giovedì 28 giugno 2012

Marchionne sulla sentenza su Pomigliano: "Non esiste in nessuna parte del mondo, folklore locale"

Non usa mezzi termini Sergio Marchionne sulla sentenza che obbliga la Fiat all'assunzione di 145 iscritti alla Fiom nello stabilimento di Pomigliano. "Non voglio dire quello che penso, ma questa legge non esiste in nessuna parte del mondo, da quanto ne so. Focalizzare l'attenzione su questioni locali ignorando il resto è attitudine dannosa. Un evento unico che interessa un particolare Paese che ha regole particolari che sono folcloristicamente locali", afferma per ben due volte, rispondendo a una domanda e facendo capire che vuole parlare di cose più globali.
"Rispetteremo le sentenze" - Per l'amministratore delegato di Fiat-Chrysler, giunto in Cina per inaugurare l'impianto di Changsha dal quale è uscita la Viaggio, auto disegnata per il mercato cinese (anche se, come ha detto lo stesso Marchionne, l'impianto produrrà anche per esportare in Europa e in America), le regole italiane sono uniche ma non creano comunque problemi. Si farà ricorso e "rispetteremo le sentenze", perché "nel corso della sua storia Fiat non ha mai deviato dall'obbligo nei confronti del rispetto della legge, e continueremo a farlo". Il dossier è in mano ai legali. La cosa, comunque secondo l'ad Fiat, non impedirà agli altri di investire, anche se "le implicazioni per il contesto del business sono piuttosto drastiche, perché c'é un livello di complessità nelle relazioni industriali in Italia che è assente in altre giurisdizioni. Tutto diventa molto italiano e difficile da gestire".
Orlando del Pd: "Non può insultare i tribunali" - L'a.d. Della Fiat però “non può insultare i tribunali”, risponde il responsabile giustizia Pd Andrea Orlando replicando così al numero uno Fiat che ha definito "folklore locale" la decisione dei giudici di della Capitale di reintegrare i dipendenti allo stabilimento di Pomigliano: "Parlare di una sentenza di un tribunale della Repubblica che applica le leggi dello Stato e la Costituzione associandolo ad un fenomeno di folklore è un insulto al paese che mi auguro si voglia al più presto correggere. Nemmeno un importante imprenditore può permetterselo. Ricorrere contro la decisione del giudice è un diritto previsto dal nostro ordinamento delegittimare chi li formula è un errore", conclude l’esponente del Pd.
Diliberto: "La sentenza dimostra che sono avvenute discriminazioni" - "Le norme italiane, anche se qualcuno prova con costanza a distruggerle, sono il frutto di decenni di lotta delle lavoratrici e dei lavoratori". Così Oliviero Diliberto, segretario del Pdci, replica in una nota alle parole del numero uno della Fita Sergio Marchionne. "La sentenza dei giorni scorsi - prosegue il leader dei Comunisti italiani - dimostra che a Pomigliano sono avvenute discriminazioni: è un fatto enorme". "Invece di insultare la legislazione italiana, Marchionne - conclude la nota di Diliberto - farebbe bene a preoccuparsi per piani industriali e progetti che fanno acqua da tutte le parti".
Vendola: "Le sentenze si rispettano" - "Qualcuno spieghi a Marchionne che in Italia le sentenze si rispettano. E' davvero insopportabile la sua arroganza e il continuo disprezzo per la democrazia e il rispetto della legalità": così Nichi Vendola, presidente di Sinistra Ecologia Libertà, scrive su twitter da Bruxelles commentando la affermazioni di Marchionne sulla sentenza del tribunale - definita episodio di folclore locale - che ha accolto il ricorso di 145 lavoratori Fiom obbligando la Fiat a riassumerli nello stabilimento di Pomigliano.
Fonte:Tiscali.it

mercoledì 27 giugno 2012

Patrizia Moretti e gli insulti su Facebook


Dopo il pestaggio e l'omicidio (sancito da una sentenza confermata in tre gradi di giudizio), sono arrivate anche le offese.
Stavolta è davvero troppo per la famiglia di Federico Aldrovandi, ragazzo massacrato dai poliziotti a Ferrara nel 2005, attaccata attraverso Facebook, su una pagina creata per difendere i diritti dei poliziotti.
«UNA VERGOGNA». Un episodio inaccettabile per tutti o quasi, tanto da spingere il ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri a esprimersi al riguardo: «Vergognose e gravemente offensive», così il capo del Viminale ha definito le frasi apparse sul social network più popolare al mondo, tra le quali spiccava un «faccia da culo» rivolto da Paolo Forlani (uno dei poliziotti condannati) proprio a Patrizia Moretti, la mamma di Federico.
Così Cancellieri ha annunciato «l'immediato avvio di un procedimento disciplinare per sanzionare l'autore del gravissimo gesto».
VENDOLA E FERRERO SODDISFATTI. Reazione che ha raccolto il plauso della sinistra italiana: «Era ora decisione #Cancellieri per provvedimento disciplinare. Aspettiamo di vedere esito. Non c'è posto per queste persone nelle forze dell'ordine della Repubblica. Giustizia e rispetto per #Aldrovandi», ha scritto Nichi Vendola, presidente di Sinistra ecologia e libertà su Twitter.
«Giudico positivamente la presa di posizione del ministro Cancellieri che ha disposto un provvedimento disciplinare verso le persone che hanno offeso via Facebook la madre di Federico Aldrovandi», ha affermato Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista.
FERRERO: «CANCELLIERI NON DOVEVA USARE IL CONDIZIONALE». «È giusto che lo Stato si faccia sentire, con misure adeguate, e che faccia la sua parte, dicendo chiaramente da che parte sta: dalla parte delle vittime, non dei carnefici. Ora però il ministro dell'Interno dovrebbe assumersi l'impegno affinché la vicenda Aldrovandi non finisca come il G8 di Genova, con i colpevoli che sono stati promossi».
Ferrero ha poi fatto suo l'appello di Amnesty international: «In Italia, come chiede Amnesty in occasione della Giornata internazionale per le vittime della tortura, va istituito il reato di tortura. Il ministro dovrebbe infine chiedere scusa per il suo quanto meno inopportuno uso del condizionale e della formula dubitativa, qualche giorno fa, per interpretare il caso Aldrovandi, nonostante la condanna fosse già stata emessa. I genitori del ragazzo di Ferrara hanno già subito una violenza e un dramma assurdi, hanno lottato per avere verità e giustizia, ci vuole il massimo rispetto nei loro confronti».

Patrizia Moretti: «Ora chiediamo il licenziamento»

Ma la reazione più importante è stata certamente quella di Patrizia Moretti, la madre di Federico, che ha chiesto «il licenziamento dei poliziotti come ci era stato annunciato dal capo della Polizia Manganelli».
«COMMENTI TROPPO FREQUENTI». Le parole del ministro Cancellieri sono state accolte positivamente anche da lei, ma non possono bastare: «Ben venga il procedimento per quelle frasi e quelle parole, commenti che sentiamo ormai da troppi anni, che ci sono sempre stati, ma venuti ora alla luce a livello nazionale casualmente e solo perché li ho denunciati. Ma il vero intervento che io e noi familiari di Federico attendiamo dal ministro è il procedimento disciplinare che porti al licenziamento degli agenti condannati per la morte di mio figlio».
Fonte:Lettera43.it

martedì 26 giugno 2012

Agricoltura, Petrini lancia la sfida ai partiti “Come mangiamo è il primo atto politico”


Carlo Petrini il fondatore di slow food, ha lanciato questo invito/sfida a la "Repubblica delle idee" manifestazione svoltasi a Bologna dal 14 al 18 giugno.

Dopo la battaglia per l'acqua vinta esattamente un anno fa con i referendum, è arrivato il momento di far partire quella per il suolo: dobbiamo trasformarci da consumatori in co-produttori, perché il nostro modo di mangiare è il primo atto agricolo ed è in grado di cambiare un modello di produzione che ci sta portando sull’orlo del baratro. Dobbiamo scegliere i gruppi di acquisto solidale, i mercati dei produttori locali e soprattutto essere coscienti e informati per sostenere una nuova forma di resistenza. I nostri nonni stenterebbero a crederlo, siamo una società che spende più per dimagrire che per mangiare. Non ho nostalgia per il mondo antico, ma dobbiamo far tornare i giovani alla terra e al mestiere di contadino, perché c’è più saggezza e conoscenza in un contadino che in un banchiere. Sono loro, i contadini, che difendono il suolo dai dissesti idrogeologici, che razionalizzano l’uso delle risorse idriche, che conservano la memoria. Occorre quindi mettere in campo gli strumenti economici e culturali necessari a far tornare ai giovani la voglia e l’orgoglio di coltivare la terra. Ma finché gli agricoltori sono costretti a vendere un litro di latte a 30 centesimi al litro e un quintale di grano a 14 euro, questo non sarà possibile. Riformare il modo di provvedere al nutrimento di un pianeta in continua crescita demografica è il primo tassello per uno sviluppo sostenibile. Ma il cambio di paradigma non arriverà da improbabili accordi internazionali siglati all’imminente conferenza di Rio+20.
Il summit non porterà a nulla, perché si potrà solo prendere atto che questa governance è fallita. Ma Rio sarà una tappa nel cammino di quelle che Edgar Morin chiama “le comunità di destino”. Ce ne sono migliaia in tutto il mondo e rappresentano una realtà vera e crescente, fatta di gente che sente il peso della responsabilità, anche se non ha rappresentanza perché la politica dorme e non se n’è accorta, mentre è lì che dovrebbe stare, soprattutto la mia amata sinistra. Eppure, la “primavera” sta arrivando.
Tratto dall'articolo di Valerio Gualerzi pubblicato su Repubblica.it

venerdì 22 giugno 2012

PROCESSO DIAZ/ La beffa: per i 25 poliziotti “falso in atto pubblico”, per i 10 attivisti cento anni di condanna

