanzialmente nella supervisione diretta del sistema bancario continentale da parte della Banca Centrale Europea, e – soprattutto – nella gestione comune dell’esposizione degli istituti di credito verso i debiti sovrani degli Stati europei. Ci penserà insomma la BCE a coprire i buchi finanziari delle banche in cambio “di un’appropriata condizionalità”, come recita il comunicato finale del summit dell’Eurogruppo tenutosi nell’ambito del Consiglio Europeo. Le banche si apprestano ancora una volta a ricevere molte centinaia di miliardi di euro in nuovi aiuti, gli Stati cederanno un po’ della loro sovranità ma in cambio vedranno risolti in prospettiva i problemi legati all’esposizione finanziaria degli istituti di credito, legati –è bene ricordarlo- ad una gestione spesso speculativa e troppo disinibita dei loro investimenti – a volte illegittimi – nel mercato mondiale dei bond e più particolarmente in quello europeo. Per forza brindano, hanno trovato chi paga: entro fine anno la BCE renderà operativa l’unione bancaria, o quantomeno comincerà a farlo.
Il meccanismo anti-spread
L’altra, vera novità proveniente dal Consiglio Europeo è l’attivazione rapida di un meccanismo anti-spread per tenere in qualche modo sotto controllo i tassi d’interesse pagati nel mercato dei debiti sovrani da parte dei Paesi che, pur incamminati nella strada indicata dalle direttive di Bruxelles, subiscono gli effetti nefasti di uno spread artificiosamente pompato dalla speculazione finanziaria che realizza in tal modo miliardi di introiti. Molto bene ha fatto il Premier Mario Monti a prendere in ostaggio il quasi inutile “piano sulla crescita” e a convincere la Spagna ad associarsi alla minaccia di veto sull’iniziativa francese, costringendo in tal modo François Hollande a schierarsi al loro fianco (l’altra minaccia di veto sulla “Tobin Tax” era meno credibile, anche perché siamo ancora lontani da una tassa sulle transazioni finanziarie). Bisogna riconoscere che il meccanismo anti-spread è forse la prima, vera misura di solidarietà finanziaria tra gli Stati UE presa negli ultimi due anni: non è semplicemente accettabile che alcuni Stati membri subiscano il sciacallaggio della speculazione pagando tassi di interesse infondati sul piano economico – che annullano in pochi giorni gli effetti di intere manovre economiche e di risanamento – mentre altri Stati membri ne guadagnano di riflesso (la Germania, ad esempio). L’Eurozona ha dunque deciso “di utilizzare gli strumenti esistenti del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) e del Fondo Europeo di Stabilizzazione Finanziaria (FESF) in modo efficiente e flessibile per stabilizzare i mercati dei paesi membri che rispettano le raccomandazioni europee e gli altri impegni”.
Il principio è importante, ma rimangono almeno due dettagli da chiarire da parte dell’ECOFIN. Il primo è legato alla natura delle operazioni finanziarie autorizzate: la Germania ha accettato che il MES e il FESF possano intervenire direttamente nel mercato dei debiti sovrani in stretto collegamento con la BCE, ma va ancora chiarita la capacità operativa riservata ai due fondi salva-stati. Sembra decisamente scartata l'ipotesi che possano comperare titoli sovrani direttamente dagli stati al momento della loro emissione (mercato primario, in questo caso l’efficacia è reale), resta ancora da vedere a che condizioni potranno limitarsi a ricomprarli dai creditori istituzionali o privati che già li posseggono (mercato secondario, in questo caso la misura potrebbe per assurdo favorire la speculazione). Ognuno tira la coperta a sé: la Cancelliera Merkel, ad esempio, ritiene che “andranno rispettate le regole già esistenti ed i protocolli operativi del MES/FESF”, cosa che esclude operazioni efficaci sul mercato del debito. Vedremo quale sarà la sintesi nella riunione dell'ECOFIN del 9 luglio prossimo.
C’è poi – secondo problema – la questione legata alla condizionalità d’accesso / attivazione del meccanismo anti-spread. Per Mario Monti “non c’è alcuna condizionalità, né commissariamenti della troika in vista”, ma tutto ciò andrà verificato. Il comunicato dell’Eurogruppo dice che se uno stato chiede l’attivazione del meccanismo deve sottoscrivere un “memorandum of understanding”, la terminologia usata dalla troika in Grecia… Angela Merkel ritiene comunque che il meccanismo “vada utilizzato solo dentro un quadro di controlli severi e d’impegni precisi”. La questione sarà discussa e precisata nelle prossime settimane. Di certo c’è che questa volta la Cancelliera è stata messa politicamente in un angolo, la batosta è grossa ed inedita: ha dovuto accettare che il MES/FESF intervengano direttamente nei mercati del debito sovrano, in patria aveva fatto della sua contrarietà ostinata a questa misura un marchio di fabbrica. Il “dietrofront” della Merkel è stato reso possibile solo grazie al cambio di guardia all’Eliseo, all’elezione del socialista François Hollande: sia per il possibile veto di Monti e Rajoy contro il “patto sulla crescita” a lui così caro, sia per le sue dichiarazioni in favore di più solidarietà europea, Hollande ha lasciato sola la Merkel al tavolo dei negoziati. Era ora.
