NAPOLI
- Ultimi giorni per il Madre. Da martedì portone sbarrato. Se entro
domani la Regione non convocherà un incontro per il rifinanziamento del
museo di via Settembrini, addio all’arte contemporanea. Sul tavolo di
Massimo Lo Cicero e Ugo D’Antonio, rispettivamente presidente e
amministratore delegato di Scabec (la società a maggioranza regionale
che gestisce i servizi) e su quello di Pierpaolo Forte, presidente della
Fondazione Donnaregina, sono arrivate le lettere delle Pierreci e della
Mondadori Electa, le due società che si occupano della gestione del
museo.
In poche parole annunciano che manterranno aperto il museo fino a
domani. Poi tutti a casa, a cominciare da una trentina di giovani
dipendenti per i quali partiranno le lettere di licenziamento.
Ovviamente saranno cancellate tutte le iniziative in programma: per
mercoledì era prevista una performance di Rosy Rox e il 27 doveva essere
inaugurata la mostra di Mario Persico. Questo nuovo capitolo rischia di
mettere la parola fine a una delle esperienze culturali più vivaci e
discusse della recente storia artistica di Napoli.
Che cosa è successo? La Regione, unico ente di riferimento del Madre,
fondato da Eduardo Cicelyn che di fatto è stato licenziato (c’è stata la
risoluzione del rapporto, ma lui resterà al suo posto fino a ottobre,
quando ci sarà il concorso per il nuovo direttore), ha messo in bilancio
per le attività e la gestione del museo un milione di euro. Il Cda non
ha quindi potuto approvare il proprio bilancio preventivo per il 2012
che garantisce i contratti. La gestione minima dei servizi che
consentono al Madre di restare aperto, (senza nessuna attività
espositiva) è, secondo i tariffari regionali, di un milione e mezzo di
euro.
Tutto al netto del pagamento di utenze mensili, le assicurazioni (e il
patrimonio del Madre è ingente e costoso), gli stipendi dei dipendenti e
dello stesso cda. Scabec vanta crediti dalla Fondazione (e quindi dalla
Regione) per 8 milioni e il grosso deve andare proprio nelle casse di
Electa e Pierreci, quest’ultima si occupa della biglietteria,
dell’assistenza nelle sale, del bar e della ristorazione, mentre alla
prima è affidata la gestione del bookshop, della collezione permanente e
delle mostre. Le due lettere sono molto più di un ultimatum.
Possono rappresentare il sigillo di una lunga ed estenuante polemica,
accentuata dalla crisi economica, di un assedio sempre più stringente a
uno dei fortini simbolici del bassolinismo. Una roccaforte dalla quale,
come annunciato da mesi, è cominciata la fuga degli artisti che non
intendono tenere più le proprie opere e installazioni esposte nel museo.
A cominciare da Jannis Kounellis che, proprio nei giorni scorsi, ha
chiesto ufficialmente la restituzione di cinque pezzi affidati in
prestito. Per il maestro greco-italiano, per il benservito che la
Regione ha dato a Cicelyn, è venuto a mancare un rapporto di fiducia
personale con il Museo.
La richiesta rischia di diventare una valanga che svuoterà le stanze del
palazzo dell’arte contemporanea. Sono ben 83 le opere che rischiano di
partire per un’altra destinazione. Perché, oltre alle richieste di
restituzione, ci sono le vertenze annunciate da chi ha donato i propri
capolavori e ora si sente meno tutelato, come Paladino, Clemente e
Kapoor. Con questi tagli, non si sa come saranno pagate le costose
assicurazioni delle opere. Ci si avvia verso la peggiore delle ipotesi.
Poteva sicuramente essere immaginato (e, per i suoi tanti nemici, anche
auspicato) un Madre senza Cicelyn, ma certamente non è pensabile un
Madre senza arte. E soprattutto Napoli senza Madre.
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