Processo Diaz. Soltanto tre giorni fa, come molti sapranno, il primo colpo di scena: dopo ben due anni di rinvii, pause e interruzioni, cambia a sorpresa il presidente del collegio in Cassazione. Via Aldo Grassi arriva Giuliana Ferrua che avrà pochissimi giorni per studiare le carte. Ora un altro colpo di scena: gli imputati (25 tra agenti, funzionari e dirigenti della Pubblica Sicurezza), tutti condannati in appello, rischiano di essere condannati solo per falso in atto pubblico. Per le lesioni (e  le torture) è invece certa la prescrizione. Per dieci manifestanti, invece, si rischia una condanna esemplare: cento anni in totale. Oltre il danno, la beffa.

di Carmine Gazzanni
processo_diaz_danno_e_beffaIl processo per l’irruzione alla scuola Diaz durante il g8 di Genova del 2001 continua, con i suoi colpi di scena, a far parlare di sé. Non sono bastati, infatti, continui rinvii, interruzioni inspiegabili e pause interminabili. E allora, dopo quasi undici anni dai fatti, dopo che finalmente il processo è arrivato in Cassazione con le condanne in appello di 25 tra poliziotti e alti dirigenti, ecco l’ennesimo evento inspiegabile: cambia senza alcuna vera ragione il presidente del collegio. Via Aldo Grassi ed ecco Giuliana Ferrua. Un caso non comune, anche perché il nuovo presidente avrà certamente poco tempo per studiare a fondo tutte le carte. Senza dimenticare, per giunta, che la vicenda è assolutamente delicata, dato che tra gli imputati ci sono dirigenti autorevoli come Gianni De Gennaro, da poco sottosegretario per nomina diretta di Mario Monti, Franco Gratteri, capo della Direzione centrale anticrimine, Gilberto Caldarozzi, capo dello Servizio centrale operativo, Giovanni Luperi, capo del dipartimento analisi dell’Aisi, l’ex Sisde.
Una stranezza che, dopotutto, arriva dopo molte altre. Basti pensare, ad esempio, che dalla sentenza della corte d’appello sono passati oltre due anni (18 maggio 2010). Un tempo che supera ogni giustificazione. Anche perché, nel frattempo, i termini di prescrizione si sono avvicinati inesorabilmente. E così, paradossalmente, nessuno dei reati veri per i 25 imputati è rimasto in piedi: ormai è certa, infatti, la prescrizione per le lesioni.
Non solo. Proprio ieri il sostituto procuratore generale Pietro Gaeta, nel corso della prima udienza in Cassazione, ha precisato che non si può applicare il reato di tortura ai poliziotti imputati. La richiesta, infatti, era stata avanzata dalla Procura Generale di Genova proprio per la scadenza dei termini per il reato di lesione. Il reato di tortura, però, non è previsto dal nostro ordinamento (sebbene sia contemplato dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo). Giusto o sbagliato che sia, il risultato di tutto questo arzigogolato iter processuale è paradossale: l’unico reato rimasto in piedi è quello di falso in atto pubblico, relativo alla firma e all’avvallo di verbali di arresto e perquisizione a carico dei 93 arrestati pieni di circostanze non vere, come quella delle molotov attribuite ai manifestanti, mentre oggi sappiamo che erano state portate proprio dalla polizia.
Insomma, con grande probabilità non ci sarà alcuna condanna per le violenze, le lesioni e le torture a cui furono sottoposti circa 60 tra giornalisti e attivisti in quel blitz. Con la conseguenza paradossale che le condanne – semmai ci si arriverà – saranno molto inferiori rispetto a quanto sarebbero potute essere.
E non finisce qui. Oltre al danno la beffa. Se infatti i 25 imputati tra i poliziotti godranno di un notevole sconto di pena, non sarà così per i dieci attivisti che rischiano, il 13 luglio, di essere condannati in Cassazione a cento anni complessivi. Il reato contestato? “Devastazione e saccheggio”, un reato vecchio e impolverato  che trova origine, addirittura, nel famoso Codice Rocco, figlio del periodo fascista. La domanda sorge, allora, spontanea: perché condannare dieci persone in un evento che vide, da ambo le parti, la partecipazione di centinaia di migliaia di persone? Che si sia dato atto al “colpirne dieci per educarne cento”? Non solo. Il reato prevede una “compartecipazione psichica” tra gli imputati, anche quando non c’è – come in questo caso - un’effettiva associazione o movimento che li raggruppasse. Ma chi decide questa “compartecipazione psichica”? È evidente, dunque, il rischio di arbitrarietà in cui può incorrere un giudice.
Non a caso, dinanzi alla possibilità di un orrore democratico e giuridico, soltanto due giorni fa è nato un sito, 10x100 (nome non casuale), in cui, oltre al materiale processuale, è presente un appello.Il prossimo 13 luglio – si legge - dieci persone rischiano di diventare i capri espiatori e vedersi confermare, in Cassazione, una condanna a cento anni di carcere complessivi, in nome di un reato, ‘devastazione e saccheggio’, che rappresenta uno dei tanti detriti giuridici, figli del codice penale fascista, il cosiddetto Codice Rocco”. E ancora continua l’appello: “E’ inaccettabile che, a ottant’anni di distanza, questa aberrazione giuridica rimanga nel nostro ordinamento e venga usata per condannare eventi di piazza così importanti, che hanno coinvolto centinaia di migliaia di persone, come le mobilitazioni contro il G8 a Genova nel 2001. Non possiamo permettere che dopo dieci anni Genova finisca così, per questo facciamo appello al mondo della cultura, dello spettacolo, ai cittadini e alla società civile a far sentire la propria voce firmando questo appello che chiede l’annullamento della condanna per devastazione e saccheggio per tutti gli imputati e le imputate”. Tra i firmatari, finora, compaiono importanti nomi. Erri De Luca, Ascanio Celestini, Giorgio Tirabassi. E poi Daniele Vicari (il regista di Diaz) e Valerio Mastrandrea. Importanti giornalisti come Giuliana Sgrena, Loredana Lipperini, Giancarlo Castelli e Curzio Maltese. E poi il giurista Fabio Marcelli.
La più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”. Questo era il parere di Amnesty International sul caso Diaz.
Fonte:Infiltrato.it

giovedì 21 giugno 2012

Pomigliano, Fiat condannata: dovrà assumere le 145 tute blu Fiom


 
Il Tribunale di Roma ha condannato la Fiat per discriminazioni contro la Fiom a Pomigliano: 145 lavoratori con la tessera del sindacato di Maurizio Landini dovranno essere assunti nella fabbrica. Lo rende noto la stessa Fiom precisando che 19 iscritti al sindacato avranno anche diritto a 3.000 euro per danno.
Causa della Fiom basata su una norma del 2003 - La Fiom - spiega l'avvocato Elena Poli - ha fatto causa alla Fiat sulla base di una normativa specifica del 2003 che recepisce direttive europee sulle discriminazioni. Alla data della costituzione in giudizio, circa un mese fa, su 2.093 assunti da Fabbrica Italia Pomigliano nessuno risultava iscritto alla Fiom. In base a una simulazione statistica affidata a un professore di Birmingham le possibilità che ciò accadesse casualmente risultavano meno di una su dieci milioni.

Fiom ha agito per conto di tutti gli iscritti - Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, ha agito per conto di tutti i 382 iscritti alla sua organizzazione (nel frattempo il numero è sceso a 207) e a questa cifra fa riferimento il giudice ordinando all'azienda - come anticipato dalla Fiom - di assumere 145 lavoratori con la tessera dei metalmeccanici Cgil. L'azione antidiscriminatoria - spiega ancora il legale della Fiom - può essere promossa dai diretti discriminati e se la discriminazione è collettiva dall'ente che li rappresenta. Per questo 19 lavoratori hanno deciso di sottoscrivere individualmente la causa e hanno ottenuto i 3.000 euro di risarcimento del danno.
Fonte:Tiscali.it

