Aldilà di facili complotti in molti negli Stati Uniti stanno
puntando il dito sul meeting annuale della Bilderberg che si terrà
questo weekend a Washington Dc. Che ci sia una relazione tra questi
meeting annuali e le elezioni presidenziali americane? Ne sono certi gli
organizzatori di Occupy Bilderberg.
Questo week end ci sarà a
Washington Dc la conferenza annuale della Bilderberg, un appuntamento
da non perdere soprattutto per gli amanti dei complotti e degli
intrighi. Alla luce di questo evento sono in molti quelli che cominciano
a chiedersi se possa esserci una relazione tra questo meeting
misterioso e le imminenti elezioni presidenziali di novembre alla Casa Bianca.
Chiaramente secondo i complottisti una relazione ci sarebbe eccome, ma
senza prove è sempre difficile riuscire a non andare oltre le semplici
illazioni. Prima di diventare presidenti i vari George Bush e Bill
Clinton hanno entrambi presenziato alla conferenza annuale della
Bilderberg. Una semplice coincidenza? Forse, ma la lista non finisce
qui. Anche Tony Blair ha partecipato al meeting annuale
nel 1993 prima di diventare primo ministro della Gran Bretagna nel
1997, e anche la conferenza annuale del 2008 si crede possa essere in
qualche modo legata alle imminenti elezioni presidenziali. Circa 150
membri dell'elite mondiale si incontreranno quindi questo weekend subito
fuori la capitale americana, e anche se ovviamente la lista dei lavori
non è stata resa pubblica, secondo alcuni rumors la conferenza verterà
sui fatti accaduti nell'ultimo anno, dalla crisi economica in atto fino
alla Primavera Araba.
Parlando a Russia Today ai primi di maggio, il
conduttore radiofonico Alex Jones, uno degli organizzatori della
contestazione Occupy Bilderberg, ha reso note le sue aspettative in
vista della prossima Conferenza mondiale. Il giornalista, alla domanda
se Bilderberg intenderà favorire Obama o Romney, ha spiegato che
entrambi i personaggi sarebbero finanziati dagli stessi gangli del
potere, di conseguenza la discussione doverebbe vertere su quali tra i
due potrebbe avere più possibilità di governare per altri quattro anni
realizzando gli interessi dei finanziatori. Come nel 2004 comunque, la
Conferenza Bilderberg si terrà presso lo Chantilly Virginia Westfield Marriott; il
giornalista Alex Jones non potrà assistere ovviamente ma ha lanciato un
appello alla cittadinanza per organizzare un corteo di protesta e far
sentire la pressione della società civile.
Fonte:Articolotre.com
ATTENZIONE, LEGGERE QUESTI POST, NUOCE GRAVEMENTE AL SISTEMA NERVOSO, LA VOSTRA CALMA POTREBBE RISENTIRNE...MA VI AUGURIAMO LO STESSO BUONA LETTURA! democratic staff!
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giovedì 31 maggio 2012
mercoledì 30 maggio 2012
Vaticano, la “guerra santa” contro Bertone. Lo Ior e la successione a Ratzinger gli obiettivi del complotto
La vicenda dei Vaticanleaks è legata alla guerra di potere interna alla Chiesa. Il segretario di Stato è da tempo nel mirino dei suoi avversari. La sfiducia a Gotti Tedeschi e la manovre intorno al pontefice sono gli altri tasselli del puzzle.
Quanto sta accedendo negli ultimi giorni in Vaticano – la fuoriuscita di documenti riservati, le indagini sui “corvi” e l’arresto del maggiordomo del papa – rappresenta l’evoluzione naturale della guerra di potere in corso Oltretevere tra i fedelissimi di Tarcisio Bertone e gli avversari del segretario di Stato. Questa la tesi rilanciata da Repubblica, che spiega come “la partita interna al Vaticano, adesso, si concentra tutta intorno allo Ior. Ed è un confronto in cui il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, si gioca il proprio futuro. Una battaglia sotterranea, decisiva tanto per i flussi di danaro che accorrono nelle casse dello Stato, quanto per gli equilibri di potere all’interno della Chiesa”.
Sulla centralità dello Ior nella guerra di potere vaticana è molto interessante quanto ha scritto sulla Stampa Andrea Tornielli. “Ieri padre Lombardi ha detto che non c’è collegamento tra la sfiducia al presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi e il caso Vatileaks. Il banchiere, scelto dal cardinale Bertone nel settembre 2009, editorialista de ‘L’Osservatore Romano’ e amico del suo direttore Gian Maria Vian, è stato destitutio giovedì scorso dal consiglio di sovrintendenza composto da membri laici. Il giorno dopo – scrive Tornielli – si è riunita la commissione cardinalizia chiamata a ratificare la sfiducia, ma dai loro lavori non è ancora uscito alcun comunicato. È stato invece fatta volutamente filtrare la durissima lettera di Carl Anderson – uno dei quattro membri del board – contente le ragioni del licenziamento di Gotti Tedeschi, la cui figura viene distrutta professionalmente”.
“Il banchiere – prosegue l’analista della Stampa – viene anche accusato di non aver fornito‘spiegazioni sulla diffusione dei documenti’ in suo possesso. La modalità del licenziamento è inedita nella tradizione della Santa Sede e potrebbe avere effetti dirompenti, se e quando Gotti Tedeschi uscirà dal silenzio. Il segretario di Stato Tarcisio Bertone sarebbe, a detta dei ‘corvi’, il vero obiettivo dell’operazione , studiata per accelerare il suo pensionamento. Anche se oggettivamente, il fuoco di fila dei Vatileaks appare sproporzionato per sfiduciare un cardinale che a dicembre compirà 78 anni”.
Questo, prosegue Tornielli, “a meno di non ipotizzare, come qualcuno ha fatto, che dietro a subbugli curiali ed extra-curiali vi siano le ambizioni in vista del cambio e, sullo sfondo, anche della successione all’anziano Pontefice. Ratzinger, che ha voluto Bertone al suo fianco, si fida di lui e non sembra intenzionato a cambiarlo, nonostante lo stesso porporato canavese si sia offerto di ritirarsi. La sua gestione della Segreteria di Stato è nel mirino di molte critiche. Come altre volte è accaduto, però, nel momento della bufera, l’istituzione ecclesiastica si chiude a riccio, per difendere i suoi membri con la tonaca”.
Nel frattempo, comincia a entrare nel vivo la battaglia per la successione di Gotti Tedeschi allo Ior. Secondo quanto riporta Repubblica, nelle ultime ore è spuntato il nome dell’ex governatore della Bundesbank Hans Tietmayer. "Ha 81 anni – scrive il quotidiano romano – ma ha compiuto da giovane studi di teologia ed è inoltre tedesco. È il nome che piace di più al papa e al suo segretario, monsignor Georg Gaenwein. Attenzione anche su Hermann Schmitz, che dalla scorsa settimana ha assunto la presidenza ad interim dell’Istituto. C’è poi l’americano Carl Anderson, e tre nomi italiani di tutto rispetto: il notaio torinese Antonio Maria Marocco, il presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, e il manager dell’Apsa, il patrimonio della sede apostolica, Paolo Mennini”.
Complottismi | Scritto da Jacopo Belbo
Quanto sta accedendo negli ultimi giorni in Vaticano – la fuoriuscita di documenti riservati, le indagini sui “corvi” e l’arresto del maggiordomo del papa – rappresenta l’evoluzione naturale della guerra di potere in corso Oltretevere tra i fedelissimi di Tarcisio Bertone e gli avversari del segretario di Stato. Questa la tesi rilanciata da Repubblica, che spiega come “la partita interna al Vaticano, adesso, si concentra tutta intorno allo Ior. Ed è un confronto in cui il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, si gioca il proprio futuro. Una battaglia sotterranea, decisiva tanto per i flussi di danaro che accorrono nelle casse dello Stato, quanto per gli equilibri di potere all’interno della Chiesa”.
Sulla centralità dello Ior nella guerra di potere vaticana è molto interessante quanto ha scritto sulla Stampa Andrea Tornielli. “Ieri padre Lombardi ha detto che non c’è collegamento tra la sfiducia al presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi e il caso Vatileaks. Il banchiere, scelto dal cardinale Bertone nel settembre 2009, editorialista de ‘L’Osservatore Romano’ e amico del suo direttore Gian Maria Vian, è stato destitutio giovedì scorso dal consiglio di sovrintendenza composto da membri laici. Il giorno dopo – scrive Tornielli – si è riunita la commissione cardinalizia chiamata a ratificare la sfiducia, ma dai loro lavori non è ancora uscito alcun comunicato. È stato invece fatta volutamente filtrare la durissima lettera di Carl Anderson – uno dei quattro membri del board – contente le ragioni del licenziamento di Gotti Tedeschi, la cui figura viene distrutta professionalmente”.
“Il banchiere – prosegue l’analista della Stampa – viene anche accusato di non aver fornito‘spiegazioni sulla diffusione dei documenti’ in suo possesso. La modalità del licenziamento è inedita nella tradizione della Santa Sede e potrebbe avere effetti dirompenti, se e quando Gotti Tedeschi uscirà dal silenzio. Il segretario di Stato Tarcisio Bertone sarebbe, a detta dei ‘corvi’, il vero obiettivo dell’operazione , studiata per accelerare il suo pensionamento. Anche se oggettivamente, il fuoco di fila dei Vatileaks appare sproporzionato per sfiduciare un cardinale che a dicembre compirà 78 anni”.
Questo, prosegue Tornielli, “a meno di non ipotizzare, come qualcuno ha fatto, che dietro a subbugli curiali ed extra-curiali vi siano le ambizioni in vista del cambio e, sullo sfondo, anche della successione all’anziano Pontefice. Ratzinger, che ha voluto Bertone al suo fianco, si fida di lui e non sembra intenzionato a cambiarlo, nonostante lo stesso porporato canavese si sia offerto di ritirarsi. La sua gestione della Segreteria di Stato è nel mirino di molte critiche. Come altre volte è accaduto, però, nel momento della bufera, l’istituzione ecclesiastica si chiude a riccio, per difendere i suoi membri con la tonaca”.