I no di Angela Merkel
Il Consiglio Europeo del 28-29 giugno merita dunque un giudizio articolato. Vero è che sullo sfondo si percepisce un cambio di clima politico, grazie soprattutto al diverso posizionamento di François Hollande rispetto al predecessore, Nicolas Sarkozy. Ma la narrativa sulla crescita non può fermarsi qui, non è sufficiente il nuovo “patto” voluto da Hollande. La situazione economica dell’Unione Europea e dell’Eurozona rimane drammatica: tassi record di disoccupazione, recessione, regressione sociale. La situazione dell’Italia rimane particolarmente grave, le decisioni del Consiglio Europeo non alleggeriscono di un grammo i problemi del nostro Paese: speriamo almeno che il nuovo meccanismo anti-spread contribuisca a dare sollievo alle nostre finanze, anche se Mario Monti ha detto che non intende avvalersene. Una dichiarazione tutta politica, il Premier italiano pensa infatti che il solo annuncio della creazione del meccanismo migliorerà i livelli dello spread, con il tempo vedremo se l’intuizione è esatta. Il Consiglio Europeo, confermando l’austerità, ha fatto nuovi regali alle banche e ai mercati, e ha rinviato ancora una volta la discussione su possibili misure di mutualizzazione del debito, l’unica prospettiva – con gli eurobond – per controllare davvero la crisi dei debiti sovrani. Vorrà dire qualcosa se persino il “Comitato tedesco dei cinque saggi” – che consiglia il governo di Berlino sulle grandi questioni economiche – ha proposto di dar vita ad un “fondo di redenzione” dove riporre tutti e subito i debiti sovrani eccedenti il 60% del PIL nazionale, garantiti dalla Banca Centrale Europea, e che gli Stati ripagherebbero in almeno trent’anni. Ma Angela Merkel ha ancora detto “no”. Bisognerà convincerla a cambiare idea, come hanno fatto Mario Monti e François Hollande a fine giugno. Una mano la darà anche qui il tempo, l’anno prossimo si vota in Germania e già alla fine di quest’anno capiremo quale sarà il probabile futuro politico della Cancelliera. Una riedizione dell’attuale maggioranza con i liberali sembra improbabile sul piano elettorale. O sarà sostituita da una coalizione socialisti-verdi (al momento attuale non certissima), o si aprirà la strada ad una nuova “gross koalition”. In entrambi gli ultimi due casi, i più verosimili, Angela Merkel non sarà più quella di prima.
Fonte:Sbilanciamoci.org
Hollande sugli specchi
Regista dell’operazione è stato il neo-presidente francese François Hollande, che adesso ritiene “pienamente soddisfatta” una delle promesse più importanti fatte in campagna elettorale, quella di “rinegoziare il trattato europeo sul patto di bilancio” che costituzionalizza il principio del “deficit zero”. In realtà non c’è stata alcuna rinegoziazione, il trattato è quanto mai vivo e vegeto: anzi, durante la sua conferenza stampa a commento del vertice, Hollande ha affermato che “alla luce dei risultati del summit chiedo adesso al parlamento francese di approvare tutte le iniziative europee sul tavolo, compreso il patto di bilancio (fiscal compact), perché ora si parla anche di crescita”. A chi gli ricordava che in campagna elettorale si era scagliato contro quello stesso trattato che adesso chiede di ratificare, Hollande ha risposto “che per 'rinegoziato' non intendevo necessariamente la riscrittura formale del fiscal compact, ma anche un suo completamento, poco importa la forma”. È evidente che Hollande aveva la necessità di chiudere in tempi brevi la ferita politica apertasi nei rapporti franco-tedeschi con il suo posizionamento anti-patto di bilancio cavalcato in campagna elettorale. La via di uscita è proprio l’approvazione di un generico “patto per la crescita” che difficilmente riuscirà a cambiare i destini economici ed industriali dell’Unione Europea. Si noti che l’iniziativa sulla crescita assume i contorni giuridici di una semplice dichiarazione dei Capi di Stato e di Governo UE mentre il fiscal compact è destinato a modificare le costituzioni degli Stati Membri, che potranno addirittura essere portati in tribunale – la Corte Europea di Giustizia – se non applicano le politiche di austerità. L’adozione di un testo pro-crescita non è mai stata davvero messa in discussione, anche la Cancelliera tedesca Angela Merkel si era subito schierata a favore, a condizione – accettata ed inserita nel testo – di collocare la nuova iniziativa nel contesto delle politiche fiscali di consolidamento dei bilanci, del patto di stabilità e della governance rafforzata dell’euro.