lunedì 18 giugno 2012

La finanza fermata alle Termopili

Cosa festeggia l’Europa? E cosa festeggiano i nostri solerti commentatori di ritorno dalle kermesse  o meno? La vittoria di Pirro del gruppo conservatore che tanto bene rappresenta questa Ue di ricatti, egoismi e trucchetti? Oppure festeggiano il fatto di aver ancora una volta allontanato l’uscita della Grecia dall’Euro che potrebbe mettere a nudo i meccanismi e le bugie con cui il sistema finanziario tiene per la borsa il continente?
Non ha molta importanza, se brindano vuol dire che non hanno capito proprio niente: la vittoria di Samaras è più fragile dei fini cristalli dove finisce il breve champagne di una mattina. L’aumento di Nuova democrazia è avvenuto erodendo altre formazioni di destra, la Grecia non solo rimane a sinistra, ma rimane anche in maggioranza contraria ad aderire ai diktat finanziari e bancari. Fare un governo sarà difficilissimo, fare un governo che davvero si pieghi a tutto richiederà una volontà suicida del Pasok, fare un governo stabile sarà impossibile. Insomma la paura diffusa a piene mani per mesi, i ricatti , le forzature, le promesse fasulle di salvezza, le enormi pressioni da tutto il mondo e decine di milioni in “spese di rappresentanza”,  hanno prodotto un topolino, una manciata di voti.
I mercati, al contrario dei commentatori nostrani di destra e ahimè anche di sinistra, lo sanno e per questo non festeggiano affatto, anzi giocano al ribasso e fanno di nuovo salire i nostri spread: il terrorismo bancario, esercitato con violenza inedita da quasi un secolo a questa parte (la precedente vittima fu l’attuale carnefice, cioè la Germania)  non è riuscito nel suo intento di piegare un piccolo Paese, ma solo di raggranellare qualche mese. Un fallimento per chi forse pensava che i tempi fossero maturi per derubare la sovranità democratica con poca resistenza. Non solo non si è ottenuto questo, ma si sono messi in moto meccanismi perversi i cui effetti non tarderanno a farsi sentire.
Forse la vicenda elettorale greca è anche un memento per quei partiti di ispirazione socialista e socialdemocratica che in tutto il continente perdono voti fino quasi a scomparire quando rinunciano al senso stesso della loro esistenza che in questi anni -perdonate il gioco di parole – sta proprio nella resistenza al grande assalto dell’economia finanziaria alla civiltà del lavoro. Il Pasok è ormai un partitino e altri si apprestano a seguirne il  destino se non comprendono in tempo che la battaglia non è persa, ma appena cominciata. E se scambiano per vittorie, le sconfitte.
Fonte:ilsimplicissimus2.wordpress.com

venerdì 15 giugno 2012

BEPPE GRILLO ,JP MORGAN,CASALEGGIO,ECCO I COLLEGAMENTI



La rete non si ferma, la nostra ricerca continua, i nostri dubbi diventa realtà. Sono Dati confermati, nessun complottismo, molti grillini non ci stanno più. Vediamo se continua il silenzio.

Sappiamo tutti che la televisione è controllata da banche e multinazionali, che investono nelle pubblicità. Ma Internet dovrebbe essere libero, nel video si evince che il Blog di Grillo è gestito dalla Casaleggio Associati.

Casaleggio Associati gestisce anche il famoso Blog “cado in piedi”, “notizie dalla rete ”, “TZETZE POLITCA E SOCIETA’”

Nel sito CHIARELETTERE casa editrice stampa i libri di Travaglio, Peter Gomez, ecc ecc, nella sezione chi siamo: la strategia è stata affidata è stata affidata alla Casaleggio Associato, nel sito stesso si evince che la Casaleggio è entrato nell’azionarato del FATTO QUOTIDIANO, DIRETTO DA PETER GOMEZ.

La Casaleggio Associati ha 5 soci, Enrico Sansoon, all’estero scrive il cugino Donald Sansoon e parlare di un nuovo ordine mondiale via web (guardare il video). Sansoon Enrico, per 8 anni amministratore American Chamber Of Commerce in Italy una lobby di una multinazionale in Italia.

PER QUESTO MOTIVO BEPPE GRILLO NON PARLA PIU’ DI BANCHE?

Nel testo presente nel video si evidenzia la famiglia Sansoon come fra le più importanti famiglie del mondo nel campo economico.

Fra i partener della Casaleggio Associati vediamo una fra le banche più grandi al mondo JP MORGAN.

Scommettiamo che troviamo anche qualche società o azioni in grandi società di fotovoltaico?

Non credete a Beppe Grillo che vi liquida con una battuta, chiedete serietà e risposte, ma una sola domanda bisognerebbe porsi... cosa c’entra Beppe Grillo con questa gente?

Grazie per il video.

Gaetano Vilnò

Fonte: www.movimentorevolution.it

mercoledì 13 giugno 2012

DDL ANTICORRUZIONE/ Di Pietro in trincea: la “non candidabilità dei condannati”? Una bufala. Ecco tutte le bugie del governo

L’articolo 10 del ddl – quello sulla incandidabilità dei condannati – è passato con maggioranza bulgara. Pd, Pdl e Udc hanno approvato in massa garantendo fiducia al Governo, autocelebrandosi: quest’articolo – dicono – è un freno alla corruzione dilagante e, come ha detto l’Onorevole Mantini (Udc) nel suo intervento, “recepisce quanto detto pochi giorni fa dalla Corte dei Conti”. Bufale su bufale. L’articolo, infatti, prevede una “non candidabilità” dei condannati solo temporanea (come può un condannato per mafia amministrare la cosa pubblica anche se passano anni dalla sua condanna?) e, soprattutto, prevede una delega di un anno. Dunque per la prossima legislatura porte aperte – ancora una volta - ai condannati in Parlamento.

di Carmine Gazzanni
di-pietro_in_trinceaCome sempre dietro c’è il trucco. L’articolo 10 del ddl anticorruzione è stato appena approvato: 461 sì, 75 no e 7 astenuti. Non sono mancate le sorprese. Futuro e Libertà, ad esempio, ha deciso di astenersi per la presenza di un comma che –come vedremo – garantisce ai condannati di poter accedere alle istituzioni per i prossimi dodici mesi. Ma anche l’intervento del Pdl è stato molto critico, soprattutto sull’opportunità del voto di fiducia che, come sempre in questi casi, pregiudica la normale discussione nelle aule parlamentari. Non solo. Al termine delle dichiarazioni ha preso la parola Alessandra Mussolini che, con parole forti, ha accusato il governo di “non aver fatto niente fino ad ora” ed ha annunciato il suo voto contrario.
Nonostante questo, però, la fiducia è arrivata, garantita da Pd e Udc che, nei loro interventi in Aula, si sono vantati di aver approvato una norma coi controfiocchi, una norma che ha il merito – hanno detto tutti in coro – di contrastare la dilagante corruzione nella politica italiana. Pierluigi Mantini, addirittura, nel suo intervento ha citato la relazione di pochi giorni fa della Corte dei Conti: secondo l’Onorevole Udc l’articolo 10 recepirebbe in toto quanto denunciato dalla Corte. Poi è toccato al Partito Democratico con Oriano Giovanelli: “la norma è da approvare – ha detto - perché altrimenti la corruzione ci sfuggirebbe dalle mani”.
Balle. A leggere attentamente quanto previsto dall’articolo 10, infatti, si rimane assolutamente basiti per alcune incongruenze con quanto dichiarato dall’anomala maggioranza targata ABC e dall’esecutivo stesso. Ma andiamo con ordine. Al comma uno dell’articolo, infatti, si definisce certamente la “incandidabilità alla carica di membro del Parlamento europeo, di deputato e di senatore della Repubblica, di incandidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali” per i condannati in via definitiva per reati gravi (terrorismo, mafia e reati contro la cosa pubblica). Ma attenzione. Sempre nel comma uno si specifica che ciò varrà “entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
Cosa vuol dire questo? Semplice: alle prossime politiche le porte del Parlamento (e non solo del Parlamento) resteranno spalancate per i tanti e tanti condannati che anche oggi sono presenti nelle nostre istituzioni. Eppure, denuncia ad esempio l’Onorevole Favia (Idv), “c’ era stato parere favorevole in commissione ad accorciare questa delega da un anno a sei mesi”. Niente da fare. Il governo non ha recepito l’emendamento Idv. I motivi? Restano oscuri. Fatto sta per un anno nulla cambierà nelle Aule parlamentari e dei consigli regionali, provinciali e comunali. Non a caso, oltre a Idv e Lega, anche Fli ha criticato l’esecutivo. Ma – ça va sans dire – in maniera flebile, astenendosi dal voto.
Ma non finisce qui. Andiamo avanti. Altro incomprensibile comma è il secondo. In un passaggio, infatti, si legge che ci si impegna a “prevedere che non siano temporaneamente candidabili a deputati o a senatori coloro che abbiano riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione”. Esattamente: temporaneamente. Come denunciato da Favia, infatti, “la temporaneità deve uscire dai criteri di questa delega”. Ammettiamo infatti che un condannato in via definitiva per reati gravi come quello di mafia, voglia un giorno, a distanza di anni, intraprendere la strada politica. Sarà assolutamente libero di farlo.
Ma i limiti non finiscono certamente qui. A cominciare dal fatto che i condannati in primo e secondo grado anche per reati gravissimi saranno liberi di accedere alle istituzioni. Con conseguenze imbarazzanti: un emendamento (il 4-0600) infatti prevede che chi è condannato in primo grado non possa fare il dirigente pubblico. Con quest’articolo appena approvato, però, si arriva al paradosso: non potrà essere dirigente pubblico, ma tranquillamente potrà fare l’amministratore pubblico. Insomma, un tantino (si fa per dire) di spaventosa incoerenza.
Non solo. Contrariamente a quanto promesso in un primo tempo dall’esecutivo, non è stata nemmeno recepito il codice etico approvato dalla direzione antimafia, che, dunque, resta lettera morta.
Tante belle parole. Ma i fatti stanno a zero. Come sempre.
Fonte:Infiltrato.it