Nel frattempo, comincia a entrare nel vivo la battaglia per la successione di Gotti Tedeschi allo Ior. Secondo quanto riporta Repubblica, nelle ultime ore è spuntato il nome dell’ex governatore della Bundesbank Hans Tietmayer. "Ha 81 anni – scrive il quotidiano romano – ma ha compiuto da giovane studi di teologia ed è inoltre tedesco. È il nome che piace di più al papa e al suo segretario, monsignor Georg Gaenwein. Attenzione anche su Hermann Schmitz, che dalla scorsa settimana ha assunto la presidenza ad interim dell’Istituto. C’è poi l’americano Carl Anderson, e tre nomi italiani di tutto rispetto: il notaio torinese Antonio Maria Marocco, il presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, e il manager dell’Apsa, il patrimonio della sede apostolica, Paolo Mennini”.
Complottismi | Scritto da Jacopo Belbo
Ulteriore accisa sulla benzina per aiuto ai terremotati
Ci risiamo,puntuale come in ogni governo che si rispetti(tecnico o politico che sia),da mezzanotte scatta l'aumento di 2 centesimi sulla benzina e sui carburanti per autotrazione,un'accisa che ci accompagnerà fino al 31 dicembre,ma dobbiamo crederci?
Perchè invece il presidente Napolitano nonostante le richieste arrivate da più fronti non ha annullato la"sobria" parata militare del 2 giugno,che avrebbe fatto risparmiare 2,5 milioni di euro?Secondo le sue dichiarazioni l'annullamento non avrebbe consentito alcun risparmio,ma dobbiamo credere anche a questo?
Perchè nel 1976 dopo il terremoto del Friuli,l'allora ministro della difesa,annullò la parata militare?
Il testo dell'epoca parla chiaro:"La parata militare quest’anno, non si svolgerà. Lo ha comunicato il ministro della difesa Arnaldo Forlani, con una nota ufficiale. La decisione è stata presa a seguito della grave sciagura del Friuli e per far sì che i militari e i mezzi di stanza al nord siano utilizzati per aiutare i terremotati anziché per sfilare a via dei Fori imperiali".
Nel 1991 al tramonto della prima repubblica e con una crisi economica che imponeva una revisione della spesa pubblica la parata fu annullata!
Nel settennato di Oscar Luigi Scalfaro essa fu addirittura abolita perchè come sosteneva l'allora presidente :"Questa è la festa degli italiani,della gente comune.Meglio aprire a tutti i cittadini i giardini del Colle e stringere i cordoni della borsa,piuttosto che far marciare i soldati e tenere il costosissimo ricevimento per il Corpo Diplomatico".
Persino i sindacati,compreso lo stato d'animo popolare, hanno annullato la manifestazione nazionale programmata per il 2 giugno!
Secondo la campagna "Sbilanciamoci!",con gli stessi soldi spesi per la parata militare, si possono garantire i soccorsi di emergenza (tende, viveri, medicinali) a oltre 5 mila persone. "È irresponsabile spendere tanti soldi per far sfilare carri armati e blindo - sottolineano Giulio Marcon e Massimo Paolicelli di Sbilanciamoci - mentre gli stessi fondi potrebbero essere investiti per aiutare le popolazioni. La Repubblica va celebrata aiutando chi ora soffre a causa del terremoto e non sfoggiando armi e mezzi militari. La sospensione della parata militare deve essere solo il punto di partenza di una più ampia riduzione delle spese militari. Infatti - concludono - non ci si può lamentare di non avere soldi per difendersi dalle calamità naturali (mettendo nuove accise sulla benzina) e poi spendere oltre 10 miliardi di euro per acquistare 90 inutili cacciabombardieri F35". La Tavola della Pace lancia invece una raccolta di firme per chiedere "lavoro, non bombe". "Rispettiamo la volontà del presidente della Repubblica - precisa il coordinatore Flavio Lotti, riferendosi alla decisione di Giorgio Napolitano di far svolgere comunque la parata anche se in forma più sobria - ma ci permettiamo di osservare che se deve essere una parata sobria é necessario che i militari rivedano il programma e riducano le spese, e c'è un modo concreto per farlo: lasciare in caserma tutti i carri armati e i mezzi militari e ridurre significativamente il numero dei militari che dovranno sfilare". Lotti sottolinea che nessuno sa quale sia il costo reale della parata e chiede di rivedere il modo in cui vengono spesi i soldi pubblici.
Perchè invece il presidente Napolitano nonostante le richieste arrivate da più fronti non ha annullato la"sobria" parata militare del 2 giugno,che avrebbe fatto risparmiare 2,5 milioni di euro?Secondo le sue dichiarazioni l'annullamento non avrebbe consentito alcun risparmio,ma dobbiamo credere anche a questo?
Perchè nel 1976 dopo il terremoto del Friuli,l'allora ministro della difesa,annullò la parata militare?
Il testo dell'epoca parla chiaro:"La parata militare quest’anno, non si svolgerà. Lo ha comunicato il ministro della difesa Arnaldo Forlani, con una nota ufficiale. La decisione è stata presa a seguito della grave sciagura del Friuli e per far sì che i militari e i mezzi di stanza al nord siano utilizzati per aiutare i terremotati anziché per sfilare a via dei Fori imperiali".
Nel 1991 al tramonto della prima repubblica e con una crisi economica che imponeva una revisione della spesa pubblica la parata fu annullata!
Nel settennato di Oscar Luigi Scalfaro essa fu addirittura abolita perchè come sosteneva l'allora presidente :"Questa è la festa degli italiani,della gente comune.Meglio aprire a tutti i cittadini i giardini del Colle e stringere i cordoni della borsa,piuttosto che far marciare i soldati e tenere il costosissimo ricevimento per il Corpo Diplomatico".
Persino i sindacati,compreso lo stato d'animo popolare, hanno annullato la manifestazione nazionale programmata per il 2 giugno!
Secondo la campagna "Sbilanciamoci!",con gli stessi soldi spesi per la parata militare, si possono garantire i soccorsi di emergenza (tende, viveri, medicinali) a oltre 5 mila persone. "È irresponsabile spendere tanti soldi per far sfilare carri armati e blindo - sottolineano Giulio Marcon e Massimo Paolicelli di Sbilanciamoci - mentre gli stessi fondi potrebbero essere investiti per aiutare le popolazioni. La Repubblica va celebrata aiutando chi ora soffre a causa del terremoto e non sfoggiando armi e mezzi militari. La sospensione della parata militare deve essere solo il punto di partenza di una più ampia riduzione delle spese militari. Infatti - concludono - non ci si può lamentare di non avere soldi per difendersi dalle calamità naturali (mettendo nuove accise sulla benzina) e poi spendere oltre 10 miliardi di euro per acquistare 90 inutili cacciabombardieri F35". La Tavola della Pace lancia invece una raccolta di firme per chiedere "lavoro, non bombe". "Rispettiamo la volontà del presidente della Repubblica - precisa il coordinatore Flavio Lotti, riferendosi alla decisione di Giorgio Napolitano di far svolgere comunque la parata anche se in forma più sobria - ma ci permettiamo di osservare che se deve essere una parata sobria é necessario che i militari rivedano il programma e riducano le spese, e c'è un modo concreto per farlo: lasciare in caserma tutti i carri armati e i mezzi militari e ridurre significativamente il numero dei militari che dovranno sfilare". Lotti sottolinea che nessuno sa quale sia il costo reale della parata e chiede di rivedere il modo in cui vengono spesi i soldi pubblici.
martedì 29 maggio 2012
Vendola,Di Pietro,Bersani,Grillo:cosa si muove a sinistra?
Sino ad un mese fa, la situazione della sinistra era sostanzialmente questa:
Ferrero stava attaccato alla giacca di Vendola elemosinando un accordo elettorale
ma Vendola (e con lui Di Pietro) non se ne dava per inteso, perché stava attaccato alla giacca di Bersani, sperando di consacrare l’intesa di Vasto
ma Bersani –insidiato dagli orrendi moderati che albergano nel suo partito- stava attaccato alla giacca di Casini per decidere se fare alleanza solo con lui o sia con lui che con Vendola e Di Pietro o, in mancanza, ripiegare sullo schema di Vasto
Casini, a sua volta, non sapeva bene cosa avrebbe fatto da grande –se il grande centro, se il piccolo alleato di destra o quello di sinistra- e stava attaccato alla giacca di Cordero di Montezemolo, a quella di Pisanu ed a quella di Formigoni.
I quali non sapevano se restare aggrappati alla giacca del Cavaliere o attaccarsi a quella di Monti.
Il Cavaliere cercava di riacchiappare la giacca di Bossi (che, per parte sua, aveva ben altre gatte da pelare) ed, alternativamente, faceva l’occhiolino a Casini che non sapeva dove buttarsi.
Insomma un bel trenino che non andava da nessuna parte, perché ciascuno aspettava cosa facesse l’altro. Il peggiore spettacolo che il teatrino della politica italiana abbia mai prodotto.
Poi è arrivata la bufera del 5 maggio: Lega sprofondata, Pdl disintegrato, Terzo polo ridotto a “Terza Bufala”, Pd che scricchiola, Idv e Sel che vanno sotto aspettative e due soli vincitori, Grillo e “il partito bianco”.
Ed il trenino è deragliato. A prendere per primi l’iniziativa a sinistra sono stati Vendola e Di Pietro che hanno posto a Bersani l’aut aut: dicci che vuoi fare e subito, altrimenti ce ne andiamo per la nostra strada. Il senso della mossa è evidente: i due non vogliono restare appesi sino all’ultimo a cosa farà Bersani che, magari, all’ultimo li scarica per fare blocco con Casini. Per di più, ora Sel ed Idv hanno un potere contrattuale molto maggiore di ieri: stando all’attuale sistema elettorale, senza di loro il Pd potrebbe avere qualche residua speranza di vincere solo alleandosi a Casini, ma la cosa non è affatto sicura. Invece, Vendola e Di Pietro potrebbero tanto presentarsi come blocco autonomo quanto (e questa per il Pd sarebbe una vera catastrofe) cercare una alleanza con Grillo. Di Pietro, che ha una base contigua ed un vecchio amorazzo con i grillini, potrebbe fare da tramite e portarsi dietro anche Vendola.