Summum ideologico dell’austerità
Il nuovo accento politico messo dal Consiglio Europeo sulla crescita è ovviamente positivo in termini generali, ma sul piano pratico ha la sola conseguenza immediata di spianare la strada all’entrata in vigore del fiscal compact basato sul principio “deficit zero”, il summum ideologico dell’austerità. Il 29 giugno non è solo la data di chiusura del vertice, ma è anche il giorno in cui il parlamento tedesco, poche ore dopo la riunione di Bruxelles, ha ratificato il fiscal compact con il sostegno di conservatori, liberali ma anche verdi e socialisti, unica contraria la sinistra di Die Linke. Ed è il giorno in cui Hollande ha annunciato la prossima ratifica dello stesso trattato da parte della Francia, certamente con la stessa tipologia di maggioranza, c’è da scommetterci, vista la configurazione del governo e del parlamento parigini. Viene da chiedersi quanto erano sinceri e che fine abbiano fatto tutti gli appelli anti-austerità firmati in questi mesi dagli esponenti socialisti e verdi europe. Da una parte lanciano strali contro l’austerità, ma dall’altra – nei loro parlamenti nazionali – votano persino il fiscal compact.
All’accelerazione della ratifica del patto di bilancio si aggiunga che i Capi di Stato e di Governo si sono impegnati a ratificare in tempi stretti anche il nuovo “two-pack” sulla governance rafforzata (si tratta di un pacchetto legislativo composto da due regolamenti europei che pone nuove condizioni macroeconomiche ai Paesi in difficoltà), e che hanno anche approvato le cosiddette “raccomandazioni specifiche per Paese” che contengono gli ordini di Bruxelles e i compiti a casa in materia economico-fiscale assegnati ad ogni Stato Membro, destinati ad avere un forte impatto sulle politiche sociali nazionali. L’austerità, insomma, esce più che confermata dal vertice del 28-29 giugno.
Il quasi inutile “patto per la crescita"
C’è poi un serio problema che circonda il nuovo “patto per la crescita”. Sì, perché il tanto decantato piano di investimenti pari all’1% del Pil europeo, per un volume annunciato di 120 miliardi di euro in cinque anni, è in realtà tutto interno ai finanziamenti già stanziati dagli Stati membri, in sostanza non si tratta di fondi aggiuntivi, siamo in presenza di un giro di cassa. Ad onor del vero, va detto che ci sono alcuni stanziamenti aggiuntivi, ma ammontano solo a dieci miliardi di euro, somma che coincide con il livello annunciato di ricapitalizzazione della Banca Europea degli Investimenti (BEI), la quale a sua volta li reimpiegherà negli stessi stati da cui li ha ricevuti. Va osservato che gli azionisti della BEI sono i ventisette Paesi che compongono l’Unione Europea, siamo dunque in presenza di un giro contabile, utile certo per stimolare l’economia ma non in grado di modificare i fondamentali della crisi attuale. Globalmente, la BEI è incaricata dal Consiglio Europeo di buttare nell’economia continentale un totale di sessanta miliardi di euro, soldi che arrivano sempre dagli Stati membri UE. Forse sarebbe stato molto più utile decidere che le spese per investimenti pubblici produttivi dei singoli stati non vengano conteggiati nel calcolo dei deficit e del bilancio, ma non si è fatto niente: la Germania continua ad opporsi a questa misura di semplice buon senso economico e politico.
Gli altri sessanta miliardi di euro mancanti dovranno essere trovati in gran parte (55 miliardi) nel riutilizzo dei soldi già stanziati per i Fondi Strutturali Europei (una serie di programmi con i quali la Commissione di Bruxelles finanza numerose politiche per la coesione economica, sociale e territoriale dell’UE). L’idea è di attribuire nuove finalità, più legate alla crescita, ai fondi esistenti: da notare peraltro che “se prendiamo di qua, togliamo di là”, sarà interessante vedere quali programmi si apprestano a tagliare. Si tratterà comunque di un’operazione complicata, anche perché sono ormai due anni che la Commissione Europea non riesce a far fronte agli impegni di esecuzione del bilancio proprio perché i governi non mettono a disposizione le risorse promesse. Non sono in vista aumenti di dotazione del bilancio comunitario, piuttosto il contrario, e dunque i 55 miliardi di Fondi Strutturali non utilizzati esistono per il momento solo sulla carta. Infine, gli ultimi cinque miliardi dovrebbero provenire dall’attivazione dei cosiddetti “project bonds”, piani di investimenti su progetti specifici nei trasporti (Val di Susa, ad esempio), nell’energia, nelle infrastrutture, ecc… garantiti sempre dalla BEI (e siamo al punto di prima).
Il ruolo della BCE
Tutto questo, per essere fatto, prenderà comunque molti mesi, nella migliore delle ipotesi. Ma anche se ci fossero tutti i 120 miliardi da spendere in cinque anni, è troppo polemico ricordare che in quattro anni il sistema bancario privato ha ricevuto 6.000 miliardi di euro in aiuti diretti, e che si appresta a riceverne molte altre centinaia di migliaia? Chi infatti va davvero a nozze con questo Consiglio Europeo sono gli istituti bancari privati ed i mercati finanziari, di nuovo, che non a caso sono letteralmente esplosi di gioia – vedasi le reazioni delle borse – nell’apprendere le due altre misure presentate a Bruxelles: la futura unione bancaria ed il meccanismo anti-spread.