martedì 12 giugno 2012

Esodati, dramma sociale: anche l’Inps smentisce la Fornero


Esodati, dramma sociale: anche l’Inps smentisce la Fornero

Gli esodati? Sono 390.000, anche se il governo ne tutela solo 65.000. La guerra dei numeri che si combatte sulla pelle dei lavoratori registra l’ennesimo colpo di scena, grazie alle cifre fornite dall’Inps. La massa reale delle persone che potrebbero aver diritto ad andare in pensione sulla base delle vecchie regole, secondo il decreto “Salva-Italia” e il “Milleproroghe”, emerge infatti in modo incontrovertibile dalla relazione che l’istituto di previdenza sociale ha inviato al ministero del Lavoro prima della firma del decreto che ha fissato in appena 65.000 il numero dei salvaguardati. A conti fatti, l’Inps mette nero su bianco un buco normativo su almeno 330.000 lavoratori, ora certificato anche nei numeri: la stragrande maggioranza degli esodati non potrà quindi accedere alla pensione, a differenza della minoranza tutelata dalla Fornero.Come se non bastasse, scrive il “Fatto Quotidiano”, la diffusione dei dati ha mandato su tutte le furie il ministro del Lavoro, intervenuta l’11 giugno con Antonio Mastrapasqua, presidente Inpsuna dura critica alla dirigenza dell’ente previdenziale: la Fornero, si legge in una nota, «ha manifestato ai vertici dell’Inps la propria disapprovazione e deplorato la parziale e non ufficiale diffusione di informazioni che ha provocato disagio sociale». Vertici “convocati”, a cominciare dal direttore generale dell’Inps, Mauro Nori, «per avere chiarimenti circa notizie relative a documenti interni all’Istituto contenenti valutazioni che, non corredate da spiegazioni e motivazioni di dettaglio, hanno finito per ingenerare confusione e sconcerto nella pubblica opinione», anche se il governo, ammette la stessa Fornero, è perfettamente consapevole che il provvedimento sugli esodati «non esaurisce la platea di persone interessate alla salvaguardia».
Nel mirino, in particolare, «i lavoratori per i quali sono stati conclusi accordi collettivi di uscita dal mondo del lavoro». Soggetti che «avrebbero avuto accesso al pensionamento in base ai previgenti requisiti – non prima del 2014 – a seguito di periodi di fruizione di ammortizzatori sociali». Sempre il governo conferma «l’impegno per questi altri lavoratori a trovare soluzioni eque e finanziariamente sostenibili». Ma da Susanna Camusso a Stefano Fassina fino ad Antonio Di Pietro, ce n’è abbastanza per sparare ancora sull’esecutivo guidato da Mario Monti. Per il responsabile economico del Pd, «il documento Inps sugli esodati conferma che il provvedimento per i 65.000 è soltanto l’avvio della soluzione del drammatico problema generato dagli errori contenuti nel decreto “Salva-Italia”». Più duro il leader dell’Idv, che parla di un «tira e molla sugli esodati» che «non è degno di uno Stato di diritto». Per la leader della Cgil, «bisogna trovare una norma per Elsa Fornerodare risposte a tutti: qualunque riforma fatta civilmente presuppone una clausola di salvaguardia».
A monte, naturalmente, una scelta politica ben chiara: tagliare le pensioni, senza introdurre una patrimoniale. E’ lo stile del governo Monti: colpire nel mucchio, a partire dall’Iva, dall’Imu e dalla benzina, cercando di introdurre aggravi graduali e progressivi, quasi sottobanco, per non suscitare eccessivo allarme. «Se queste “riforme” fossero state attuate di colpo – dice l’ex ministro Paolo Ferrero – i pensionati avrebbero preteso spiegazioni sullo stato finanziario dell’Inps: che – sorpresa – non è affatto in passivo: e allora perché devono pagare i pensionati?». Perché “lo vuole l’Europa”, naturalmente: l’Europa che emana i suoi diktat attraverso la Bce, coi quali fa cadere i governi eletti e “nomina” i suoi commissari, per imporre l’assurdo rigore di “riforme strutturali” antidemocratiche e antipopolari. Obiettivo finale, lo Stato: privato di sovranità finanziaria e poi costretto addirittura alla follia del “pareggio di bilancio”. Non paga la finanza, che ha architettato l’oligarchia europea dei tecnocrati non-eletti: pagano i lavoratori, le famiglie, le aziende. E, appunto, i pensionati.
Fonte:Libreidee.org

lunedì 11 giugno 2012

CASTA/ La Camera approva: puoi assentarti senza rinunciare alla diaria (se il gruppo accetta…)

L’ultima trovata della casta: d’ora in avanti aumenteranno i deputati che potranno assentarsi dalle sedute di voto senza andare incontro ad alcun tipo di taglio alla diaria (3.500 euro al mese). Il provvedimento, approvato a metà marzo nel silenzio generale, è stato reso pubblico solo la scorsa settimana. E pensare che ad oggi il taglio in caso di assenza si aggirava intorno a sole 200 euro. Briciole a cui i parlamentari non vogliono rinunciare. E intanto il motivo del provvedimento rimane oscuro

di Carmine Gazzanni
cetto_la_qualunque_CASTAStando a quanto dicono alcuni tra i grandi media italiani, con l’insediamento del governo Monti l’aria è cambiata profondamente. D’altronde – molti lo ricorderanno – il premier, appena salito al Colle da Napolitano, aveva precisato: “la parola d’ordine di quest’esecutivo sarà equità”. E poi i proclami degli stessi partiti: basta sprechi, basta guadagni stellari, basta stipendi incredibili. Insomma, stop alla casta. In questo periodo di sacrifici chiesti alla cittadinanza – dicevano in tanti - è necessario che anche la classe politica stringa la cinghia. Che esempio daremmo altrimenti?
Peccato, però, che nei fatti sia successo esattamente il contrario. Nel silenzio generale a metà marzo è stato approvato alla Camera un provvedimento, reso pubblico soltanto la scorsa settimana con la pubblicazione del bollettino sommario degli organi collegiali che riporta tutte le riunioni del collegio dei questori e dell’ufficio di presidenza della Camera dei deputati. In pratica, il provvedimento prevede un ammorbidimento che portano a tagli sulla diaria dei parlamentari.
Come sappiamo bene, infatti, i nostri parlamentari sono i più pagati d’Europa. Oltre ad un sostanzioso stipendio (e ad altri privilegi), godono anche di una diaria da 3.500 euro al mese con la quale fanno fronte alle “spese di mantenimento” di segreteria e di rappresentanza (art. 2 legge n. 1261 del 1965). Questa diaria può andare incontro ad alcuni (irrisori) tagli: in caso di assenza del parlamentare dalle sedute di voto o dalle riunioni di commissione, infatti, è previsto un taglio di circa 200 euro.
Briciole insomma. Eppure il nuovo regolamento prevede, per così dire, cause di ‘assenze giustificate’ che eviterebbero ai parlamentari il taglio anche di queste 200 euro. Nel bollettino, infatti, si legge che “si può ritenere giustificabili i deputati risultati assenti per ricovero ospedaliero ovvero per malattia certificata da un medico dell’azienda sanitaria locale di appartenenza o da una struttura sanitaria pubblica”. Assenza in questo caso legittima. Così come lo è l’assenza di parlamentari in caso “di lutto di congiunti” e, per un numero massimo di tre giorni al mese, in caso di “familiari permanentemente invalidi”. Fin qui, dunque, niente da ridire.
Ma andando avanti si legge che “tenendo conto di una esigenza rappresentata dai gruppi parlamentari, si propone di incrementare il numero dei deputati giustificabili da parte dei gruppi medesimi, in ragione della loro consistenza numerica”. Cerchiamo di capire. Fino ad ora il regolamento prevedeva che all’interno di ogni gruppo parlamentare ci fosse un ristretto numero di politici a cui era permesso un numero maggiore di assenze. Che dunque venivano giustificate. Stiamo parlando, nella maggior parte dei casi, dei leader impegnati – chiaramente –anche nell’attività interna del partito e nei vari incontri e riunioni giro per l’Italia.
Ora, invece, la platea dei ‘giustificati’ aumenterà (“si propone di incrementare il numero dei deputati giustificabili da parte dei gruppi medesimi”). Il motivo? Rimane oscuro. Si sa solo che il numero dipenderà dalla “consistenza numerica” di ogni gruppo. Con la conseguenza evidente che – senza che ci sia alcuna ragione – Pd e Pdl avranno diritto a maggiori parlamentari che potranno assentarsi. Senza rinunciare ad un solo centesimo della loro diaria.
Si spera che qualcuno (magari proprio il Presidente della Camera che ha permesso questo cambiamento nel regolamento interno) spieghi le ragioni di tali modifiche. Perché a pensar male – ci mancherebbe – si fa peccato. Ma non sono pochi i parlamentari avvocati, professori, imprenditori e via dicendo che potrebbero approfittare del condono per far fronte alle loro esigenze lavorative e ai loro interessi personali. Godendo comunque dei 3.500 euro tondi di diaria a fine mese.
Fonte:Infiltrato.it