In questo caso il Pd sarebbe praticamente finito: già oggi alcuni sondaggi lo danno di un punto sotto ai 5 stelle, ma, anche senza azzardare tanto, un blocco Grillo-Di Pietro-Vendola sarebbe tranquillamente sopra al 20% , a quel punto, se gli attuali trend elettorali proseguissero, il Pd sarebbe sotto ed il discorso del “voto utile” gli si rovescerebbe contro, con il risultato di portarlo fra il 10 ed il 15%: una disfatta epocale.
Vedremo cosa dice Bersani che, intanto, è lì che pettina bambole.
E veniamo a Grillo, che gode di un momento molto favorevole ma che già ha qualche inciampo.
In primo luogo, il movimento 5 stelle, che ha avuto una affermazione non da poco, resta un movimento circoscritto essenzialmente a due regioni dove ha seguito a due cifre (Piemonte ed Emilia) e ad alcune in cui supera il 5-6% (Liguria, Veneto, Toscana), mentre arranca nel resto del Centro Italia, ha percentuali molto ridotte nel Sud e nelle isole. Ma soprattutto, non ha ancora messo radici solide in Lombardia: se a questa tornata elettorale ci sono stati centri lombardi come Garbagnate dove si è affermato, però l’anno scorso a Milano si fermò al 3%, ed a Como, in questa occasione, non è andato molto al di là. Quindi la Lombardia resta ancora un punto debole per il movimento, il che non è poco.
Per di più, M5s continua ad avere una struttura tutta per circoli informatici e molto poco per gruppi territoriali, quello che è un altro punto debole. Parlando dei Piraten o di movimenti similari torneremo sul tema, per ora ci limitiamo ad osservare che poi le liste amministrative si fanno in sede locale e che, oltre un certo limite, non è possibile controllarle dal centro. Ne consegue che il movimento è totalmente vulnerabile alle scorribande di qualsiasi gruppo di avventurieri che, con un pugno di voti controllati e quattro soldi, sbaraglierebbe qualsiasi gruppo di giovani collegati in rete. Non sempre si può avere un Pizzarotti che garantisce seguito elettorale locale e lealtà al movimento.
Ancora: il programma è ancora pieno di buchi: manca tutto il capitolo della politica estera ed in particolare di politica europea, la parte dedicata alle istituzioni si riduce solo a quel che riguarda il tema (pure cruciale) della questione morale, il programma economico ha rivendicazioni condivisibilissime (come l’abolizione delle stock options) ma altre di disarmante ingenuità, mentre manca una visione di insieme. Certo è un movimento giovane che ha bisogno di tempo, ma proprio questo è quello che manca: le elezioni sono molto vicine (meno di un anno, al massimo).
Dunque, anche se il M5s ha un avvenire assai promettente, ha le sue fragilità e non mancano le insidie. E’un po’ presto per intonare la marcia trionfale: il rischio di capitomboli c’è e non è piccolo. Ed a questo proposito, dobbiamo dire che l’uscita su chi deve essere il segretario comunale di Parma ci ha lasciati sbalorditi: ma ve lo vedete Bersani che dice a Fassino chi deve essere il segretario comunale di Torino o Di Pietro che dice a De Magistris chi deve essere quello di Napoli. Ma nemmeno Bossi (per quel che se ne sa) ha mai detto ai suoi sindaci che segretari comunali dovevano scegliersi. Insomma, facciamo un movimento all’insegna della democrazia di base, del superamento della forma partito, poi viene fuori il partito di “one man show”, vi pare serio? Ma, si dirà, il candidato bocciato da Grillo, Tavolazzi, era stato espulso dal movimento. A parte il fatto che quella di segretario generale del Comune non è una carica politica ma amministrativa e non è richiesta l’appartenenza allo stesso partito del sindaco, il richiamo peggiora le cose: Tavolazzi è stato espulso personalmente da Grillo al di fuori di qualsiasi prassi statutaria perché uno statuto non c’è, dunque, nel movimento si sta o se ne è esclusi solo sulla base delle decisioni personali del suo condottiero.
Capisco che Grillo –che ha ripetutamente detto di non volersi presentare alle elezioni- cerchi di porsi come garante del movimento dalle infiltrazioni e che cerchi di sostituire i tradizionali meccanismi partitici, ma, con ogni probabilità, è destinato ad ottenere risultati opposti a quelli che cerca di raggiungere. In primo luogo, è del tutto illusorio pensare che un solo uomo al centro possa essere un filtro efficace contro il rischio di infiltrazioni o degenerazioni del movimento. In secondo luogo, i meccanismi tradizionali dei partiti sono assolutamente sclerotizzati e da ripensare, ma se l’alternativa è l’iper centralizzazione di tutto nelle mani di un singolo uomo, tanto vale, teniamoci i vecchi sistemi che, comunque, sono un po’ più democratici: le leadership carismatiche non sono mai democratiche.
Peraltro, il problema, già avvertibile prima delle elezioni amministrative, sta esplodendo in questi giorni. E’ iniziata la corsa al carro vincente e si avverte chiaramente l’effetto “limatura di ferro”: quando si forma un magnete con sufficiente forza attrattiva, la limatura di ferro sparsa inizia ad aggregarsi e il blocco si ingrossa sempre più. Come le valanghe che più si ingrossano, trascinando a valle detriti, e più diventano irresistibili, allargando il fronte di discesa e trascinando sempre più pietrisco.
E non si tratta solo di gruppi locali più o meno genuini e più o meno di dilettanti, ma anche di gruppi strutturati con gruppi dirigenti sperimentati: già Pannella sta facendo una corte scatenata a Grillo, parlandone come del suo possibile erede (erede di cosa, poi, non si sa), ma anche De Magistris potrebbe pensare di essere la “porta di ingresso” al Sud per il M5s, i Verdi che, con Bonelli, stanno tentando una faticosissima risalita, hanno un gruzzoletto di voti da portare in dote e potrebbero far valere una certa affinità culturale ed ideologica. E poi, anche Vendola e Di Pietro, come abbiamo visto…
La scelta che si pone non è facile: chiudere le porte a tutti significherebbe un arroccamento settario che condannerebbe il movimento ad una precoce decadenza, ma aprirle indiscriminatamente a tutti farebbe correre il rischio di una implosione a causa del crescente caos politico programmatico. Come si vede, occorrono una serie di scelte molto delicate con un elevato rischio di sbagliare per eccesso o per difetto. E tutto è complicato dalla struttura troppo fluida del movimento che non può restare cosi a lungo. Se anche il M5stelle prendesse solo il 7-8% dei voti alle politiche (una percentuale molto bassa rispetto alle aspettative, che potrebbe provocare brutti effetti di delusione), questo significa che, pure con il sistema attuale, otterrebbe una cinquantina di parlamentari: troppi per un movimento cosi poco strutturato.
Decisamente, siamo in una situazione molto fluida, forse troppo.
Fonte:aldogiannuli.it
Ferrero stava attaccato alla giacca di Vendola elemosinando un accordo elettorale
ma Vendola (e con lui Di Pietro) non se ne dava per inteso, perché stava attaccato alla giacca di Bersani, sperando di consacrare l’intesa di Vasto
ma Bersani –insidiato dagli orrendi moderati che albergano nel suo partito- stava attaccato alla giacca di Casini per decidere se fare alleanza solo con lui o sia con lui che con Vendola e Di Pietro o, in mancanza, ripiegare sullo schema di Vasto
Casini, a sua volta, non sapeva bene cosa avrebbe fatto da grande –se il grande centro, se il piccolo alleato di destra o quello di sinistra- e stava attaccato alla giacca di Cordero di Montezemolo, a quella di Pisanu ed a quella di Formigoni.
I quali non sapevano se restare aggrappati alla giacca del Cavaliere o attaccarsi a quella di Monti.
Il Cavaliere cercava di riacchiappare la giacca di Bossi (che, per parte sua, aveva ben altre gatte da pelare) ed, alternativamente, faceva l’occhiolino a Casini che non sapeva dove buttarsi.
Insomma un bel trenino che non andava da nessuna parte, perché ciascuno aspettava cosa facesse l’altro. Il peggiore spettacolo che il teatrino della politica italiana abbia mai prodotto.
Poi è arrivata la bufera del 5 maggio: Lega sprofondata, Pdl disintegrato, Terzo polo ridotto a “Terza Bufala”, Pd che scricchiola, Idv e Sel che vanno sotto aspettative e due soli vincitori, Grillo e “il partito bianco”.
Ed il trenino è deragliato. A prendere per primi l’iniziativa a sinistra sono stati Vendola e Di Pietro che hanno posto a Bersani l’aut aut: dicci che vuoi fare e subito, altrimenti ce ne andiamo per la nostra strada. Il senso della mossa è evidente: i due non vogliono restare appesi sino all’ultimo a cosa farà Bersani che, magari, all’ultimo li scarica per fare blocco con Casini. Per di più, ora Sel ed Idv hanno un potere contrattuale molto maggiore di ieri: stando all’attuale sistema elettorale, senza di loro il Pd potrebbe avere qualche residua speranza di vincere solo alleandosi a Casini, ma la cosa non è affatto sicura. Invece, Vendola e Di Pietro potrebbero tanto presentarsi come blocco autonomo quanto (e questa per il Pd sarebbe una vera catastrofe) cercare una alleanza con Grillo. Di Pietro, che ha una base contigua ed un vecchio amorazzo con i grillini, potrebbe fare da tramite e portarsi dietro anche Vendola.
In questo caso il Pd sarebbe praticamente finito: già oggi alcuni sondaggi lo danno di un punto sotto ai 5 stelle, ma, anche senza azzardare tanto, un blocco Grillo-Di Pietro-Vendola sarebbe tranquillamente sopra al 20% , a quel punto, se gli attuali trend elettorali proseguissero, il Pd sarebbe sotto ed il discorso del “voto utile” gli si rovescerebbe contro, con il risultato di portarlo fra il 10 ed il 15%: una disfatta epocale.