L’unione bancaria consiste sostanzialmente nella supervisione diretta del sistema bancario continentale da parte della Banca Centrale Europea, e – soprattutto – nella gestione comune dell’esposizione degli istituti di credito verso i debiti sovrani degli Stati europei. Ci penserà insomma la BCE a coprire i buchi finanziari delle banche in cambio “di un’appropriata condizionalità”, come recita il comunicato finale del summit dell’Eurogruppo tenutosi nell’ambito del Consiglio Europeo. Le banche si apprestano ancora una volta a ricevere molte centinaia di miliardi di euro in nuovi aiuti, gli Stati cederanno un po’ della loro sovranità ma in cambio vedranno risolti in prospettiva i problemi legati all’esposizione finanziaria degli istituti di credito, legati –è bene ricordarlo- ad una gestione spesso speculativa e troppo disinibita dei loro investimenti – a volte illegittimi – nel mercato mondiale dei bond e più particolarmente in quello europeo. Per forza brindano, hanno trovato chi paga: entro fine anno la BCE renderà operativa l’unione bancaria, o quantomeno comincerà a farlo.
Il meccanismo anti-spread
L’altra, vera novità proveniente dal Consiglio Europeo è l’attivazione rapida di un meccanismo anti-spread per tenere in qualche modo sotto controllo i tassi d’interesse pagati nel mercato dei debiti sovrani da parte dei Paesi che, pur incamminati nella strada indicata dalle direttive di Bruxelles, subiscono gli effetti nefasti di uno spread artificiosamente pompato dalla speculazione finanziaria che realizza in tal modo miliardi di introiti. Molto bene ha fatto il Premier Mario Monti a prendere in ostaggio il quasi inutile “piano sulla crescita” e a convincere la Spagna ad associarsi alla minaccia di veto sull’iniziativa francese, costringendo in tal modo François Hollande a schierarsi al loro fianco (l’altra minaccia di veto sulla “Tobin Tax” era meno credibile, anche perché siamo ancora lontani da una tassa sulle transazioni finanziarie). Bisogna riconoscere che il meccanismo anti-spread è forse la prima, vera misura di solidarietà finanziaria tra gli Stati UE presa negli ultimi due anni: non è semplicemente accettabile che alcuni Stati membri subiscano il sciacallaggio della speculazione pagando tassi di interesse infondati sul piano economico – che annullano in pochi giorni gli effetti di intere manovre economiche e di risanamento – mentre altri Stati membri ne guadagnano di riflesso (la Germania, ad esempio). L’Eurozona ha dunque deciso “di utilizzare gli strumenti esistenti del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) e del Fondo Europeo di Stabilizzazione Finanziaria (FESF) in modo efficiente e flessibile per stabilizzare i mercati dei paesi membri che rispettano le raccomandazioni europee e gli altri impegni”.
Il principio è importante, ma rimangono almeno due dettagli da chiarire da parte dell’ECOFIN. Il primo è legato alla natura delle operazioni finanziarie autorizzate: la Germania ha accettato che il MES e il FESF possano intervenire direttamente nel mercato dei debiti sovrani in stretto collegamento con la BCE, ma va ancora chiarita la capacità operativa riservata ai due fondi salva-stati. Sembra decisamente scartata l'ipotesi che possano comperare titoli sovrani direttamente dagli stati al momento della loro emissione (mercato primario, in questo caso l’efficacia è reale), resta ancora da vedere a che condizioni potranno limitarsi a ricomprarli dai creditori istituzionali o privati che già li posseggono (mercato secondario, in questo caso la misura potrebbe per assurdo favorire la speculazione). Ognuno tira la coperta a sé: la Cancelliera Merkel, ad esempio, ritiene che “andranno rispettate le regole già esistenti ed i protocolli operativi del MES/FESF”, cosa che esclude operazioni efficaci sul mercato del debito. Vedremo quale sarà la sintesi nella riunione dell'ECOFIN del 9 luglio prossimo.
C’è poi – secondo problema – la questione legata alla condizionalità d’accesso / attivazione del meccanismo anti-spread. Per Mario Monti “non c’è alcuna condizionalità, né commissariamenti della troika in vista”, ma tutto ciò andrà verificato. Il comunicato dell’Eurogruppo dice che se uno stato chiede l’attivazione del meccanismo deve sottoscrivere un “memorandum of understanding”, la terminologia usata dalla troika in Grecia… Angela Merkel ritiene comunque che il meccanismo “vada utilizzato solo dentro un quadro di controlli severi e d’impegni precisi”. La questione sarà discussa e precisata nelle prossime settimane. Di certo c’è che questa volta la Cancelliera è stata messa politicamente in un angolo, la batosta è grossa ed inedita: ha dovuto accettare che il MES/FESF intervengano direttamente nei mercati del debito sovrano, in patria aveva fatto della sua contrarietà ostinata a questa misura un marchio di fabbrica. Il “dietrofront” della Merkel è stato reso possibile solo grazie al cambio di guardia all’Eliseo, all’elezione del socialista François Hollande: sia per il possibile veto di Monti e Rajoy contro il “patto sulla crescita” a lui così caro, sia per le sue dichiarazioni in favore di più solidarietà europea, Hollande ha lasciato sola la Merkel al tavolo dei negoziati. Era ora.