domenica 10 giugno 2012

Perché il Pd non è un partito di sinistra


In Italia esistono tre destre: la destra di Berlusconi, che si traduce nel fare gli interessi di Berlusconi; la destra dei tecnocrati, che si traduce nel fare gli interessi di chi ha di più; e poi il Pd, che si traduce nel fare gli interessi di chi ha di più. Cosa cambia fra tecnocrati e Pd? Che i tecnocrati lo fanno con naturalezza, nel Pd lo si fa con lo zelo tipico di chi vuole emendarsi dalle colpe passate. In questo caso, aver militato in un partito denominato “comunista”. Il dirigente piddino ha perduto (volutamente, pervicacemente) ogni legame col proprio passato alla fondazione del Pd stesso. Con la scusa di disfarsi dei vecchi simboli – ricordate?, tutto quell’armamentario fatto di bandiere rosse, feste dell’Unità, la dizione “di sinistra”, le sezioni trasformate in circoli e così via – ha consentito a se stesso di fare il salto di qualità: abiura totale in cambio del fedele servizio alla Causa. Cioè levarsi dai coglioni il mondo del lavoro per sposare il mondo dei datori di lavoro. Scusate se è poco. In ogni spunto e riflessione, il rappresentante medio del Pd (pochissime eccezioni, ma un nome va fatto: Enrico Rossi) riesce a esprimere – e spesso realizzare – posizioni chiaramente “moderate”. Ma furbescamente ammanta tutto ciò con la parolina magica: «riformismo». Tradotto, lo smantellamento dello Stato sociale. Però graduale. Spacciando per una cosa di sinistra – appunto – la gradualità in questa rincorsa verso un destino considerato ineluttabile. Vedi l’avvincente storia della riforma Fornero (articolo 18).
Si fa un gran parlare di coalizioni, alleanze, liste civiche. Sui programmi, silenzio totale. Siccome destra e sinistra esistono eccome, anche se Beppe Grillo dice di no, un elettore medio di sinistra (non il comandante Marcos) a un eventuale governo progressista chiederebbe: abolirete la legge Biagi? Farete tornare l’articolo 18 così com’era? Inchioderete i Marchionne di questo Paese alle proprie responsabilità? Metterete una patrimoniale vera? Riporterete a casa le truppe in Afghanistan e in Iraq? Garantirete a due persone dello stesso sesso la possibilità di sposarsi? Il testamento biologico sarà finalmente legge?
Chi conosce minimamente il Pd, così com’è composto e guidato oggi, sa che la risposta a queste sette semplicissime domande è «no». Ecco perché il Pd non è di sinistra. Ed ecco perché continuare a sperare in un ravvedimento di chi lo guida è tempo perso.
PS. Nel Pd una cosa bella c’è. Sono gran parte dei suoi militanti e simpatizzanti, che invece direbbero dei convinti “sì” a quelle sette – banalissime – richieste.
di Matteo Pucciarelli 
scritto sul blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/06/04

 

Ecco a cosa serve l'europa e l'euro

di Fosforo31



Non hanno capito (o meglio: non vogliono capire) l'uovo di Colombo, cioè che l'economia (ovvero produzione e consumi) non si rilancia salvando le banche, ma salvando le aziende e i posti di lavoro e investendo nell'innovazione (es. nel settore delle fonti energetiche rinnovabili).  Qualche banca (non tutte) si potrà e si dovrà pur salvare, ma non certo gratis, bensì nazionalizzandola. E non hanno capito (o meglio: non vogliono capire) che la finanza ormai è sempre più un peso morto, una palla al piede, un sistema parassitario dell'economia, e che deve essere sottoposta a un drastico dimagrimento forzato, per es. con patrimoniali e Tobin tax molto salate e con un rigido controllo pubblico su banche e Borse. E non hanno capito (o meglio: non vogliono capire) che il problema non è l'euro, è il non-governo, il non-Stato che stanno dietro l'euro, moneta potenzialmente fortissima ma fondata sulle sabbie mobili. Naturalmente non illudiamoci che nazionalizzare banche, dimagrire la finanza e unificare politicamente l'Europa sarebbero pasti gratis. Ci sarebbe una transizione lunga e difficile, ma il peso maggiore cadrebbe sui privilegiati che hanno goduto per troppi anni di pasti gratis, non sulla gente comune. Alternative a tutto questo? In questo momento francamente non ne vedo. Se continua così, entro tre anni al massimo noi e la Spagna staremo come sta la Grecia ora, anzi peggio, perché con la lira e la peseta non andremo da nessuna parte: ritorneremo al tenore di vita degli anni 50. E ce lo saremo meritato, e ci farà anche bene. Saluti

venerdì 8 giugno 2012

FIOM VS FIAT/ Termoli, parla Maurizio Landini: “L’attacco dell’azienda è contro la Costituzione”

Secondo il segretario nazionale, al di là di sigle e lavoratori, l’atteggiamento della Fiat vìola i dettami costituzionali contenuti negli articoli 2, 3 e 39. “Le persone che compiono lo stesso lavoro devono essere retribuite allo stesso modo”, questo è il pensiero su Termoli. “Continuiamo a lottare, forti di una sentenza del Tribunale di Modena”. Dove il giudice del lavoro Carla Pontario ha dichiarato non manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale dell’articolo 19 della legge 300 del 20 maggio 1970. Che tradotto significa: sarà la Corte Costituzionale a stabilire se il comportamento della Fiat va contro la norma più alta dell’ordinamento giudiziario italiano.

di Viviana Pizzi
Landini_Maurizio_fiom“Escludere un sindacato (in questo caso la Fiom ndr) dalle trattative con l’azienda non è un atto solo contro la sigla o i lavoratori ma contro la Costituzione”. Lo ha dichiarato a Infiltrato.it il segretario nazionale della Fiom Cgil Maurizio Landini in seguito alle ultime vicende che hanno caratterizzato lo scontro con la Fiat Powertrain di Termoli, con particolare riferimento all’ultima trovata dell’azienda che ha pensato di sottrarre 250 euro dalla busta paga di chi sceglie di farsi rappresentare dalla Fiom Cgil applicando il contratto del 2008.
Mi sembra - ha aggiunto Maurizio Landini - che di fronte a una sentenza di questo tipo si muova una evidente logica di ritorsione. Che non va soltanto contro i lavoratori o il sindacato ma anche contro i giudici che hanno emesso la sentenza del Tribunale di Larino che riammette la Fiom a partecipare alla vita dell’azienda”.
Il pensiero di Maurizio Landini appare chiaro e avvalora la tesi della discriminazione tra operai che abbiamo portato avanti in questi ultimi giorni.
“La Fiat – ha continuato - non sta rispettando un principio costituzionale importante secondo il quale le persone che  compiono lo stesso lavoro devono essere retribuite allo stesso modo. Per fare questo è uscita da Confindustria pensando di poter applicare leggi proprie in spregio dei principi egualitari della Costituzione Italiana”.
Secondo Maurizio Landini in questo modo si sta tentando di annullare la presenza della Fiom all’interno dell’azienda termolese. E il problema non è solo della Fiom, visto che si rischia un confronto  a orologeria. Usando le sue parole “fino a quando lo decidono loro”.
Come sindacato – ha sottolineato - andremo avanti nella lotta forti anche di una sentenza di ieri del Tribunale di Modena nella quale il comportamento antisindacale e l’interpretazione dell’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori da parte di alcune aziende del gruppo Fiat sarà oggetto di attenzione del primo ministro Monti e di tutto il governo”.
Ma cosa ha fatto il giudice di Modena? Si è trovato di fronte a una situazione simile a quella sollevata a Termoli. New Holland, Maserati e Ferrari non avevano ritenuto di convalidare le elezioni dei rappresentanti sindacali della Fiom Cgil interpretando una norma contenuta nell’articolo 19 della legge 300 del 20 maggio del 1970.
Nel dispositivo del giudice si legge chiaramente questo passaggio scritto dal giudice del lavoro Carla Pontario: visto l'art. 23 L. 87,'1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata l ' eccezione di legittimità costituzionale dell'articolo 19 lettera bl d,ella legge n . 300 del 20 maggio 1970, per contrasto con gli articoli 2, 3 e 39 della Costituzione. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e sospende il giudizio in corso.
Tutto questo significa una sola cosa: che la Corte Costituzionale si esprimerà sul caso di Modena dichiarando una volta per tutte se è legittimo escludere le rappresentanze sindacali da un’azienda. Questo che sia del settore metalmeccanico o di qualsiasi altro settore. Sarà un giudice, il quale parere sarà inappellabile, a stabilire se la Fiat e le aziende del suo gruppo rispettano le leggi nazionali e immutabili della carta costituzionale.
Non sarà quindi più possibile, dopo questa pronuncia, dare un’interpretazione soggettiva del dettato normativo. Non ci saranno ricorsi in appello che terranno se la Corte Costituzionale dovesse dichiarare illegittimo il comportamento della Fiat. Ogni giudice del Lavoro, in caso di analogia come quella che esiste tra i casi Modena e Termoli, dovrà attenersi al dettame Costituzionale. Senza se e senza ma. E allora, solo allora, si saprà chi sarà il vero vincitore della partita a scacchi tra i padroni e i lavoratori.
Fonte:Infiltrato.it

CINQUE PER MILLE/ Il Governo taglia 80 milioni di euro previsti per le onlus. Sebbene nessuna legge glielo permetta

Che fine hanno fatto gli 80 milioni di euro destinati dai cittadini a enti non profit, università, alla ricerca, o alle attività sociali dei Comuni, attraverso il cinque per mille? Stando alle dichiarazione dei redditi 2010, infatti, la somma ammonterebbe a 463 milioni di euro, ma l’Agenzia delle entrate ha previsto una distribuzione pari a 383 milioni di euro. E, nonostante diverse onlus si stanno mobilitando per questo taglio ingiustificato, nonostante sia stata presentata anche un’interrogazione parlamentare, dal governo, al momento, nessuna risposta.