Vedremo cosa dice Bersani che, intanto, è lì che pettina bambole.
E veniamo a Grillo, che gode di un momento molto favorevole ma che già ha qualche inciampo.
In primo luogo, il movimento 5 stelle, che ha avuto una affermazione non da poco, resta un movimento circoscritto essenzialmente a due regioni dove ha seguito a due cifre (Piemonte ed Emilia) e ad alcune in cui supera il 5-6% (Liguria, Veneto, Toscana), mentre arranca nel resto del Centro Italia, ha percentuali molto ridotte nel Sud e nelle isole. Ma soprattutto, non ha ancora messo radici solide in Lombardia: se a questa tornata elettorale ci sono stati centri lombardi come Garbagnate dove si è affermato, però l’anno scorso a Milano si fermò al 3%, ed a Como, in questa occasione, non è andato molto al di là. Quindi la Lombardia resta ancora un punto debole per il movimento, il che non è poco.
Per di più, M5s continua ad avere una struttura tutta per circoli informatici e molto poco per gruppi territoriali, quello che è un altro punto debole. Parlando dei Piraten o di movimenti similari torneremo sul tema, per ora ci limitiamo ad osservare che poi le liste amministrative si fanno in sede locale e che, oltre un certo limite, non è possibile controllarle dal centro. Ne consegue che il movimento è totalmente vulnerabile alle scorribande di qualsiasi gruppo di avventurieri che, con un pugno di voti controllati e quattro soldi, sbaraglierebbe qualsiasi gruppo di giovani collegati in rete. Non sempre si può avere un Pizzarotti che garantisce seguito elettorale locale e lealtà al movimento.
Ancora: il programma è ancora pieno di buchi: manca tutto il capitolo della politica estera ed in particolare di politica europea, la parte dedicata alle istituzioni si riduce solo a quel che riguarda il tema (pure cruciale) della questione morale, il programma economico ha rivendicazioni condivisibilissime (come l’abolizione delle stock options) ma altre di disarmante ingenuità, mentre manca una visione di insieme. Certo è un movimento giovane che ha bisogno di tempo, ma proprio questo è quello che manca: le elezioni sono molto vicine (meno di un anno, al massimo).
Dunque, anche se il M5s ha un avvenire assai promettente, ha le sue fragilità e non mancano le insidie. E’un po’ presto per intonare la marcia trionfale: il rischio di capitomboli c’è e non è piccolo. Ed a questo proposito, dobbiamo dire che l’uscita su chi deve essere il segretario comunale di Parma ci ha lasciati sbalorditi: ma ve lo vedete Bersani che dice a Fassino chi deve essere il segretario comunale di Torino o Di Pietro che dice a De Magistris chi deve essere quello di Napoli. Ma nemmeno Bossi (per quel che se ne sa) ha mai detto ai suoi sindaci che segretari comunali dovevano scegliersi. Insomma, facciamo un movimento all’insegna della democrazia di base, del superamento della forma partito, poi viene fuori il partito di “one man show”, vi pare serio? Ma, si dirà, il candidato bocciato da Grillo, Tavolazzi, era stato espulso dal movimento. A parte il fatto che quella di segretario generale del Comune non è una carica politica ma amministrativa e non è richiesta l’appartenenza allo stesso partito del sindaco, il richiamo peggiora le cose: Tavolazzi è stato espulso personalmente da Grillo al di fuori di qualsiasi prassi statutaria perché uno statuto non c’è, dunque, nel movimento si sta o se ne è esclusi solo sulla base delle decisioni personali del suo condottiero.
Capisco che Grillo –che ha ripetutamente detto di non volersi presentare alle elezioni- cerchi di porsi come garante del movimento dalle infiltrazioni e che cerchi di sostituire i tradizionali meccanismi partitici, ma, con ogni probabilità, è destinato ad ottenere risultati opposti a quelli che cerca di raggiungere. In primo luogo, è del tutto illusorio pensare che un solo uomo al centro possa essere un filtro efficace contro il rischio di infiltrazioni o degenerazioni del movimento. In secondo luogo, i meccanismi tradizionali dei partiti sono assolutamente sclerotizzati e da ripensare, ma se l’alternativa è l’iper centralizzazione di tutto nelle mani di un singolo uomo, tanto vale, teniamoci i vecchi sistemi che, comunque, sono un po’ più democratici: le leadership carismatiche non sono mai democratiche.
Peraltro, il problema, già avvertibile prima delle elezioni amministrative, sta esplodendo in questi giorni. E’ iniziata la corsa al carro vincente e si avverte chiaramente l’effetto “limatura di ferro”: quando si forma un magnete con sufficiente forza attrattiva, la limatura di ferro sparsa inizia ad aggregarsi e il blocco si ingrossa sempre più. Come le valanghe che più si ingrossano, trascinando a valle detriti, e più diventano irresistibili, allargando il fronte di discesa e trascinando sempre più pietrisco.
E non si tratta solo di gruppi locali più o meno genuini e più o meno di dilettanti, ma anche di gruppi strutturati con gruppi dirigenti sperimentati: già Pannella sta facendo una corte scatenata a Grillo, parlandone come del suo possibile erede (erede di cosa, poi, non si sa), ma anche De Magistris potrebbe pensare di essere la “porta di ingresso” al Sud per il M5s, i Verdi che, con Bonelli, stanno tentando una faticosissima risalita, hanno un gruzzoletto di voti da portare in dote e potrebbero far valere una certa affinità culturale ed ideologica. E poi, anche Vendola e Di Pietro, come abbiamo visto…
La scelta che si pone non è facile: chiudere le porte a tutti significherebbe un arroccamento settario che condannerebbe il movimento ad una precoce decadenza, ma aprirle indiscriminatamente a tutti farebbe correre il rischio di una implosione a causa del crescente caos politico programmatico. Come si vede, occorrono una serie di scelte molto delicate con un elevato rischio di sbagliare per eccesso o per difetto. E tutto è complicato dalla struttura troppo fluida del movimento che non può restare cosi a lungo. Se anche il M5stelle prendesse solo il 7-8% dei voti alle politiche (una percentuale molto bassa rispetto alle aspettative, che potrebbe provocare brutti effetti di delusione), questo significa che, pure con il sistema attuale, otterrebbe una cinquantina di parlamentari: troppi per un movimento cosi poco strutturato.
Decisamente, siamo in una situazione molto fluida, forse troppo.
Fonte:aldogiannuli.it
venerdì 25 maggio 2012
Non esistono più, ma le paghiamo ancora 150 milioni l'anno alle Comunità montane
di ANTONIO FRASCHILLA
Questi enti dovevano valorizzare il territorio, ma nel 2008 si è deciso di azzere i fondi a loro destinati. Basilicata, Liguria, Molise, Puglia e Toscana li hanno soppressi. Piemonte, Lazio e Campania hanno votato leggi per la loro trasformazione in unioni di Comuni. Erano 356 e sono diventati 72. In realtà ne restano più di cento ancora in vita: veri e propri "stipendifici" di dipendenti che non lavorano
ROMA - Ogni giorno timbrano il cartellino anche se, sulla carta, l’ente per il quale lavorano non esiste da tre anni. Tanto è trascorso da quando in Puglia sono state soppresse le Comunità montane sull’onda del clamore mediatico che aveva travolto l’ente «senza montagna» delle Murge, che comprendeva il Comune di Pelagiano, provincia di Taranto, 39 metri sul livello del mare. Ma proprio questa Comunità che aveva fatto gridare allo scandalo è ancora lì in piedi, anche se formalmente chiusa. È vero, non c’è più un consiglio d’amministrazione che garantisce gettoni d’oro a sindaci e assessori, ma dal 2010 la Regione pugliese paga un commissario liquidatore con indennità pari a oltre 20 mila euro l’anno e due dipendenti.La Comunità delle Murge è il simbolo di come la furia moralizzatrice e la corsa a tagliare gli enti montani si sia trasformata in un grande spreco che vede oggi le Regioni continuare a spendere 150 milioni di euro per gli stipendi di 4.500 dipendenti e altri 162 milioni per 7.500 forestali: il tutto per svolgere pochi servizi, o nessuno, causa assenza di fondi per investimenti. Un paradosso nato dal fatto che da un lato lo Stato ha azzerato i trasferimenti a questi organismi e, dall’altro, le Regioni si sono affrettate a sopprimere le Comunità senza però trovare una soluzione per i lavoratori. Risultato? Si pagano solo stipendi e si scopre che le Comunità continuano a spendere 14,9 milioni di euro all’anno in consulenze, mentre i boschi rimangono abbandonati perché mancano i soldi per la loro manutenzione. «Un assurdo, da anni chiediamo una riorganizzazione omogenea del sistema in tutto il Paese, che trasformi le Comunità in unioni di Comuni in modo da poter dare indipendenza economica a questi enti e ottenere veri risparmi mettendo insieme servizi», dice Enrico Borghi, presidente della commissione della montagna dell’Anci.
In Italia attualmente vige il caos, con alcune Regioni che hanno chiuso formalmente questi enti e altri che li mantengono in vita per fare anche la riscossione dei tributi: come nel Cadore, dove il Comune Calanzo ha deciso di togliere questo servizio a Equitalia per affidarlo alla Comunità di Valbelluna. Ma quante sono le Comunità rimaste in vita? Quanto costano? Cosa fanno?
Le Comunità in liquidazione Molte Regioni come Basilicata, Liguria, Molise, Puglia e Toscana, hanno soppresso le Comunità e altre Regioni hanno votato leggi per la loro trasformazione in unioni di Comuni, come Piemonte, Lazio e Campania. Formalmente ne rimangono in piedi solo 72 sulle 300 attive nel 2008, in gran parte concentrate in Valle d’Aosta (8), Trentino Alto Adige (23), Lombardia (23), Veneto (19), Emilia Romagna (10), Marche (9). In realtà, considerando quelle in liquidazione, sono ancora 201 gli enti in piedi con in carico i dipendenti, ma senza un euro per svolgere servizi. Situazione, questa, che sta diventano allarmante soprattutto al Sud, con le Regioni che di fatto versano, quando lo versano, lo stretto necessario a pagare i lavoratori e in più garantiscono parcelle d’oro a una pletora di commissari liquidatori: «Diciamo che quando c’eravamo noi politici nei consigli d’amministrazione si gridava allo scandalo, oggi ci sono i burocrati e nessuno dice nulla», sottolinea Borghi.
