Di Andrea Baranes
Il dibattito europeo intorno alla tassa sulle transazioni finanziarie
(TTF) è emblematico degli attuali rapporti di forza tra la sfera
finanziaria e quella politica. Da una parte innumerevoli studi e
ricerche che ne chiariscono la fattibilità anche nella sola Unione
Europea o nella zona euro, appelli di centinaia di economisti, posizione
favorevole della maggioranza dei cittadini, e, a parole, delle
istituzioni. Dall’altra la potentissima lobby finanziaria che si oppone a
ogni nuova normativa.
Il risultato è un balletto di notizie altalenanti sulla sua possibile
adozione. Molti Paesi europei, Germania e Francia in testa, si sono
detti favorevoli. Il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza
per una sua introduzione in tempi brevi. La Commissione ha pubblicato
una prima bozza di direttiva. Dall’altro lato troviamo in primo luogo la
Gran Bretagna della City di Londra, vero e proprio cuore pulsante della
finanza globale, capace di diluire o bloccare qualsiasi proposta di
regolamentazione.
La TTF è un’imposta molto ridotta, tipicamente dello 0,05% su ogni
compravendita di strumenti finanziari. Il tasso minimo non scoraggerebbe
gli investimenti sui mercati, mentre chi specula comprando e vendendo
titoli nell’arco di pochi secondi o addirittura di millesimi di secondo
dovrebbe pagare la tassa per ogni transazione. La TTF rappresenta quindi
uno strumento di straordinaria efficacia per frenare la speculazione
senza impattare l’economia reale. La dimensione della finanza è tale per
cui anche un’imposta dello 0,05% permetterebbe di generare un gettito
di 200 miliardi di euro nella sola Europa e di 650 miliardi di dollari
su scala internazionale.
Le ricadute positive non si fermano al contrasto alla speculazione e
al gettito. La TTF è uno strumento di redistribuzione delle ricchezze e
obbliga la finanza a pagare almeno una parte del costo della crisi.
Viene diminuito il volume complessivo delle attività finanziarie,
liberando risorse che si possono investire nell’economia reale. La TTF
rappresenta inoltre uno dei sistemi più efficaci per implementare dei
controlli sui flussi di capitale in entrata e in uscita dai Paesi,
un’altra misura fondamentale per riscrivere le regole che sovrintendono
la finanza globale.
Gli effetti sarebbero estremamente positivi in particolare in Italia.
Chi esporta vedrebbe ridotto il rischio di speculazioni sulle valute;
la quotazione del petrolio e delle materie prime sarebbe più stabile e
prevedibile; diminuirebbero le possibilità di attacchi sui titoli di
Stato. Secondo la Commissione europea, la tassa permetterebbe di
generare in Italia oltre 5 miliardi di euro l’anno.
La TTF non è sicuramente la panacea dei mali della finanza, ma
permetterebbe di contribuire a una “definanziarizzazione” dell’economia,
anche nella misura in cui sposterebbe il peso del fisco dal lavoro alla
finanza. Non è unicamente una questione di redistribuzione del reddito o
di giustizia sociale. Le tasse possono incentivare o disincentivare
alcuni consumi, come avviene tassando il tabacco e le sigarette. Un
sistema fiscale come quello attuale, che tassa il lavoro ma lascia
liberi i capitali finanziari, è di fatto un incentivo alla speculazione.
Al di là di questi vantaggi, la TTF rappresenterebbe un segnale della
volontà di restituire alla sfera politica degli strumenti di controllo
su quella finanziaria. Il primo passo di un percorso che deve prevedere
la separazione di banche commerciali da quelle di investimento, la
chiusura del sistema bancario ombra, la regolamentazione dei derivati,
la fine dei paradisi fiscali, la diminuzione della leva finanziaria e
via discorrendo.
Dopo i disastri combinati negli ultimi anni la finanza-casinò rialza
la testa. Oggi prova a bloccare anche una proposta in sé limitata e di
buon senso come la TTF o in alternativa a farne approvare una versione
talmente diluita da essere inefficace. Una situazione inaccettabile per
le reti e organizzazioni che da anni si battono per una sua introduzione
su tutti gli strumenti finanziari, derivati in testa, con lo scopo
principale di frenare la speculazione.
Per questo è oggi necessario un potere di “contro-lobby” da parte dei
cittadini. Fare sentire con forza la nostra voce nel momento in cui con
piani di austerità e tagli alle spese pubbliche si cerca una volta di
più di fare ricadere il costo di una crisi provocata da una finanza
fuori controllo sulle classi più deboli e che non né hanno alcuna
responsabilità.
Davanti a un’Europa sempre più succube dei poteri finanziari e del
pensiero unico neoliberista, la TTF può e deve essere il primo passo per
invertire la rotta, chiudere una finanza-casinò che trascina nella
crisi interi Stati, come avviene oggi in Italia, e creare un sistema
finanziario che da fine in sé stesso per fare soldi dai soldi nel più
breve tempo possibile torni a essere uno strumento al servizio
dell’economia e della società.
Fonte:Sbilanciamoci.org
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