di Carmine Gazzanni
mario_monti_e_vittorio_grilliLa notizia è di quelle spiazzanti. A segnalare la stranezza è stata alcuni giorni fa Valentina Melis su Il Sole 24 Ore. Una sforbiciata pari al 17% della quota totale che i contribuenti hanno destinato attraverso il cinque per mille. E, cosa ancora più incredibile, non c’è alcuna ragione che giustifichi il taglio, nessun riferimento legislativo, né dal Governo arrivano risposte in merito.
Lo scorso 25 maggio, infatti, l’Agenzia delle Entrate ha reso noto l’elenco definitivo dei soggetti che beneficeranno del cinque per mille. La somma prevista e che sarà distribuita tra gli enti sarà di 383 milioni di euro. Peccato, però, che da quanto risulta dalle dichiarazione dei redditi 2010 dei contribuenti che hanno versato il loro cinque per mille, la quota effettiva sarebbe dovuta essere di 463 milioni di euro. Un taglio, dunque, di 80 milioni di euro. Il 17% in meno rispetto a quanto realmente previsto dai cittadini. “Più che cinque per mille – afferma a giusta ragione la Melis – dovrebbe chiamarsi 4 per mille”.
Una stranezza che non ha precedenti, se si considera che il taglio non ha ragione di esistere, dato che nessuna normativa a riguardo prevede tale taglio. Una scelta a oltranza, dunque. Non comunicata preventivamente da nessuno. Ma semplicemente effettuata.
Si comprende, pertanto, lo sgomento di tante e tante onlus che, pur vedendo aumentati i contribuenti che hanno versato il loro cinque per mille (oltre 16 milioni, rispetto ai 15,4 milioni dell’anno precedente), si sono visti destinare meno soldi rispetto all’anno precedente. È il caso, ad esempio, dell’Airc. L’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, infatti, nel 2010 ha avuto circa 150 mila preferenze in più rispetto al 2009. Ma invece di sessanta milioni, ne riceverà 54.
Proprio per questo motivo diverse onlus (tra cui anche la stessa Airc) hanno indirizzato al ministero dell’economia una lettera per chiedere lumi sull’accaduto. Si legge nella missiva che, a fronte del taglio, “ad oggi il Governo non ha espresso alcuna posizione. Riteniamo, invece, che, in nome della trasparenza e del corretto rapporto tra amministrati e amministratori, una risposta articolata e ufficiale non possa mancare”.
Una risposta che, però, ad oggi come detto continua a mancare. Né c’è stata alcuna posizione da parte di Mario Monti e Vittorio Grilli (i destinatari della lettera) in merito all’interrogazione parlamentare presentata dall’Onorevole Chiara Moroni (Fli) che chiede – anche lei – se il governo “intenda motivare il taglio delle risorse del cinque per mille avvenuto senza alcuna forma di comunicazione preventiva ai beneficiari”.
Intanto è partita anche una petizione che ha già raccolto l’adesione di più di 2.200 cittadini, oltreché di importanti onlus (tra le altre Emergency e Unicef). Ma tra i firmatari anche aziende private e finanche enti pubblici. Ma dal dicastero, al momento, non si sente volare una maschera. Con buona pace degli enti. E, soprattutto, dei contribuenti che, probabilmente, arriveranno alla prossima dichiarazione alquanto sfiduciati.
Fonte:Infiltrato.it

Scandalo nell’Italia dei Valori Spariti 450 mila euro di rimborsi

pubblicata da Davide Bersani 



La testimonianza video dell’ex dirigente dell’Italia dei Valori, l’avvocato penalista Domenico Morace che racconta  la presunta sparizione di 450 mila euro destinati all’IDV. A ridosso degli scandali sui rimborsi elettorali (quello del tesoriere Lusi della Margherita e di Belsito  della  Lega Nord) spunta un nuovo caso nazionale. Nell’occhio del ciclone finisce l’Idv di Antonio Di Pietro, partito che si batte per la moralizzazione della politica. A quanto sostengono molti ex militanti dell’Emilia Romagna la gestione economica del partito sarebbe simile a quella di altre forze politiche. Solo per il 2011 l’IDV di Antonio DiPietro ha incassato complessivamente tra Europa, Parlamento e Regioni ben 12 milioni di euro (Gazzetta Ufficiale n.174/2011)  Ma la gestione emiliano-romagnola potrebbe far aprire un filone di indagine che parte dal locale e potrebbe estendersi ai più alti vertici del partito.  Antonio Di Pietro e la tesoriera Idv,  Silvana Mura, erano davvero all'oscuro di tutto?
I FATTI – 2009-2010 - Bologna. “Ci sono similitudini con la Lega Nord e con il funzionamento del cerchio magico, un ristretto gruppo di familiari e affini che decide le sorti del partito dell’Italia dei Valori. C’è un cerchio magico che ruota intorno al capo assoluto, Antonio Di Pietro. Di Pietro è il centro e Di Pietro sceglie a sua totale discrezione. Non contano meriti e capacità ma solo la sua vicinanza” è quanto afferma Domenico Morace nell’intervista ad Affaritaliani.
Morace e un gruppo di iscritti, poi uscito dall'Italia dei Valori, pone l’attenzione sull'anomalia dei fondi regionali del gruppo consiliare del partito che, dal 2005 al 2010, sono gestiti dal consigliere Paolo Nanni, unico eletto del gruppo in Regione e già beccato di recente con un pass invalidi della suocera deceduta. L’ Italia dei Valori incassa due filoni di denaro dalla Regione Emilia-Romagna. Il primo è indirizzato al compenso del personale del gruppo consigliare del partito. E qui nel 2007 lavorava, sempre in Regione, la stessa figlia di Nanni che, guarda caso, si occupa proprio delle spese e degli aspetti economici del gruppo. Il secondo flusso riguarda invece le attività della forza politica e ammonta a circa 450 mila euro in cinque anni. Che non si sa bene che fine abbiano fatto. Non risultano esserci né un bilancio né un rendiconto delle spese. E allora sia il gruppo di Domenico Morace sia altri militanti locali segnalano l'anomalia alla tesoriera nazionale dell'Italia dei Valori, Silvana Mura (lei è sia responsabile politico regionale del partito sia della Fondazione dell’IDV che incassa i rimborsi elettorali a livello centrale). Dei fatti accaduti viene portato a conoscenza anche il presidente nazionale Antonio Di Pietro piombato a Bologna proprio in quei giorni, quelli caldi del Cinzia-Gate (affare Delbono), per chiedere le dimissioni dell’ex Sindaco Flavio Delbono. E così Silvana Mura, dopo un’indagine interna, conferma a Morace che le sue accuse sui fondi gestiti da Nanni sono fondate e che il denaro stanziato dalla Regione Emilia-Romagna per l’IDV è sparito totalmente (e quindi non utilizzato per le attività istituzionali e politiche). La maggior parte dei dirigenti del partito a livello locale è a conoscenza dei fatti, ne discute in diverse sedi, ma quasi nessuno parla pubblicamente. Così alla richiesta di Morace della “testa di Nanni” Silvana Mura replica che il partito avrebbe fatto pulizia ma dopo le elezioni amministrative regionali che si sarebbero tenute da li a poco (2010). Le elezioni passano e nessuno fa alcunché. Ricompaiono solo 14 mila euro messi a bilancio dalla forza politica. Paolo Nanni non viene ricandidato ma i militanti chiedono spiegazioni sui 450 mila euro di cui sembrerebbe essersi persa traccia. Sempre più delusi lasciano il partito perché “quello che si predica non corrisponde per nulla alla realtà”. In questo senso sembrano eloquenti le parole di un’ex tesoriere regionale dell’Idv da noi sentito: “Sono dei gran furboni, dei populisti che usano quei temi per i loro interessi. Ci credevo. Ho lasciato la politica e non ne voglio più sapere.”
Dopo gli scandali Margherita e Lega Nord, Antonio Di Pietro ha raccolto 200 mila firme per riformare la legge sui rimborsi ai partiti ma se gli eventi raccontati dovessero restare senza risposte la sua sembrerebbe più un trovata elettorale che un vero tentativo di moralizzazione della politica italiana.
La regione Emilia Romagna può facilmente mostrare il rendiconto e le spese dell’Italia dei Valori nel quinquennio 2005- 2010 e chiarire che fine hanno fatto i 450 mila euro dei rimborsi dell’Italia dei Valori.Molti in regione ancor aspettano spiegazioni sia dall’Ente che dal partito di Antonio Di Pietro.
Noi abbiamo telefonato ad Antonio Di Pietro, Silvana Mura e Paolo Nanni dell’Italia dei Valori per avere la loro versionedei fatti. 
http://affaritaliani.libero.it/emilia-romagna/scandalo-nell-italia-dei-valorispariti-450-mila-euro-di-rimborsi160512.html

E' sempre la solita solfa!