Ma quanti sono questi enti fantasma e quali i costi affrontati per la loro liquidazione? Simbolo di quanto sta accadendo è la Comunità delle Murge, che comprende il Comune di Palagiano, a meno di 40 metri dal livello del mare. La Puglia ha chiuso questa Comunità nel 2008. A tre anni di distanza, però, l’ente è ancora lì, con un liquidatore e due dipendenti: «Ci hanno chiuso ma solo formalmente, perché noi veniamo ancora a lavorare in attesa di essere trasferiti da qualche parte», dice un funzionario. Già, ma la Provincia non li vuole, e nemmeno i Comuni che non hanno i fondi per pagare i loro stipendi. Stesso discorso avviene in Molise, con le sei Comunità soppresse di cui cinque però ancora in liquidazione perché non si riesce a pagare i creditori. Nel frattempo la Regione ha appena erogato 5 milioni di euro per pagare gli stipendi: «Ovviamente — ha detto l’assessore agli Enti locali Antonio Chieffo all’indomani dello stanziamento — quello del pagamento degli stipendi ai dipendenti è soltanto un aspetto. Nei prossimi mesi auspichiamo un’immediata collocazione di tutto il personale». Ma in Italia si sa: nulla è più duraturo del provvisorio.
Anche in Campania la situazione è identica, con la Regione che versa alle Comunità i fondi necessari a pagare solo i 677 stipendi, e il discorso non cambia in Calabria dove le 20 Comunità mantengono 516 persone o in Umbria. Certo, c’è da chiedersi come mai in queste Regioni gli addetti siano di più che in Lombardia (390) o in Veneto (183) ma tant’è, questo personale è ormai sul groppone anche se nessuno lo vuole. Al Sud si aggiunge poi un altro paradosso: che le Comunità oltre a mantenere i dipendenti, debbano garantire le giornate lavorative a un esercito di forestali, anche qui senza sapere bene come impiegarli visto che non ci sono fondi per realizzare progetti sulla tutela dei boschi: tanto per fare un esempio, in Piemonte i forestali sono appena 532, in Campania 4.500 anche se il record appartiene alla Sicilia con 30 mila addetti (quasi la metà di tutto il resto del Paese). Ma nell’isola “virtuosa” sono in capo alla Regione e non esistono più le Comunità montane. Mentre al Sud le Comunità soppresse pagano ancora stipendi, al Nord alcune Regioni si sono rifiutate di abolirle: la Lombardia ha appena stanziato 50 milioni di euro per le sue 23 Comunità montane, che si aggiungono a Comuni, Province e Unione di Comuni, tanto per non farsi mancare nulla.
Fonte:inchieste.repubblica.it
AAA – Cercasi tecnico esperto
Per tutti i professionisti in cerca di precaria occupazione, sull’organo ufficiale degli Ensiferi a certificazione Michelin, la Pravda della setta e unico organo di ‘informazione’ consentito, si può leggere (in sintesi) questo straordinario annuncio:
“A Parma abbiamo bisogno di aiuto. Cerchiamo una persona con esperienza della gestione della macchina comunale per la carica di direttore generale al più presto. Incensurata, non legata ai partiti, di provata competenza….
Chiunque fosse interessato alla posizione invii il suo curriculum a questa mail.”
Ovverosia l’indirizzo e_mail del guru ligure.
A vagliare curricula e competenze sarà, a proprio insindacabile giudizio, il ragionier Giuseppe Grillo da Genova, ovvero il clan dei Casa Liggio & Affiliati.
Perché, se “uno vale uno”, qualcuno vale più di tutti gli altri messi assieme.
A Parma non si è ancora insediata la nuova
giunta comunale, che già la città è sotto commissariamento
dell’invadente Profeta genovese. Eclissata l’immaginazione al potere,
dopo l’incompetenza, abbiamo la più assoluta improvvisazione:
neo-consiglieri stellati, riuniti in sessione plenaria per un corso
accelerato di Bignami in diritto amministrativo; assoluta assenza di un
vero programma di governo, con uno straccio di piano di recupero per la
gigantesca voragine di bilancio parmense… Evidentemente, la striminzita
quindicina di paginette del programmino scolastico a 5 stelle non è
sufficiente. D’altronde, il neo-sindaco Pizzarotti (ed il suo
ingombrante mentore virtuale) non si è preoccupato nemmeno di presentare
una lista di potenziali amministratori di giunta, tanto grande è stata
la sorpresa di vincere le comunali. Per il momento ci si affida ad un
gruppetto di professori bocconiani, colleghi degli esecrati tecnocrati
al governo nazionale, in attesa di consultare gli amici del Bar Sport.
D’altronde,
secondo i pasdaran del MoVimento, perché darsi tanta pena?!? Federico
Pizzarotti, l’ex burattino con un’anima propria che sta faticosamente
recidendo i fili col puparo Grillo, secondo le indicazioni dei puristi
della confraternita virtuale, dovrebbe essere solo un “portavoce dei
cittadini”, privo di libero arbitrio. A questi “cittadini” qualcuno
dovrebbe spiegare che un sindaco, in qualità di primo cittadino, è
chiamato a fare scelte precise, prendere decisioni di rilevanza pubblica
che, in quanto tali, si configurano sempre come ‘politiche’.
Nella fattispecie, firma delibere, autorizza capitolati di spesa,
sostiene progetti, mettendoci la faccia in prima persona e rispondendo
individualmente per eventuali errori o violazioni di legge (che non
ammette ignoranza) in sede penale e civile. Se il sindaco sbaglia, gli
avvisi di garanzia non arrivano ai “cittadini”, ma al Sindaco e nello
specifico a Federico Pizzarotti. Altro che “portavoce”!
Amministrare la res publica è un
po’ più complicato che stilare proclami su un blog (gestito da terzi) e
fare merchandising auto-promozionale, giocando nel tempo libero ai
piccoli carbonari nascosti nell’anonimato virtuale di sedicenti meet-up
tramite chat, peraltro spiata (illegalmente) dagli hackers della
Casaleggio per conto del Profeta.
Più che democrazia diretta, sembra l’Egitto dei faraoni!
Über Alles, c’è il piccolo führer di Ponente,
che scalpita irrequieto per la paura di perdere il controllo assoluto
del suo personalissimo giocattolo, scambiando la Democrazia per
un’entità astratta chiamata “Rete” (manipolata dai suoi consulenti
informatici).
Dopo il berlusconismo, la piaga delle locuste?
Fonte:liberthalia.wordpress.com
giovedì 24 maggio 2012
Spostare la priorità dalla crescita del PIL alla crescita dell’occupazione in lavori utili: una proposta concreta
Appello di imprenditori, tecnici, consulenti ed attivisti del
Movimento per la Decrescita Felice per un cambio di priorità in Italia
nelle scelte economiche ed industriali, al fine di iniziare a superare
l’attuale crisi di sistema
In tempi normali è sufficiente gestire l’ordinaria amministrazione con accortezza perché tutto proceda bene. Il governo può condurre la sua politica industriale mediando fra gli interessi di ognuna delle parti coinvolte nei processi economici, cercando di trovare punti di incontro per la difesa degli interessi generali. Ma quando, come ora, si vivono grandi cambiamenti epocali, dove masse sempre più grandi di persone soffrono per mancanza di lavoro, Occorre rimettere in discussione idee consolidate, in particolare il dogma della crescita continua del Prodotto Interno Lordo. Vediamo con apprensione che si parla di “Project Bond per realizzare grandi opere infrastrutturali. Si tratta in pratica di fare ancora altri debiti per realizzare di grandi opere finalizzate, più che alla reale utilità, al far ripartire la crescita, come se questa fosse la soluzione ad ogni male.
Ancora grandi opere, ancora a debito … per riavviare la crescita e poter pagare gli interessi sul debito! Ma che follia è? E in questo teatro dell’assurdo, si inserisce anche il luogo comune del collegamento diretto fra crescita e occupazione. Si dà per scontato che la crescita faccia automaticamente aumentare l’occupazione, ma non è vero e ci sono i numeri a dimostrarlo. Dagli anni ’60 ad oggi il PIL è aumentato di quasi 4 volte, mentre l’occupazione in proporzione all’aumento della popolazione è diminuita!
Ogni imprenditore sa che, nella maggior parte dei settori merceologici, l’aumento della produttività e quindi del PIL, si ottiene con l’automazione e con l’ottimizzazione dei processi produttivi e non aumentando proporzionalmente l’occupazione.
Se si spendono i pochi soldi disponibili, o si creano altri debiti come quelli dei Project Bond, per fare grandi opere infrastrutturali, magari pianificate in altri tempi, prenderebbero gli appalti le solite poche grandi imprese che hanno le attrezzature necessarie. Sarebbero coinvolti qualche decina di sub appaltatori e lavorerebbero poche migliaia di operai, visto che il grosso del lavoro lo farebbero le macchine. I denari spesi sarebbero concentrati in poche mani e non servirebbero a riavviare l’economia neanche nei territori interessati dalle stesse opere, perché il grosso degli operai verrebbe da fuori.
Per dimostrare le nostre tesi, abbiamo studiato i dati della galleria per il TAV in val di Susa. Abbiamo scelto questa grande opera a titolo di esempio perché sono disponibili molti dati forniti dal Ministero competente, quindi certi e utili per avviare delle comparazioni. Tali dati indicano che la nuova galleria del TAV consentirebbe di creare 2000 nuovi posti diretti e 4000 indiretti. In realtà le cifre sembrano ottimistiche, ma anche se si raggiungessero tali obiettivi occupazionali, avremmo al massimo 6000 nuovi posti di lavoro contro un investimento minimo di 8,2 mld di €, ovvero 0,73 nuovi posti per ogni milione di euro investito, sempre che il costo dei lavori non subisca aumenti esponenziali in corso d’opera come è sempre avvenuto fino ad oggi in Italia!