I no di Angela Merkel
Il Consiglio Europeo del 28-29 giugno merita dunque un giudizio articolato. Vero è che sullo sfondo si percepisce un cambio di clima politico, grazie soprattutto al diverso posizionamento di François Hollande rispetto al predecessore, Nicolas Sarkozy. Ma la narrativa sulla crescita non può fermarsi qui, non è sufficiente il nuovo “patto” voluto da Hollande. La situazione economica dell’Unione Europea e dell’Eurozona rimane drammatica: tassi record di disoccupazione, recessione, regressione sociale. La situazione dell’Italia rimane particolarmente grave, le decisioni del Consiglio Europeo non alleggeriscono di un grammo i problemi del nostro Paese: speriamo almeno che il nuovo meccanismo anti-spread contribuisca a dare sollievo alle nostre finanze, anche se Mario Monti ha detto che non intende avvalersene. Una dichiarazione tutta politica, il Premier italiano pensa infatti che il solo annuncio della creazione del meccanismo migliorerà i livelli dello spread, con il tempo vedremo se l’intuizione è esatta. Il Consiglio Europeo, confermando l’austerità, ha fatto nuovi regali alle banche e ai mercati, e ha rinviato ancora una volta la discussione su possibili misure di mutualizzazione del debito, l’unica prospettiva – con gli eurobond – per controllare davvero la crisi dei debiti sovrani. Vorrà dire qualcosa se persino il “Comitato tedesco dei cinque saggi” – che consiglia il governo di Berlino sulle grandi questioni economiche – ha proposto di dar vita ad un “fondo di redenzione” dove riporre tutti e subito i debiti sovrani eccedenti il 60% del PIL nazionale, garantiti dalla Banca Centrale Europea, e che gli Stati ripagherebbero in almeno trent’anni. Ma Angela Merkel ha ancora detto “no”. Bisognerà convincerla a cambiare idea, come hanno fatto Mario Monti e François Hollande a fine giugno. Una mano la darà anche qui il tempo, l’anno prossimo si vota in Germania e già alla fine di quest’anno capiremo quale sarà il probabile futuro politico della Cancelliera. Una riedizione dell’attuale maggioranza con i liberali sembra improbabile sul piano elettorale. O sarà sostituita da una coalizione socialisti-verdi (al momento attuale non certissima), o si aprirà la strada ad una nuova “gross koalition”. In entrambi gli ultimi due casi, i più verosimili, Angela Merkel non sarà più quella di prima.
Fonte:Sbilanciamoci.org
mercoledì 11 luglio 2012
Tassare la finanza come primo passo per invertire la rotta
Di Andrea Baranes
Il dibattito europeo intorno alla tassa sulle transazioni finanziarie (TTF) è emblematico degli attuali rapporti di forza tra la sfera finanziaria e quella politica. Da una parte innumerevoli studi e ricerche che ne chiariscono la fattibilità anche nella sola Unione Europea o nella zona euro, appelli di centinaia di economisti, posizione favorevole della maggioranza dei cittadini, e, a parole, delle istituzioni. Dall’altra la potentissima lobby finanziaria che si oppone a ogni nuova normativa.
Il risultato è un balletto di notizie altalenanti sulla sua possibile adozione. Molti Paesi europei, Germania e Francia in testa, si sono detti favorevoli. Il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza per una sua introduzione in tempi brevi. La Commissione ha pubblicato una prima bozza di direttiva. Dall’altro lato troviamo in primo luogo la Gran Bretagna della City di Londra, vero e proprio cuore pulsante della finanza globale, capace di diluire o bloccare qualsiasi proposta di regolamentazione.
La TTF è un’imposta molto ridotta, tipicamente dello 0,05% su ogni compravendita di strumenti finanziari. Il tasso minimo non scoraggerebbe gli investimenti sui mercati, mentre chi specula comprando e vendendo titoli nell’arco di pochi secondi o addirittura di millesimi di secondo dovrebbe pagare la tassa per ogni transazione. La TTF rappresenta quindi uno strumento di straordinaria efficacia per frenare la speculazione senza impattare l’economia reale. La dimensione della finanza è tale per cui anche un’imposta dello 0,05% permetterebbe di generare un gettito di 200 miliardi di euro nella sola Europa e di 650 miliardi di dollari su scala internazionale.
Le ricadute positive non si fermano al contrasto alla speculazione e al gettito. La TTF è uno strumento di redistribuzione delle ricchezze e obbliga la finanza a pagare almeno una parte del costo della crisi. Viene diminuito il volume complessivo delle attività finanziarie, liberando risorse che si possono investire nell’economia reale. La TTF rappresenta inoltre uno dei sistemi più efficaci per implementare dei controlli sui flussi di capitale in entrata e in uscita dai Paesi, un’altra misura fondamentale per riscrivere le regole che sovrintendono la finanza globale.
Gli effetti sarebbero estremamente positivi in particolare in Italia. Chi esporta vedrebbe ridotto il rischio di speculazioni sulle valute; la quotazione del petrolio e delle materie prime sarebbe più stabile e prevedibile; diminuirebbero le possibilità di attacchi sui titoli di Stato. Secondo la Commissione europea, la tassa permetterebbe di generare in Italia oltre 5 miliardi di euro l’anno.