Ma che bella coincidenza,i due politici sub iudice,Formigoni e De Gregorio sono stati "assolti" dai loro compagni di merende!
Nel primo caso infatti,il consiglio regionale della Lombardia ha bocciato la mozione di sfiducia presentata da Sel,Idv e Pd e votata anche dall'Udc,al presidente Formigoni.
Prontamente Pdl e Lega hanno respinto la richiesta di dimissioni per andare al voto anticipato,dopo un lungo dibattito proprio la Lega ha preso le distanze dalle posizioni, spesso anche dure,che i suoi esponenti avevano avuto nei confronti del governatore.
Un esempio di vera coerenza,con il processo di pulizia (vedi le scope) e di rinnovamento del partito tanto sbandierati dopo i recenti scandali che,quelli sì, hanno spazzato ben bene la Lega alle recenti elezioni comunali!
Nel secondo caso invece,il Senato ha negato la richiesta di arresti domiciliari per il senatore De Gregorio indagato nell'inchiesta sui fondi pubblici all'Avanti in cui è coinvolto anche il losco faccendiere Lavitola.
Escludendo il Pdl che aveva già palesato la sua contrarietà all'arresto,si è scatenata la caccia ai franchi tiratori, già, perchè 124 erano quelli dei piddiellini ma i voti contrari in realtà sono stati ben 169!
I maggiori sospetti si addensano sui senatori del Pd (senza l) perchè,come sostiene Saviano, sembrerebbe proprio uno scambio politico in attesa della votazione per la medesima richiesta nei confronti di Lusi.
Poteva essere una buona occasione per dimostrare ai cittadini che la politica finalmente stesse invertendo la rotta,che avesse finalmente deciso di punire chi ruba e chi si approfitta di una posizione di privilegio per trarre vantaggi personali ed invece ........è sempre la solita solfa!

giovedì 7 giugno 2012

I TERREMOTATI DIMENTICATI

 Informazione - Illuminiamo le Coscienze.




La tragedia, i soccorsi, l’oblio. L’Italia dei terremoti ha la memoria corta e una solidarietà grande: sul momento si mobilitano colonne, mezzi e volontari. Ma passata l’emergenza, non appena le telecamere si allontanano, distratte magari da una qualche altra calamità o evento negativo, tutto cade nel dimenticatoio. E’ successo all’Aquila, in Umbria e nelle Marche, nel Belice e nell’Irpinia. Si spera non accada in Emilia

Per il terremoto del Belice – avvenuto nel 1968 – fino a qualche anno fa c’erano ancora cittadini costretti a vivere in un container, vere e proprie “generazioni container” nate e cresciute tra quattro lamiere. E lo stesso accadde in Irpinia con il terremoto del 23 novembre 1980: piazzole puntellate di prefabbricati che avrebbero dovuto essere provvisori, durati oltre trent’anni.

Non fanno eccezione nemmeno l’Umbria e le Marche: lo scorso anno a Giove, in Valtopina, provincia di Perugia, a 14 anni dal terremoto c’erano ancora famiglie che abitavano nei container, tra ditte che avrebbero dovuto occuparsi della ricostruzione e invece sono fallite e l’intero borgo sequestrato dalla Guardia di Finanza. Negli anni scorsi, di 75 persone che avevano trovato rifugio nei container, 25 sono morte nell’attesa di rientrare nelle loro case.

Il caso più recente è quello dell’Aquila e di borghi come Onna (nella foto), Tempèra o San Gregorio, distrutti dal terremoto del 6 aprile 2009. Qui gli sfollati hanno trovato rifugio prima nelle tendopoli poi nel Progetto C.A.S.E. (sono sorte ben 19 città attorno al capoluogo) o nei Moduli abitativi provvisori (MAP, le casette di legno). Di loro e di come sia cambiata la vita dopo il 6 aprile 2009 non si parla né si scrive quasi più sui media nazionali. Menchemeno si fa riferimento alla tanto decantata ricostruzione. A parte poche eccezioni: è tutto fermo. Tra i pochi segni di attenzione esterna, il laboratorio di Giornalismo curato da 4media per i ragazzi onnesi e aquilani e le giornate organizzate da Aicem per i bambini dell’asilo di Onna. A mancare, però, nel contesto aquilano è la vita quotidiana, ridotta alle cosidette “vasche” in centro storico al sabato sera o al ritrovarsi presso il Centro 
Commerciale.

Per non citare le forze dell’ordine inviate a disperdere la manifestazione degli aquilani a Roma, con i manganelli che calavano violenti sui manifestanti. Con una via del Corso presidiatissima e i Parlamento inaccessibile. In quell’occasione chi scrive ascoltò l’urlo di un automobilista: “aridatece i soldi che v’abbiamo prestato!”. E se è vero che la madre degli stupidi è sempre incinta, quel grido era ed è sintomo di un Paese che – archiviata l’emergenza – dimentica, volta pagina e spesso smette di capire. Mentre chi resta deve fare i conti con il silenzio, l’oblio e una vita quotidiana stravolta.

(fonte: – Diritto di Critica, “L’Italia che dimentica, i terremotati di cui nessuno parla più”)

http://minitrue.it/2012/06/i-terremotati-dimenticati/

Agcom e Privacy, l'ennesimo beauty contest dei partiti

di Francesco Formisano
Nella giornata odierna, si è consumata un'altra delusione per i sostenitori della meritocrazia e la trasparenza. A nulla sono servite le proteste di diverse associazioni come Agorà Digitale, Vogliamo trasparenza ed Avaaz che, unitamente ad alcuni deputati radicali e dell'Idv hanno manifestato contro l'ennesima spartizione delle poltrone tra i partiti: oggetto del contendere le cariche Agcom e Garante per la Privacy. All'inciucio tra Pd e Pdl si è abilmente inserito l'Udc, che ha guadagnato una poltrona (Posteraro) come il Pd (Decìna), lasciando al Pdl una maggioranza significativa con due candidati: Martusciello e Preto.

Eppure l'interesse della società civile intorno a queste nomine è stato quantomai singolare. Un interesse che si è tradotto in raccolta di firme, cui si ricorderanno le circa 15mila che volevano Stefano Quintarelli alla guida dell'Agcom, consultazioni pubbliche sulle proposte, la richiesta per delle audizioni affinchè si rispettassero criteri trasparenti per le nomine. La pubblicazione dei curriculum in modo da poter scegliere secondo competenze e professionalità, senza chiamare in causa vincoli di appartenenza a questo o quel partito. Nulla di fatto. Le vecchie logiche partitiche sono state più forti di tutte queste campagne.
Il rammarico adesso è immenso. L'Agcom, e non di meno il Garante per la Privacy, tratteranno argomenti delicatissimi nei prossimi sette anni. C'è da risolvere la questione dell'aste delle frequenze televisive, c'è da trovare un accordo tra il diritto d'autore e la libertà d'espressione; il regolamento dell'intero sistema d'informazione dove l'Italia già non spicca per libertà. Tutto il settore dell'innovazione sarà regolamentato da questa Autorità, e delle persone incompetenti, che dovranno sempre rispondere del loro operato ai vari segretari di partito, riusciranno solo a farci perdere ulteriore terreno nei confronti dell'Europa e del mondo intero.
Authority indipendenti solo di nome, perchè di fatto restano pur sempre vincolati agli equilibri tra i partiti. C'abbiamo provato a sovvertire quest'ordine di cose, ma senza successo. Adesso sono in tanti ad invocare che il Presidente Napolitano non firmi il decreto delle nomine, ma non credo che sia una pista percorribile. Verranno studiati possibili ricorsi per non aver rispettato un adeguato sistema di nomine. Resta inoltre, da vedere quali altri mobilitazioni metteranno in campo le varie associazioni per manifestare tutto il dissenso e la contrarietà a queste logiche di potere che ancora vogliono relegare i cittadini a meri sudditi.
Perchè è sempre bello parlare di partecipazione, trasparenza e meritocrazia. Quante volte lo abbiamo sentito pronunciare nei discorsi dei vari esponenti politici. Ma non è più il tempo delle promesse. Man mano che il tempo passa l'Italia continua a perdere opportunità; in questo caso, opportunità di crescita culturale ed economica. Quest'ultimo  beauty contest dei partiti rappresenta un'altra sconfitta per la società civile ed un'altra bruttissima pagina della mostruosa burocrazia italiana.
Fonte:LINKIESTA.it

lunedì 4 giugno 2012

SEGRETI VATICANO/ 750 chiese di proprietà pubblica cedute gratis al Vaticano, che incassa pure le offerte. Alle spese di gestione invece ci pensa il Viminale

Probabilmente pochi lo sanno, ma chiese come Santa Croce e Santa Maria Novella a Firenze, San Gregorio Armeno a Napoli e Santa Maria del Popolo a Roma, sono di proprietà del Viminale. In tutto sono 750 le chiese patrimonio dello Stato. Ma a beneficiarne, in uso assolutamente gratuito, sono le istituzioni ecclesiastiche, che non pagano il benché minimo fitto. Né si occupano di spese di gestione, manutenzione e restauro: tutto a carico dello Stato. A riscuotere le offerte, però, è il Vaticano.