In ogni caso la spesa sarebbe coperta a debito ribaltando ancora una volta il problema sulle generazioni future, che dovrebbero anche sorbirsi i danni ambientali e le spese per l’energia necessaria a illuminare e climatizzare l’opera.
Tutte le grandi opere infrastrutturali hanno per comun denominatore l’uso del debito, di molto cemento, di molta energia e hanno quindi un impatto ambientale molto rilevante. In sintesi si può dire che sull’altare ideologico della crescita del PIL e a favore di pochi soggetti che guadagnerebbero molto denaro, sacrificheremmo ancora una volta l’ambiente, l’occupazione, gli interessi della gran parte della gente ed i diritti delle generazioni future.
Si può fare diversamente? Certo che si! Bisogna solo cambiare le priorità e spendere il denaro in altro modo, partendo anche dalla consapevolezza che è convenienza di tutti investire subito le poche risorse disponibili in molte migliaia di piccoli e micro cantieri e solo successivamente, eventualmente, in grandi opere infrastrutturali.
I micro cantieri dovrebbero riguardare in primo luogo l’efficientamento energetico degli edifici pubblici e privati. Poi anche le bonifiche ambientali e per la messa in sicurezza del territorio rispetto agli eventi catastrofici. In uno studio dell’ENEA del 2009 (vedi allegato 1) si proponevano interventi di riqualificazione energetica in 15.000 scuole ed edifici pubblici, che attualmente spendono circa 1,8 Mld di € ogni anno in energia elettrica e termica. Con gli 8,2 miliardi di € previsti per il TAV si può risparmiare il 20% dei consumi di questi edifici, pari a oltre 420 mln€/anno e si possono creare almeno 150.000 nuovi posti di lavoro. Inoltre lavorerebbero decine di migliaia di pmi e artigiani installatori. E siccome a cambiare infissi, montare caldaie di nuova generazione, montare cappotti, costruire case efficienti, rifare tetti, ecc. non servono macchine, ma persone, si darebbe lavoro ad un sacco di gente facendo tra l’altro ripartire in maniera virtuosa il settore dell’edilizia, attualmente in grande sofferenza.
In un articolo apparso il 13 febbraio 2012 sul Sole24ore (vedi allegato 2) si legge che investendo un milione di € in progetti di efficienza energetica si generano in media 13 posti di lavoro. Non si parla qui di energie rinnovabili, che pure generano 3 o 4 nuovi posti di lavoro per ogni milione di € investiti, ma del lavoro di “tappare i buchi” dai quali sfugge e viene sprecata gran parte dell’energia che usiamo nell’abitare. Per ogni 10 miliardi di € investiti si possono avere 130.000 nuovi posti di lavoro di buona qualità, mentre investendo la stessa cifra in grandi opere daremmo lavoro al massimo a 7.300 persone.
Dobbiamo poi considerare che i costi delle opere di efficientamento si pagherebbero in pochi anni con il risparmio energetico e in meno di un decennio i soldi investiti sarebbero di nuovo disponibili per nuovi utilizzi. Diventerebbero di fatto dei fondi di rotazione. Immediatamente calerebbe la bolletta energetica e l’inquinamento da CO2. Quindi ci guadagneremmo tutti. Inoltre con commesse piccole e diffuse, i fenomeni di grande corruzione politica, tipici dei grandi appalti, sarebbero certamente più infrequenti. Infine, il denaro speso per far lavorare migliaia e migliaia di piccole imprese e di artigiani, resterebbe nel territorio contribuendo in maniera determinante al riavvio dell’economia!
Noi facciamo appello alla politica perché dia priorità a questi interventi che generano molti benefici per tutti. Le grandi infrastrutture eventualmente si faranno in un secondo momento e solo quando si avrà la certezza che serviranno davvero!
Occorre abbandonare il dogma della crescita continua. Nell’Universo NULLA cresce per sempre. Si tratta di una sciocca illusione generata dalla mente dell’homo oeconomicus, una delle specie più perniciose e imprevidenti mai apparsa sulla faccia del Pianeta. E solo per questa sciocca specie di umani, e per gli altri che ci credono, il PIL è l’indicatore unico ed indiscutibile del nostro benessere.
Fonte: decrescitafelice.it
In tempi normali è sufficiente gestire l’ordinaria amministrazione con accortezza perché tutto proceda bene. Il governo può condurre la sua politica industriale mediando fra gli interessi di ognuna delle parti coinvolte nei processi economici, cercando di trovare punti di incontro per la difesa degli interessi generali. Ma quando, come ora, si vivono grandi cambiamenti epocali, dove masse sempre più grandi di persone soffrono per mancanza di lavoro, Occorre rimettere in discussione idee consolidate, in particolare il dogma della crescita continua del Prodotto Interno Lordo. Vediamo con apprensione che si parla di “Project Bond per realizzare grandi opere infrastrutturali. Si tratta in pratica di fare ancora altri debiti per realizzare di grandi opere finalizzate, più che alla reale utilità, al far ripartire la crescita, come se questa fosse la soluzione ad ogni male.
Ancora grandi opere, ancora a debito … per riavviare la crescita e poter pagare gli interessi sul debito! Ma che follia è? E in questo teatro dell’assurdo, si inserisce anche il luogo comune del collegamento diretto fra crescita e occupazione. Si dà per scontato che la crescita faccia automaticamente aumentare l’occupazione, ma non è vero e ci sono i numeri a dimostrarlo. Dagli anni ’60 ad oggi il PIL è aumentato di quasi 4 volte, mentre l’occupazione in proporzione all’aumento della popolazione è diminuita!
Ogni imprenditore sa che, nella maggior parte dei settori merceologici, l’aumento della produttività e quindi del PIL, si ottiene con l’automazione e con l’ottimizzazione dei processi produttivi e non aumentando proporzionalmente l’occupazione.
Se si spendono i pochi soldi disponibili, o si creano altri debiti come quelli dei Project Bond, per fare grandi opere infrastrutturali, magari pianificate in altri tempi, prenderebbero gli appalti le solite poche grandi imprese che hanno le attrezzature necessarie. Sarebbero coinvolti qualche decina di sub appaltatori e lavorerebbero poche migliaia di operai, visto che il grosso del lavoro lo farebbero le macchine. I denari spesi sarebbero concentrati in poche mani e non servirebbero a riavviare l’economia neanche nei territori interessati dalle stesse opere, perché il grosso degli operai verrebbe da fuori.
Per dimostrare le nostre tesi, abbiamo studiato i dati della galleria per il TAV in val di Susa. Abbiamo scelto questa grande opera a titolo di esempio perché sono disponibili molti dati forniti dal Ministero competente, quindi certi e utili per avviare delle comparazioni. Tali dati indicano che la nuova galleria del TAV consentirebbe di creare 2000 nuovi posti diretti e 4000 indiretti. In realtà le cifre sembrano ottimistiche, ma anche se si raggiungessero tali obiettivi occupazionali, avremmo al massimo 6000 nuovi posti di lavoro contro un investimento minimo di 8,2 mld di €, ovvero 0,73 nuovi posti per ogni milione di euro investito, sempre che il costo dei lavori non subisca aumenti esponenziali in corso d’opera come è sempre avvenuto fino ad oggi in Italia!
In ogni caso la spesa sarebbe coperta a debito ribaltando ancora una volta il problema sulle generazioni future, che dovrebbero anche sorbirsi i danni ambientali e le spese per l’energia necessaria a illuminare e climatizzare l’opera.
Tutte le grandi opere infrastrutturali hanno per comun denominatore l’uso del debito, di molto cemento, di molta energia e hanno quindi un impatto ambientale molto rilevante. In sintesi si può dire che sull’altare ideologico della crescita del PIL e a favore di pochi soggetti che guadagnerebbero molto denaro, sacrificheremmo ancora una volta l’ambiente, l’occupazione, gli interessi della gran parte della gente ed i diritti delle generazioni future.
Si può fare diversamente? Certo che si! Bisogna solo cambiare le priorità e spendere il denaro in altro modo, partendo anche dalla consapevolezza che è convenienza di tutti investire subito le poche risorse disponibili in molte migliaia di piccoli e micro cantieri e solo successivamente, eventualmente, in grandi opere infrastrutturali.
I micro cantieri dovrebbero riguardare in primo luogo l’efficientamento energetico degli edifici pubblici e privati. Poi anche le bonifiche ambientali e per la messa in sicurezza del territorio rispetto agli eventi catastrofici. In uno studio dell’ENEA del 2009 (vedi allegato 1) si proponevano interventi di riqualificazione energetica in 15.000 scuole ed edifici pubblici, che attualmente spendono circa 1,8 Mld di € ogni anno in energia elettrica e termica. Con gli 8,2 miliardi di € previsti per il TAV si può risparmiare il 20% dei consumi di questi edifici, pari a oltre 420 mln€/anno e si possono creare almeno 150.000 nuovi posti di lavoro. Inoltre lavorerebbero decine di migliaia di pmi e artigiani installatori. E siccome a cambiare infissi, montare caldaie di nuova generazione, montare cappotti, costruire case efficienti, rifare tetti, ecc. non servono macchine, ma persone, si darebbe lavoro ad un sacco di gente facendo tra l’altro ripartire in maniera virtuosa il settore dell’edilizia, attualmente in grande sofferenza.
In un articolo apparso il 13 febbraio 2012 sul Sole24ore (vedi allegato 2) si legge che investendo un milione di € in progetti di efficienza energetica si generano in media 13 posti di lavoro. Non si parla qui di energie rinnovabili, che pure generano 3 o 4 nuovi posti di lavoro per ogni milione di € investiti, ma del lavoro di “tappare i buchi” dai quali sfugge e viene sprecata gran parte dell’energia che usiamo nell’abitare. Per ogni 10 miliardi di € investiti si possono avere 130.000 nuovi posti di lavoro di buona qualità, mentre investendo la stessa cifra in grandi opere daremmo lavoro al massimo a 7.300 persone.
