Bennardo Maria Raimondi aveva una piccola azienda di ceramiche: 2 giorni fa gli è stato perfino staccato il gas
Bennardo Maria Raimondi
PALERMO - La storia di Bennardo Maria Raimondi è quella di un artigiano che, caduto nelle mani di usurai ed estorsori, ha trovato il coraggio per denunciare senza però trovare aiuto nelle istituzioni. E che oggi si ritrova a chiedere l’elemosina davanti alle chiese, a fare lavori saltuari e a vivere con moglie, figli (di cui uno alle prese con una rara malattia intestinale), cognata e l’anziano padre in una casa dove non paga l’affitto da sette mesi e dove, letteralmente, piove dentro. Come se non bastasse, proprio due giorni fa gli è stato staccato il gas per il mancato pagamento di una bolletta da 200 euro.
La via crucis di Raimondi comincia nel 1998, quando si mette nelle mani degli usurai per dare una boccata d’ossigeno alla sua piccola azienda di ceramiche in via Molara, a Palermo, che contava otto dipendenti. Chiede 40 milioni delle vecchie lire, in cambio deve pagare 2 milioni al mese per 30 mesi. Ma una serie di disgrazie, tra cui la perdita di tre figli e del fratello, non gli consentono di saldare con «puntualità» il debito. Iniziano le minacce, la pretesa di ulteriori regali, gli rubano anche la macchina. Esasperato, Raimondi è costretto a licenziare i suoi dipendenti e a chiudere la bottega nel 2003, perde la casa ed è sommerso da debiti e minacce. Soltanto nel 2006 l’imprenditore decide di denunciare i suoi estorsori, ma la risposta dello Stato e delle associazioni antiracket non è proprio quella che si aspettava. «Vivo sulla mia pelle le conseguenze di quella denuncia – racconta Raimondi - Tuttora c’è il processo in corso, ho denunciato delle persone ma alcune sono già fuori, ai domiciliari, altre invece sono ancora latitanti. Recentemente ho ricevuto lo status di vittima della mafia, usufruisco quindi di una legge speciale che mi consente di non pagare le tasse, ma non ho mai ricevuto un centesimo dallo Stato. Ho fatto anche la domanda per accedere ai fondi delle vittime della mafia, ma la pratica è bloccata in Prefettura per problemi burocratici».
Nel 2009 Raimondi annuncia un gesto estremo, mettendo in vendita un rene per potersi permettere l’operazione urgente del figlio malato e in quel caso, ricorda, «ho ricevuto un piccolo aiuto economico dal presidente Lombardo». Da allora, però, nessuno si è più fatto vivo. «Per me le associazioni antiracket non esistono – denuncia - Hanno perso tutte l’identità ideologica per cui sono nate. Io sono socio di Addiopizzo e me ne vergogno: da quando sono entrate persone che aspirano alla politica e ai soldi è scomparsa l’idea di base». Secondo Raimondi le associazioni «mirano soltanto a fare convegni, congressi, libri sulla mafia, ma quando devono aiutare un artigiano se ne fregano altamente. Io – assicura – denuncerei ancora, ma quello che mi è capitato è un pessimo esempio per chi è vittima di usura e di estorsione a Palermo, e io ne conosco tante». Infine un appello: «Datemi un luogo dove poter vivere con la mia famiglia e se possibile creare un nuovo laboratorio per lavorare con i giovani. La mia ambizione è insegnare la mia arte di fare le statuine dei presepi a mano, un’arte che sta scomparendo. Non voglio arricchirmi, voglio lavorare dignitosamente e dare un minimo di futuro ai miei figli». È online da qualche mese un sito internet (bennardomarioraimondi.weebly.com) dove è stata creata una vetrina sui suoi prodotti e da dove è possibile inviare un aiuto economico.
Fonte Italpress
13 gennaio 2012
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