di Carmine Gazzanni
cricca_vaticanaÈ la storia – tutta italiana – del FEC, Fondo Edifici di Culto, nato il 20 maggio 1985 con la revisione del Concordato Lateranense ad opera dell’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi: una sorta di contenitore di tutto quel patrimonio ricco e variegato proveniente dagli enti religiosi discioltisi nella seconda metà del XIX secolo.
Da allora il ministro degli Interni si ritrova ad essere “legale rappresentante” di oltre 750 chiese, alcune delle quali di enorme importanza storica e religiosa. Solo per citarne alcune: San Domenico a Bologna; Santa CroceSanta Maria Novella a Firenze; Santa Maria in Ara CoeliSanta Maria del Popolo e la Basilica dei Santi Giovanni e Paolo al Celio a Roma; Santa Chiara con l’annesso monastero e San Gregorio Armeno a Napoli; la Chiesa del Gesù a Palermo. Rientrano tra le proprietà del ministero non solo le strutture esterne, ma anche le opere d’arte e gli arredi in esse custoditi. E c’è di più: tra i possedimenti del Fec ci sono anche “immobili produttivi di rendite (appartamenti, negozi, caserme, cascine)”. E ben tre foreste. Come quella di Tarvisio, un complesso boschivo di circa 23 mila ettari.
Insomma, un patrimonio immenso. Peccato, però, che il Ministero sia un proprietario un po’ anomalo. Già, perché pur non utilizzando in alcun modo queste sue proprietà (cosa potrebbe farsene, d’altronde, di 750 chiese?), dal 1985 ha deciso pure di non guadagnarci nemmeno un soldo. Anzi, di rimetterci anche.
Le chiese e cattedrali che rientrano nel Fondo, infatti, sono cedute ad uso gratuito alle istituzioni ecclesiastiche. Non solo. Secondo quanto previsto dalle leggi in materia, non spetta nemmeno alle diocesi o al Vaticano occuparsi delle spese di gestione. Tutti i costi di manutenzione, infatti, sono a carico esclusivo del Fondo. Leggere per credere. “La Direzione Centrale per l’amministrazione del Fondo Edifici Culto – si legge sul sito - provvede, con le risorse a disposizione del Fondo, al finanziamento degli interventi di conservazione, manutenzione e restauro delle oltre 750 chiese possedute e concesse in uso gratuito all’Autorità Ecclesiastica per fini di culto, nonché delle opere d’arte in esse custodite, di cui cura anche la sicurezza (con sistemi antifurto, impianti rilevazione fumi, etc.)”.
Insomma, le autorità ecclesiastiche altro non fanno che dire messa, guadagnare, per di più, con le offerte dei fedeli e infischiarsene delle spese di manutenzione perché tanto sono a carico dello Stato.
Facciamo un esempio. Prendiamo una chiesa di grande importanza storica come può essere Santa Croce a Firenze, nella quale troviamo, tra le altre cose, “Le storie della vita di San Francesco” di Giotto e il crocifisso ligneo di Donatello. Qui, com’è facile immaginare, il flusso di turisti è ininterrotto. Se non tutti, perlomeno una grossa percentuale lascerà un’offerta. Di questa beneficerà esclusivamente l’istituzione Chiesa e non lo Stato, sebbene sia proprio quest’ ultimo ad occuparsi, come detto, della manutenzione.
Insomma, il paradosso: il proprietario cede le strutture gratis e poi, come se non bastasse, paga per le spese di gestione. E le uniche entrate previste – in questo caso le offerte dei fedeli – se le pappa tutte, per così dire, l’utilizzatore finale.
E non finisce nemmeno qui. Il Fondo, infatti, ha alle spalle una struttura robusta la quale, chiaramente, è ben stipendiata. In poche parole, il Fec costa. E non poco. Amministrato direttamente dalla direzione centrale del ministero (come detto, d’altronde, il ministro “né è rappresentante legale”), ha un direttore (il prefetto Lucia Di Mario) che coordina ben sei uffici (che vanno dal bilancio, al restauro fino alla documentazione) per un totale di circa 50 dipendenti. Non solo. A capo anche un consiglio di amministrazione formato da nove membri, che coadiuva il ministro degli interni.
Curiosa anche la composizione di questo cda: uno è il direttore del Fondo (la Di Mario), cinque sono nominati dai ministeri (tre gli Interni, uno a testa Lavoro e Cultura) e ben tre, invece, sono “designati dalla Conferenza episcopale italiana. Cioè dai vescovi.
Strana natura questo Fondo. Tra sacro e profano. Tra pubblico e privato.
Fonte:Infiltrato.it

Tienanmen, misure da guerra per l'anniversario

Arresti preventivi e allontanamenti dal Paese per dissidenti e attivisti.

 La foto simbolo del massacro di piazza Tienanmen.

 Piazza Tienanmen, 23 anni dopo, continua a essere un simbolo per tutti i cinesi scontenti del regime della nomenclatura comunista.
Quel massacro di giovani la cui unica colpa era chiedere più democrazia è ancora attuale. I dissidenti lo sanno, il governo pure, e lo teme.
Così decine di attivisti sono stati messi agli arresti domiciliari, o costretti a lasciare Pechino per il 23esimo anniversario della strage.
Secondo il South China Morning Post di Hong Kong le stesse autorità locali hanno definito le misure «da tempo di guerra».
PIÙ DI 100 VITTIME. Tra le persone la cui libertà di movimento è stata limitata c'è Ding Zilin, l'insegnante in pensione che ha fondato il gruppo delle Madri di Tiananmen.
Le Madri hanno già individuato 120 vittime del massacro. La versione ufficiale del Partito comunista e del governo cinesi è che si è trattato di un «moto controrivoluzionario».
L'OMERTÀ DEL GOVERNO. Le autorità si rifiutano di dire quante siano state le vittime e, di conseguenza, di identificarle.
Il governo degli Usa ha chiesto a Pechino di rilasciare tutti coloro che sono ancora detenuti per i fatti del 1989.
Secondo l' organizzazione umanitaria Dui Hua «meno di una dozzina» di attivisti sono ancora in prigione per aver avuto una parte attiva nel movimento per la democrazia del 1989. 

Fonte:Lettera43.it

sabato 2 giugno 2012

Cinque laici nel mirino degli inquirenti


Pronte le rogatorie per l’autore di “Sua Santità” e per alcuni dipendenti dei Sacri palazzi

GIACOMO GALEAZZICITTÀ DEL VATICANO



Al ministero di Giustizia attendono dai magistrati vaticani due distinte richieste di rogatoria: una per i dipendenti laici della Santa Sede che risiedono in Italia e una per Gianluigi Nuzzi, autore di «Sua Santità», il libro che ha reso pubbliche alcune carte segrete del Papa e per il suo editore Lorenzo Fazio di Chiarelettere. Nel mirino degli investigatori ci sono cinque persone che, con diverse ipotesi di reato (furto aggravato, ricettazione, attentato alla sicurezza dello Stato) potrebbero finire a giudizio. Benedetto XVI, nella preghiera di chiusura del mese mariano, auspica che ci sia più letizia anche in Vaticano: «La “famiglia” della Santa Sede serve la Chiesa universale». I legali del maggiordomo papale, Paolo Gabriele, detenuto da nove giorni nella caserma della Gendarmeria, presenteranno al giudice istruttore la richiesta di libertà vigilata o di arresti domiciliari. Intanto le indagini sulla fuga di carte riservate dal Vaticano e dal tavolo di lavoro del Pontefice si stanno concentrando sul materiale sequestrato nell’appartamento dell’assistente di camera di Benedetto XVI. Fra la documentazione rinvenuta nel corso delle perquisizioni e ora all’esame dei magistrati della Santa Sede, ci sono anche documenti scritti in tedesco, la lingua parlata dal Papa, e da pochi altri stretti collaboratori, ma non dallo stesso Gabriele. Gli interrogatori del maggiordomo del Pontefice non cominceranno prima della settimana prossima, forse tra lunedì e martedì. Perché ciò avvenga, infatti, l’avvocato di Gabriele, Carlo Fusco, dovrà avanzare istanza formale. In questi giorni l’indagato sta infatti avendo diversi colloqui con il suo legale e ha dichiarato la propria intenzione di collaborare per consentire di appurare la verità su quanto è avvenuto. Sentire Nuzzi servirà invece ad accertare se c’è stato il passaggio di carte tra il maggiordomo e l’autore del libro.

«De facto» stanno seguendo percorsi paralleli le inchieste sui «corvi» condotte dalla commissione cardinalizia, che riferisce al Pontefice e al suo segretario don Georg, e dalla gendarmeria, che fa riferimento al segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Con il trasferimento negli Usa dell’arcivescovo Viganò (entrato in rotta di collisione con Bertone dopo la sua denuncia di malaffare in Curia), i nuovi vertici del Governatorato, Bertello e Sciacca hanno posto l’ispettorato guidato dal comandante Domenico Giani nell’alveo bertoniano. E così la Santa Sede ha dovuto precisare che i cardinali possono essere interrogati solo dai loro pari grado Herranz, De Giorgi, Tomko. Insomma c’è divergenza anche tra le due entità che stanno indagando sulla fuga di notizie da cui esce gravemente incrinata l’attuale «governance» vaticana, impegnata in una lotta senza quartiere con la vecchia guardia diplomatica (Sodano, Sandri, Re).

L’attivismo della gendarmeria tra bunker per le intercettazioni di telefonate e mail, hacker ingaggiati per scoprire le «talpe» e indagini negli uffici curiali turba consolidati assetti interni. E in questo clima di veleni e sospetti, torna oggi a riunirsi la commissione di vigilanza sullo Ior, dopo che venerdì scorso i cardinali che la compongono si erano spaccati sul brusco allontanamento del presidente Ettore Gotti Tedeschi. Da oggi a domenica arriva per il Papa la boccata d’ossigeno tanto attesa, fuori dal clima dei «veleni» e dalla bufera che ha investito il Vaticano e scosso il governo della Chiesa. Benedetto XVI punta sull’Incontro della famiglie di Milano per riportare in primo piano valori pastorali e spirituali rimasti offuscati dall’imperversare del ciclone «Vatileaks». Intanto ieri sera, alla tradizionale processione nei Giardini vaticani, di fronte anche ai cardinali di Curia e ai vescovi, il Pontefice ha auspicato che la «letizia spirituale sia più consolidata nei nostri animi, nella nostra vita personale e familiare, in ogni ambiente», e «specialmente nella vita di questa famiglia che qui in Vaticano serve la Chiesa universale». Corvi e talpe non spaventano il Papa teologo.