Dobbiamo poi considerare che i costi delle opere di efficientamento si pagherebbero in pochi anni con il risparmio energetico e in meno di un decennio i soldi investiti sarebbero di nuovo disponibili per nuovi utilizzi. Diventerebbero di fatto dei fondi di rotazione. Immediatamente calerebbe la bolletta energetica e l’inquinamento da CO2. Quindi ci guadagneremmo tutti. Inoltre con commesse piccole e diffuse, i fenomeni di grande corruzione politica, tipici dei grandi appalti, sarebbero certamente più infrequenti. Infine, il denaro speso per far lavorare migliaia e migliaia di piccole imprese e di artigiani, resterebbe nel territorio contribuendo in maniera determinante al riavvio dell’economia!
Noi facciamo appello alla politica perché dia priorità a questi interventi che generano molti benefici per tutti. Le grandi infrastrutture eventualmente si faranno in un secondo momento e solo quando si avrà la certezza che serviranno davvero!
Occorre abbandonare il dogma della crescita continua. Nell’Universo NULLA cresce per sempre. Si tratta di una sciocca illusione generata dalla mente dell’homo oeconomicus, una delle specie più perniciose e imprevidenti mai apparsa sulla faccia del Pianeta. E solo per questa sciocca specie di umani, e per gli altri che ci credono, il PIL è l’indicatore unico ed indiscutibile del nostro benessere.
Fonte: decrescitafelice.it
Ricordando Giovanni Falcone
Il 23 maggio del 1993 in un barbaro attentato mafioso morivano Giovanni Falcone,Francesca Morvillo e gli agenti della scorta :Vito Schifani,Antonio Montinaro e Rocco Di Cillo.
Purtroppo a distanza di 20 anni (che novità!) ancora non è stata fatta luce ed ancora non sono stati individuati i mandanti della strage.
A tal proposito mi hanno fortemente colpito le dichiarazioni ,a mio parere,giustamente polemiche e critiche del procuratore di Termini Imerese Alfredo Morvillo, nonchè fratello di Francesca,che sottolineano l'esistenza di un'antimafia "parolaia" :"c’è tanta gente che quando si tratta di parlare, partecipare a conferenze stampa e fare dichiarazioni è in prima linea. Ma quando tenere fede alle parole costa un sacrificio, pure minimo, di quest’esercito di bene intenzionati non si vede più nessuno". "Una parte della società civile che è affascinata dalla criminalità organizzata e che lungi da allontanare i mafiosi li corteggia, una parte della società per cui la mafiosità non è un discrimine, questi soggetti sono la palla al piede della lotta alla mafia". Inoltre ha fatto un appello al legislatore perché introduca “norme per l'incompatibilità e la decadenza” perché i “Codici etici adottati dalla politica non sono adeguati, perché ancora una volta contengono una delega alle scelte della magistratura. La politica ha il dovere di assumersi le proprie responsabilità. Invece si guarda bene dal fare pulizia al suo interno e sbandiera le assoluzioni come fossero una patente di purezza d'animo” .
“La politica deve fare pulizia al proprio interno da un lato, valorizzando il momento etico e di servizio nei confronti della collettività e del bene comune; dall'altro, impedendo ai sospetti di accedere ad incarichi pubblici. La mancanza di sanzioni giudiziarie definitive non significa l'estraneità agli interessi di Cosa nostra. L'incompatibilità soggettiva a rivestire certi incarichi deve diventare un ostacolo insormontabile. Ma anche noi cittadini non possiamo stare a guardare, ritenendo che la lotta alla mafia sia compito di altri per evitare che il sacrificio dei giudici Falcone e Borsellino e di tutti gli altri fedeli servitori dello Stato uccisi dalla mafia per essere stati tali sia stato inutile”.
Come non essere d'accordo su tutta la linea?
Purtroppo a distanza di 20 anni (che novità!) ancora non è stata fatta luce ed ancora non sono stati individuati i mandanti della strage.
A tal proposito mi hanno fortemente colpito le dichiarazioni ,a mio parere,giustamente polemiche e critiche del procuratore di Termini Imerese Alfredo Morvillo, nonchè fratello di Francesca,che sottolineano l'esistenza di un'antimafia "parolaia" :"c’è tanta gente che quando si tratta di parlare, partecipare a conferenze stampa e fare dichiarazioni è in prima linea. Ma quando tenere fede alle parole costa un sacrificio, pure minimo, di quest’esercito di bene intenzionati non si vede più nessuno". "Una parte della società civile che è affascinata dalla criminalità organizzata e che lungi da allontanare i mafiosi li corteggia, una parte della società per cui la mafiosità non è un discrimine, questi soggetti sono la palla al piede della lotta alla mafia". Inoltre ha fatto un appello al legislatore perché introduca “norme per l'incompatibilità e la decadenza” perché i “Codici etici adottati dalla politica non sono adeguati, perché ancora una volta contengono una delega alle scelte della magistratura. La politica ha il dovere di assumersi le proprie responsabilità. Invece si guarda bene dal fare pulizia al suo interno e sbandiera le assoluzioni come fossero una patente di purezza d'animo” .
“La politica deve fare pulizia al proprio interno da un lato, valorizzando il momento etico e di servizio nei confronti della collettività e del bene comune; dall'altro, impedendo ai sospetti di accedere ad incarichi pubblici. La mancanza di sanzioni giudiziarie definitive non significa l'estraneità agli interessi di Cosa nostra. L'incompatibilità soggettiva a rivestire certi incarichi deve diventare un ostacolo insormontabile. Ma anche noi cittadini non possiamo stare a guardare, ritenendo che la lotta alla mafia sia compito di altri per evitare che il sacrificio dei giudici Falcone e Borsellino e di tutti gli altri fedeli servitori dello Stato uccisi dalla mafia per essere stati tali sia stato inutile”.
Come non essere d'accordo su tutta la linea?
domenica 20 maggio 2012
Caso Orlandi, indagato monsignor Vergari
di Valentina Errante e Cristiana Mangani
E arriva nei giorni in cui procura e squadra mobile stanno setacciando la chiesa vicina al Senato, alla ricerca di elementi che possano ricondurre alla ragazza. È proprio lì che nell’aprile del ’90, a distanza di pochi mesi dall’uccisione per strada, Renatino è stato seppellito con gli onori di un Papa e di un nobiluomo. Gli inquirenti avrebbero deciso di indagare Vergari percorrendo lo strano e misterioso rapporto che lega il bandito assassinato a Campo de’ Fiori all’ex rettore. A chi gli chiede, infatti, le ragioni di una simile sepoltura, il monsignore la giustifica così: «Nel carcere mai ho domandato a nessuno perché era là o che cosa aveva fatto. Tra le centinaia di persone incontrate dei più diversi stati sociali, parlavamo di cose religiose o di attualità. Enrico De Pedis veniva come tutti gli altri, e fuori dal carcere, ci siamo visti più volte: normalmente nella chiesa di cui ero rettore, sapendo i miei orari e altre volte fuori, per caso. Mai ho veduto o saputo nulla dei suoi rapporti con gli altri, tranne la conoscenza dei suoi familiari. Aveva il passaporto per poter andare liberamente all'estero. Mi ha aiutato molto per preparare le mense che organizzavo per i poveri. Quando seppi dalla televisione della sua morte in via del Pellegrino, ne restai meravigliato e dispiaciuto».
L’iscrizione di Vergari sarebbe stata definita un atto dovuto, in realtà rientra nella nuova politica che il Vaticano sta adottando intorno a questa vicenda, e cioè la politica della trasparenza e della massima disponibilità. Sarebbe stato lo stesso Papa a ordinare di fornire la necessaria collaborazione al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e al capo della Mobile Vittorio Rizzi, affinché una volta per tutte, la tomba di Renatino potesse smettere di pesare sull’immagine di Sant’Apollinare e, quindi, di tutta la chiesa.
Il sospetto degli inquirenti ora è che l’ex rettore potesse aver raccolto le confessione di De Pedis e, vincolato al segreto, abbia tenuto per sé la confidenza cercando di far riscattare con la beneficenza l’immagine di uno dei più noti criminali della storia italiana. A questo, poi, si aggiunge il fatto che ad autorizzare la sepoltura del boss era stato lo stesso cardinale Poletti. Racconta nel 2005 alla Dia, Carla Di Giovanni, moglie di De Pedis: «Mio marito era un uomo generoso nell’aiutare i poveri, nonché i sacerdoti e i seminaristi». Andò lei stessa a parlare con il vescovo vicario di Roma, cardinale Poletti. A inviare la signora dal cardinale era stato monsignor Vergari. Probabilmente la vedova e il vicario del Papa si soffermarono sulle sostanziose offerte e «opere di bene» del defunto: quei 500 milioni donati prima della sepoltura. Qualcosa di sospetto, però, il cardinale dovette intuirlo, se è vero che dopo l'incontro (e dopo un colloquio con l’ex rettore) «ha autorizzato solo la inumazione nella basilica e non il funerale, per evitare eccessivo clamore attorno alla vicenda.
Pietro Orlandi. «È una notizia importante che conferma la volontà di capire e di accertare i fatti», commenta Pietro Orlandi, fratello di Emanuela. Mentre il medico legale, Cristina Cattaneo, capo del pool di esperti che sta lavorando sulle ossa recuperate nella cripta, ne sta isolando alcune perché ritiene che debbano essere sottoposte a esami più approfonditi. E la Scientifica, intanto, sta analizzando quei cunicoli che, fino a qualche tempo fa, collegavano la chiesa alla scuola di musica dove Emanuela è stata vista per l’ultima volta.
fonte: Il Messaggero
sabato 19 maggio 2012
SOS Rinnovabili: la verità sulle bollette
Purtroppo assistiamo ogni giorno ad una campagna di disinformazione circa l'aumento delle bollette della luce da parte di tutti i media, i quali attribuiscono la colpa dei continui rincari alle energie rinnovabili, che in realtà incidono solo per 5,5€ al mese.