La TTF non è sicuramente la panacea dei mali della finanza, ma permetterebbe di contribuire a una “definanziarizzazione” dell’economia, anche nella misura in cui sposterebbe il peso del fisco dal lavoro alla finanza. Non è unicamente una questione di redistribuzione del reddito o di giustizia sociale. Le tasse possono incentivare o disincentivare alcuni consumi, come avviene tassando il tabacco e le sigarette. Un sistema fiscale come quello attuale, che tassa il lavoro ma lascia liberi i capitali finanziari, è di fatto un incentivo alla speculazione.
Al di là di questi vantaggi, la TTF rappresenterebbe un segnale della volontà di restituire alla sfera politica degli strumenti di controllo su quella finanziaria. Il primo passo di un percorso che deve prevedere la separazione di banche commerciali da quelle di investimento, la chiusura del sistema bancario ombra, la regolamentazione dei derivati, la fine dei paradisi fiscali, la diminuzione della leva finanziaria e via discorrendo.
Dopo i disastri combinati negli ultimi anni la finanza-casinò rialza la testa. Oggi prova a bloccare anche una proposta in sé limitata e di buon senso come la TTF o in alternativa a farne approvare una versione talmente diluita da essere inefficace. Una situazione inaccettabile per le reti e organizzazioni che da anni si battono per una sua introduzione su tutti gli strumenti finanziari, derivati in testa, con lo scopo principale di frenare la speculazione.
Per questo è oggi necessario un potere di “contro-lobby” da parte dei cittadini. Fare sentire con forza la nostra voce nel momento in cui con piani di austerità e tagli alle spese pubbliche si cerca una volta di più di fare ricadere il costo di una crisi provocata da una finanza fuori controllo sulle classi più deboli e che non né hanno alcuna responsabilità.
Davanti a un’Europa sempre più succube dei poteri finanziari e del pensiero unico neoliberista, la TTF può e deve essere il primo passo per invertire la rotta, chiudere una finanza-casinò che trascina nella crisi interi Stati, come avviene oggi in Italia, e creare un sistema finanziario che da fine in sé stesso per fare soldi dai soldi nel più breve tempo possibile torni a essere uno strumento al servizio dell’economia e della società.
Fonte:Sbilanciamoci.org
Il dibattito europeo intorno alla tassa sulle transazioni finanziarie (TTF) è emblematico degli attuali rapporti di forza tra la sfera finanziaria e quella politica. Da una parte innumerevoli studi e ricerche che ne chiariscono la fattibilità anche nella sola Unione Europea o nella zona euro, appelli di centinaia di economisti, posizione favorevole della maggioranza dei cittadini, e, a parole, delle istituzioni. Dall’altra la potentissima lobby finanziaria che si oppone a ogni nuova normativa.
Il risultato è un balletto di notizie altalenanti sulla sua possibile adozione. Molti Paesi europei, Germania e Francia in testa, si sono detti favorevoli. Il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza per una sua introduzione in tempi brevi. La Commissione ha pubblicato una prima bozza di direttiva. Dall’altro lato troviamo in primo luogo la Gran Bretagna della City di Londra, vero e proprio cuore pulsante della finanza globale, capace di diluire o bloccare qualsiasi proposta di regolamentazione.
La TTF è un’imposta molto ridotta, tipicamente dello 0,05% su ogni compravendita di strumenti finanziari. Il tasso minimo non scoraggerebbe gli investimenti sui mercati, mentre chi specula comprando e vendendo titoli nell’arco di pochi secondi o addirittura di millesimi di secondo dovrebbe pagare la tassa per ogni transazione. La TTF rappresenta quindi uno strumento di straordinaria efficacia per frenare la speculazione senza impattare l’economia reale. La dimensione della finanza è tale per cui anche un’imposta dello 0,05% permetterebbe di generare un gettito di 200 miliardi di euro nella sola Europa e di 650 miliardi di dollari su scala internazionale.
Le ricadute positive non si fermano al contrasto alla speculazione e al gettito. La TTF è uno strumento di redistribuzione delle ricchezze e obbliga la finanza a pagare almeno una parte del costo della crisi. Viene diminuito il volume complessivo delle attività finanziarie, liberando risorse che si possono investire nell’economia reale. La TTF rappresenta inoltre uno dei sistemi più efficaci per implementare dei controlli sui flussi di capitale in entrata e in uscita dai Paesi, un’altra misura fondamentale per riscrivere le regole che sovrintendono la finanza globale.
Gli effetti sarebbero estremamente positivi in particolare in Italia. Chi esporta vedrebbe ridotto il rischio di speculazioni sulle valute; la quotazione del petrolio e delle materie prime sarebbe più stabile e prevedibile; diminuirebbero le possibilità di attacchi sui titoli di Stato. Secondo la Commissione europea, la tassa permetterebbe di generare in Italia oltre 5 miliardi di euro l’anno.
La TTF non è sicuramente la panacea dei mali della finanza, ma permetterebbe di contribuire a una “definanziarizzazione” dell’economia, anche nella misura in cui sposterebbe il peso del fisco dal lavoro alla finanza. Non è unicamente una questione di redistribuzione del reddito o di giustizia sociale. Le tasse possono incentivare o disincentivare alcuni consumi, come avviene tassando il tabacco e le sigarette. Un sistema fiscale come quello attuale, che tassa il lavoro ma lascia liberi i capitali finanziari, è di fatto un incentivo alla speculazione.
