Probabilmente pochi lo sanno, ma chiese come Santa Croce e Santa Maria Novella a Firenze, San Gregorio Armeno a Napoli e Santa Maria del Popolo a Roma, sono di proprietà del Viminale. In tutto sono 750 le chiese patrimonio dello Stato. Ma a beneficiarne, in uso assolutamente gratuito, sono le istituzioni ecclesiastiche, che non pagano il benché minimo fitto. Né si occupano di spese di gestione, manutenzione e restauro: tutto a carico dello Stato. A riscuotere le offerte, però, è il Vaticano.
di Carmine GazzanniÈ la storia – tutta italiana – del FEC, Fondo Edifici di Culto, nato il 20 maggio 1985 con la revisione del Concordato Lateranense ad opera dell’allora Presidente del Consiglio Bettino Craxi: una sorta di contenitore di tutto quel patrimonio ricco e variegato proveniente dagli enti religiosi discioltisi nella seconda metà del XIX secolo.
Da allora il ministro degli Interni si ritrova ad essere “legale rappresentante” di oltre 750 chiese, alcune delle quali di enorme importanza storica e religiosa. Solo per citarne alcune: San Domenico a Bologna; Santa Croce e Santa Maria Novella a Firenze; Santa Maria in Ara Coeli, Santa Maria del Popolo e la Basilica dei Santi Giovanni e Paolo al Celio a Roma; Santa Chiara con l’annesso monastero e San Gregorio Armeno a Napoli; la Chiesa del Gesù a Palermo. Rientrano tra le proprietà del ministero non solo le strutture esterne, ma anche le opere d’arte e gli arredi in esse custoditi. E c’è di più: tra i possedimenti del Fec ci sono anche “immobili produttivi di rendite (appartamenti, negozi, caserme, cascine)”. E ben tre foreste. Come quella di Tarvisio, un complesso boschivo di circa 23 mila ettari.
Insomma, un patrimonio immenso. Peccato, però, che il Ministero sia un proprietario un po’ anomalo. Già, perché pur non utilizzando in alcun modo queste sue proprietà (cosa potrebbe farsene, d’altronde, di 750 chiese?), dal 1985 ha deciso pure di non guadagnarci nemmeno un soldo. Anzi, di rimetterci anche.
Le chiese e cattedrali che rientrano nel Fondo, infatti, sono cedute ad uso gratuito alle istituzioni ecclesiastiche. Non solo. Secondo quanto previsto dalle leggi in materia, non spetta nemmeno alle diocesi o al Vaticano occuparsi delle spese di gestione. Tutti i costi di manutenzione, infatti, sono a carico esclusivo del Fondo. Leggere per credere. “La Direzione Centrale per l’amministrazione del Fondo Edifici Culto – si legge sul sito - provvede, con le risorse a disposizione del Fondo, al finanziamento degli interventi di conservazione, manutenzione e restauro delle oltre 750 chiese possedute e concesse in uso gratuito all’Autorità Ecclesiastica per fini di culto, nonché delle opere d’arte in esse custodite, di cui cura anche la sicurezza (con sistemi antifurto, impianti rilevazione fumi, etc.)”.
Insomma, le autorità ecclesiastiche altro non fanno che dire messa, guadagnare, per di più, con le offerte dei fedeli e infischiarsene delle spese di manutenzione perché tanto sono a carico dello Stato.
Facciamo un esempio. Prendiamo una chiesa di grande importanza storica come può essere Santa Croce a Firenze, nella quale troviamo, tra le altre cose, “Le storie della vita di San Francesco” di Giotto e il crocifisso ligneo di Donatello. Qui, com’è facile immaginare, il flusso di turisti è ininterrotto. Se non tutti, perlomeno una grossa percentuale lascerà un’offerta. Di questa beneficerà esclusivamente l’istituzione Chiesa e non lo Stato, sebbene sia proprio quest’ ultimo ad occuparsi, come detto, della manutenzione.
Insomma, il paradosso: il proprietario cede le strutture gratis e poi, come se non bastasse, paga per le spese di gestione. E le uniche entrate previste – in questo caso le offerte dei fedeli – se le pappa tutte, per così dire, l’utilizzatore finale.
E non finisce nemmeno qui. Il Fondo, infatti, ha alle spalle una struttura robusta la quale, chiaramente, è ben stipendiata. In poche parole, il Fec costa. E non poco. Amministrato direttamente dalla direzione centrale del ministero (come detto, d’altronde, il ministro “né è rappresentante legale”), ha un direttore (il prefetto Lucia Di Mario) che coordina ben sei uffici (che vanno dal bilancio, al restauro fino alla documentazione) per un totale di circa 50 dipendenti. Non solo. A capo anche un consiglio di amministrazione formato da nove membri, che coadiuva il ministro degli interni.
Curiosa anche la composizione di questo cda: uno è il direttore del Fondo (la Di Mario), cinque sono nominati dai ministeri (tre gli Interni, uno a testa Lavoro e Cultura) e ben tre, invece, sono “designati dalla Conferenza episcopale italiana”. Cioè dai vescovi.
Strana natura questo Fondo. Tra sacro e profano. Tra pubblico e privato.
Fonte:Infiltrato.it
LA BONINO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA, SARà la prima volta in Italia, per poterla salvare dagli invasori e mafiosi di stato...., dopo generazioni d'imbecilli..........La bonino vincerà sul 70% degli italiani....,il resto, sono ignoranti cattolici e razzisti testimoni di geova
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