Al di là di questi vantaggi, la TTF rappresenterebbe un segnale della volontà di restituire alla sfera politica degli strumenti di controllo su quella finanziaria. Il primo passo di un percorso che deve prevedere la separazione di banche commerciali da quelle di investimento, la chiusura del sistema bancario ombra, la regolamentazione dei derivati, la fine dei paradisi fiscali, la diminuzione della leva finanziaria e via discorrendo.
Dopo i disastri combinati negli ultimi anni la finanza-casinò rialza la testa. Oggi prova a bloccare anche una proposta in sé limitata e di buon senso come la TTF o in alternativa a farne approvare una versione talmente diluita da essere inefficace. Una situazione inaccettabile per le reti e organizzazioni che da anni si battono per una sua introduzione su tutti gli strumenti finanziari, derivati in testa, con lo scopo principale di frenare la speculazione.
Per questo è oggi necessario un potere di “contro-lobby” da parte dei cittadini. Fare sentire con forza la nostra voce nel momento in cui con piani di austerità e tagli alle spese pubbliche si cerca una volta di più di fare ricadere il costo di una crisi provocata da una finanza fuori controllo sulle classi più deboli e che non né hanno alcuna responsabilità.
Davanti a un’Europa sempre più succube dei poteri finanziari e del pensiero unico neoliberista, la TTF può e deve essere il primo passo per invertire la rotta, chiudere una finanza-casinò che trascina nella crisi interi Stati, come avviene oggi in Italia, e creare un sistema finanziario che da fine in sé stesso per fare soldi dai soldi nel più breve tempo possibile torni a essere uno strumento al servizio dell’economia e della società.
Fonte:Sbilanciamoci.org
lunedì 9 luglio 2012
Ragazzi, perché litigate ancora sul nucleare?
Il nucleare civile (esclusi casi limite come l'Iran) oggi non è questione politica né ideologica. Anzi qui in Italia è una questione ormai chiusa. Questa fonte energetica, che presenta indubbiamente alcuni pregi e vantaggi, ebbe una notevole espansione negli anni '60 e '70, sia in Occidente (Italia inclusa) che in Unione Sovietica e paesi satelliti. Prima del grave incidente di Three Mile Island(USA, 1979) era largamente diffusa l'ottimistica convinzione che il pericolo di fuga radioattiva da una centrale atomica fosse insignificante. La fede nella tecnologia l'aveva confinato fuori dalla realtà, come un'invasione della Terra dagli alieni, roba da film del genere catastrofico (per una strana coincidenza Sindrome Cineseuscì nei cinema americani pochi giorni prima dell'incidente). La fuga radioattiva in Pennsylvania (dovuta a parziale fusione del nocciolo del reattore), pur senza causare vittime immediate, causò il blocco immediato delle commesse di nuove centrali nucleari negli USA. L'impatto sul programma nucleare degli altri paesi fu assai più blando. Per es. in Italia nei primi anni '80 iniziammo a costruire la grande centrale di Montalto di Castro, che con due grossi reattori BWR(analoghi a quelli di Fukushima) da 1 GW l'uno avrebbe più che raddoppiato la nostra potenza nucleare istallata. Però sopraggiunse il disastro di Chernobyl(1986), che segnò l'inizio del lento ma inesorabile declino del nucleare nel mondo, che perdura tuttora e che ha subìto un'accelerazione nel 2011 dopo Fukushima. In Italia ci fu un referendum dopo Chernobyl (che portò allo spegnimento dei nostri 4 reattori, mentre a Montalto si realizzò una centrale convenzionale) e un altro dopo Fukushima (che bocciò senza appello il piano nuclearista del governo Berlusconi, piano peraltro mai definito in modo men che fumoso). Negli USA le commesse sono lentamente ripartite solo da pochi anni, soprattutto grazie agli incentivi pubblici assicurati sia dal repubblicano Bush che dal democratico Obama. Le prime richieste di licenze per costruire nuovi centrali sono pervenute alla Nuclear Regulatory Commission (NRC) solo nel 2007. Difficilmente il mero shock emotivo dovuto a un incidente può spiegare uno stop così lungo, una sorta di moratoria virtuale, nel rinnovamento del parco reattori (104 unità) della nazione che ospita colossi dell'industria dell'atomo (Westinghouse, General Electric) e che detiene tuttora più di un quarto della potenza istallata nel nucleare civile mondiale. La severissima NRC concede licenze con il contagocce (appena due fino al febbraio 2012) e i cantieri stentano a ripartire. A oggi negli USA (così come in Francia che di reattori ne ha 58) è in costruzione un solo nuovo reattore, l'unità 2 della centrale di Watts Bar, che secondo l'autorità per l'energia del Tennessee dovrebbe entrare in funzione a fine 2015 (con un costo addizionale tra 1,5 e 2 miliardi di dollari oltre quello previsto di 2,5 miliardi). Un solo nuovo reattore entro il 2015, più altri due (forse) entro il 2017, è ben poco per rimpiazzare decine di impianti ormai molto vecchi e tecnicamente obsoleti. Un dato ancora più sconfortante per i sostenitori della cosiddetta rinascita nucleare americana è la data dell'inizio dei lavori a Watts Bar-2: primo dicembre 1972 (sic). Consoliamoci: anche gli USA hanno la loroSalerno-Reggio Calabria, ed è una centrale atomica! Peggio ancora sono andate le cose a Yucca Mountain, località nel deserto del Nevada dove erano iniziati i lavori per un'opera faraonica ma necessaria: il grandedeposito nazionale a lungo termine di scorie radioattive (attualmente stoccate in siti provvisori presso le varie centrali). Dopo averci speso una decina di miliardi di dollari, il progetto è stato abbandonato senza deliberare nessuna soluzione alternativa. I motivi non sono chiari, ma alla fine devono aver capito che il costo finale previsto per il deposito geologico (intorno ai 100 miliardi di dollari) era solo una stima ottimistica. Per inciso anche in Italia c'è assoluta incertezza sul destino delle scorie delle nostre vecchie centrali. Un altro caso emblematico è quello della Germania, altro paese fortemente nuclearizzato e anch'essa (almeno fino a ieri) tra i leader mondiali dell'industria nucleare civile. Hanno definitivamente spento 8 dei loro 17 reattori, i rimanenti lo saranno entro il 2022. Anche qui è difficile spiegare la scelta in termini politici (assecondare l'opinione pubblica maggioritaria) o emotivi. La Germania aveva iniziato a pianificare attentamente il suo futuro energetico già prima di Fukushima, puntando sulle rinnovabili e sull'efficienza energetica e prefiggendosi obiettivi precisi e ambiziosi. Per ora i risultati sono migliori delle previsioni (basta ricordare il boom del fotovoltaico che nel primo semestre 2012 è cresciuto in Germania del 50%), ma l'obiettivo minimo di rimpiazzare in modo indolore l'aliquota del nucleare nel mix energetico nazionale sembra a portata di mano. Analoga e ponderata scelta ha compiuto il colosso tedesco Siemens che tramite l'AD Peter Loscher nel settembre scorso, insieme alla rinunzia alla prevista joint venture con la russa Rosatom, ha annunciato che il nucleare ''è un capitolo chiuso'' mentre l'azienda investirà in modo massiccio nel settore delle rinnovabili. In precedenza Siemens era uscita dal consorzio con Areva, che stava costruendo un grande e sofisticato reattore di terza generazione avanzata in Finlandia (a costo di risarcire con quasi 1 miliardo di dollari l'azienda francese). A proposito dell'EPR da 1,6 GW in costruzione a Olkiluoto dal 2005, il cui completamento era inizialmente previsto per il maggio 2009, segnalo un ulteriore slittamento della data di consegna all'agosto 2014. Da questi esempi si evince che la crisi del nucleare in atto da decenni nel mondo (con le eccezioni di Cina, India, Corea e Russia, dove si concentrano i 3 quarti di tutti i reattori in costruzione) è dovuta essenzialmente afattori tecnici ed economici. Le centrali di ultima generazione, grazie ai loro molteplici sistemi di sicurezza attiva e passiva, pur non essendo invulnerabili sembrano molto più sicure di quelle precedenti (che però sono ancora la quasi totalità degli impianti in esercizio). Per es. incidenti dovuti a errori umani come quelli di Three Mile Island e Chernobyl sono impensabili in una centrale Gen III+. Però la sicurezza ha costi enormi, specie agli standard elevatissimi richiesti dalle autorità di controllo dei paesi occidentali. Basta ricordare che nemmeno i sofisticatissimi Areva EPR e Westinghouse AP1000 sono stati immuni da forti critiche e dubbi sollevati dalla finlandese STUK e dall'americana NCR rispettivamente. Secondo Scientific American, rivista tradizionalmente nuclearista, al netto dei ritardi nelle fasi di concessione della licenza e di costruzione, oggi una nuova centrale atomica costa per megawatt almeno il doppio di un impianto a carbone e il quintuplo di un impianto a gas naturale. Questi enormi costi d'impianto possono essere bilanciati dai minori costi d'esercizio (legati al basso costo del combustibile) solo se gli impianti nucleari lavorano al massimo dell'operatività per molti anni, certo molti di più della vita media dei reattori finora dismessi nel mondo (circa 22 anni, senza considerare i lunghi e frequenti periodi di fermo per manutenzione straordinaria). Almeno altrettanto grandi, e per giunta spesso a carico delle collettività, sono i costi per la dismissione degli impianti e per lo stoccaggio e/o riprocessamento delle scorie radioattive. Un'ultima considerazione, banale ma decisiva. Il nucleare, come tutte le altre fonti non rinnovabili, è destinato a esaurirsi. Con le attuali tecnologie e l'attuale produzione di energia elettronucleare, le riserve accertate di uranioestraibile a costi calcolabili dureranno circa 80 anni. Ma il nucleare oggi copre meno del 5% del fabbisogno mondiale di energia primaria. Se, per ipotesi, pensassimo di sostituire il petrolio con il nucleare, l'uranio basterebbe per appena un decennio (e il prezzo schizzerebbe alle stelle). Piaccia o no, il futuro energetico dell'umanità appartiene alle fonti rinnovabili.
di Fosforo31
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