Le rinnovabili abbassano e non alzano il prezzo dell'energia!
La verità è che i grandi consumatori energivori,ogni anno ricevono un contributo pagato dalle nostre bollette in cambio della disponibilità ad avere un'interruzione della propria fornitura di energia elettrica durante i picchi di domanda.Queste interruzioni non avvengono praticamente mai e le rinnovabili rendono sempre più remota la possibilità che esse avvengano.
Il messaggio di SOS Rinnovabili,qui sotto pubblicato, chiarisce molti lati oscuri; buona lettura.
Domenica 13 maggio l'elettricità, nelle ore di sole, fra le 8 e le 18 costava circa 3 centesimi di euro per kWh mentre raggiungeva i 9 centesimi di euro per kWh la sera in assenza dell'effetto fotovoltaico.
Esaminiamo invece un giorno lavorativo: lunedì 14 maggio la domanda è maggiore e le rinnovabili non sono sufficienti a tenere bassi i prezzi. Dalle 8 alle 18 il prezzo è intorno a 7 centesimi di euro per kWh. Da notare che la sera alle 21, senza l'effetto fotovoltaico, il prezzo sale fino a 10 centesimi di euro per kWh !!
Prezzo dell'elettricità in borsa per oggi 16 maggio: circa 6 centesimi di euro per KWh tra le 13 e le 14 mentre fra le 18 e le 24 i consumi calano ma i prezzi salgono a oltre 9 centesimi di euro al kWh alle 21!!. In quelle ore ( fra le 18 e le 24) non c'è l'effetto fotovoltaico.
Per gli scettici... andate a consultare sul sito ufficiale del GME.
I dati sono a disposizione.. basta leggerli! SVEGLIAMOCI!
Le rinnovabili abbassano e non alzano il prezzo dell'energia!
La verità è che i grandi consumatori energivori,ogni anno ricevono un contributo pagato dalle nostre bollette in cambio della disponibilità ad avere un'interruzione della propria fornitura di energia elettrica durante i picchi di domanda.Queste interruzioni non avvengono praticamente mai e le rinnovabili rendono sempre più remota la possibilità che esse avvengano.
Il messaggio di SOS Rinnovabili,qui sotto pubblicato, chiarisce molti lati oscuri; buona lettura.
Per il periodo fra gennaio 2011 e dicembre 2013 si sono tenute aste per assegnare questi benefici con una capacità disponibile in gara di 4250 MW istantanei e 100 MW in emergenza alla modica cifra di 150.000 €/anno a Mw per i primi e 100.000 €/anno a Mw per i secondi.
A conti fatti quindi, tutti noi stiamo regalando circa 650 milioni di euro all'anno a poco meno di 200 grandi utenti energivori che, fra l’altro, hanno già molte altre agevolazioni. Nella sostanza, noi, gente comune, stiamo pagando di tasca nostra sussidi salatissimi a grandi colossi industriali.
A che serve pagare qualcuno per essere disponibile a farsi interrompere, se queste interruzioni non avvengono mai di fatto?
Le rinnovabili rendono inutile il contributo di interrompibilità ecco perchè la lobby degli energivori lotta contro di noi.
Se non ci credete andate a verificare direttamente sul sito di Terna:
http://www.terna.it/default/Home/SISTEMA_ELETTRICO/mercato_elettrico/serv_interrompiblita/avv_ass_modulirichiesti20112013.aspx
Diciamo no a chi diffonde menzogne. Le rinnovabili migliorano il benessere degli italiani, sono i vecchi privilegi che appesantiscono le bollette.
Diciamo no a chi vuole distruggere con il V° Conto Energia 100.000 posti di lavoro.
Se vuoi aiutarci, diffondi questo messaggio quanto più puoi e invita i tuoi contatti a verificare come stanno realmente le cose sul sito di Terna.
Domenica 13 maggio l'elettricità, nelle ore di sole, fra le 8 e le 18 costava circa 3 centesimi di euro per kWh mentre raggiungeva i 9 centesimi di euro per kWh la sera in assenza dell'effetto fotovoltaico.
Esaminiamo invece un giorno lavorativo: lunedì 14 maggio la domanda è maggiore e le rinnovabili non sono sufficienti a tenere bassi i prezzi. Dalle 8 alle 18 il prezzo è intorno a 7 centesimi di euro per kWh. Da notare che la sera alle 21, senza l'effetto fotovoltaico, il prezzo sale fino a 10 centesimi di euro per kWh !!
Prezzo dell'elettricità in borsa per oggi 16 maggio: circa 6 centesimi di euro per KWh tra le 13 e le 14 mentre fra le 18 e le 24 i consumi calano ma i prezzi salgono a oltre 9 centesimi di euro al kWh alle 21!!. In quelle ore ( fra le 18 e le 24) non c'è l'effetto fotovoltaico.
Per gli scettici... andate a consultare sul sito ufficiale del GME.
I dati sono a disposizione.. basta leggerli! SVEGLIAMOCI!
La coscienza civica e le informazioni sconfiggono le lobby !
Solo la verità è la nostra forza!
venerdì 18 maggio 2012
FINCANTIERI LICENZIA GLI OPERAI E ASSUME IL LEGHISTA CONDANNATO A 4 ANNI PER TENTATA CONCUSSIONE E INTERDIZIONE PERPETUA DAI PUBBLICI UFFICI
NEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DI FINCANTIERI LA LEGA, DOPO IL “LAUREATO” BELSITO, NOMINA PER DISCENDENZA DIVINA ALESSANDRO AGOSTINO, CONDANNATO IN APPELLO A QUATTRO ANNI, FIGLIO DEL SINDACO DI CHIAVARI (CONDANNATO A SEI ANNI)
Dopo la denuncia dei redditi arriva quella dei vizi Il questionario sull'uso di droghe del governo e l'ossessione per lo stile di vita degli italiani.
No, il questionario no! Il questionario europeo per sapere, «nel rispetto della privacy», di cosa ti fai, dai sali da bagno alle sigarettine, dall'alcol alle canne, no! Invece sì.
L'Ue, che è nata per quello, propone. E i governi nazionali obbediscono. In particolare quello italiano che, per recepire il peggio, pare avere un'autentica vocazione, se non missione.
ITALIANI SOTTO LA LENTE. Ed ecco qua: dopo l'ennesima lastra sociale dell'Istat, con domande degne della Cia, quest'altra Tac ai desideri, le abitudini, i gusti, con insinuazioni che manco il Kgb.
LA LETTERA DI MONTI & BALDUZZI. Gira da un po' una letterina, firmata Monti-Balduzzi, che non sono un duo di cantautori ma il premier e il ministro della Salute, alla quale è gentilmente obbligatorio rispondere, in quanto di «fondamentale contributo» per il governo, il quale si preoccupa di «studiare le abitudini e gli stili di vita della popolazione italiana e di valutare l'eventuale consumo di alcune sostanze potenzialmente nocive».
DAI SALI DA BAGNO AL TABACCO. Parafrasando Groucho Marx, la cosa sembra demenziale, ma non lasciatevi ingannare: lo è davvero. Perché solo presumendo di governare un popolo di dementi, il che ha in sé del surreale, si può sperare che il suddetto popolo risponda pavlovianamente a domandine facili facili che hanno per oggetto - ricevere la lettera per credere - il consumo di sali da bagno (con relativi effluvi), di bevande alcoliche, di tabacchi un po' così che danno quell'espressione un po' così, la propensione alle discoteche e, se mai, ai rave party, l'affezione a certi inequivocabili negozietti di fiducia, e così via.
Se il potere diventa pure un confessore
Il questionario è ficcanaso a livelli di malagrazia, e fin qui amen: la burocrazia, specie in Italia, è arrogante di default (e, a questo proposito, va menzionato lo stile Equitalia, intimidatorio, minaccioso perfino se ti comunica che non ha niente da comunicarti, ma in un modo talmente aggressivo che qualche malcapitato anziano, poco pratico, ci si sente male. È successo nel Fermano).UN POPOLO DI SCOLARETTI. Ma quello che davvero suona pazzesco è la presunzione che il destinatario si metta lì e risponda come uno scolaretto. Infatti di norma non lo fa. E allora Mamma Italia, per interposta Europa, insiste, ti rispedisce il questionario corredato da un non richiesto calendario.
Non basta più dimostrare che non sei un ladro (perché lo Stato lo presume, spesso senza facoltà di prova contraria); non basta più giustificare anche un cono gelato. Bisogna esser pronti a raccontare i peccati allo Stato-confessore.
I TOSSICI DELLA DROGA FORTUNA. Una sezione del Questionario (maiuscolo, come Controllo) si sofferma su giochi & lotterie, tradizionalmente proibiti, indi legalizzati pertanto non più peccaminosi, con un colpo d'ala e di cassa, che ha originato nuove legioni di tossici di quella droga che si chiama fortuna. E che lo Stato, non sapendo come curare, poi spedisce nei Sert, manco fossero eroinomani.
LE VECCHIETTE DEL GRATTA&VINCI. Così lo Stato prima ci guadagna (una decina di miliardi, attualmente); poi deve spendere per curare gli ammalati che contribuisce a creare. E fa davvero un brutto effetto entrare in tabaccheria per comprare, orrore, un pacchetto di sigarette e trovarsi in fila dietro una processione di vecchiette assatanate col Gratta&vinci, pur se hanno la pensione assottigliata.
Tu chiamale se vuoi aporie. Altrimenti chiamale come vuoi, almeno fino a che non ti arriverà un nuovo Questionario che magari ti chiede: «Quante parolacce al giorno, figliolo? Hai 60 secondi per rispondere».
di Massimo Del Papa
Fonte:lettera43.it
giovedì 17 maggio 2012
ATTENZIONE AI PRELIEVI DI MASSA DAI CONTI CORRENTI
Informazione - Illuminiamo le Coscienze
Spagnoli e Greci nelle ultime settimane hanno preso d'assalto i bancomat per prelevare quanto più denaro contante possibile in caso di default delle loro nazioni. Il rischio è alto anche in Italia ma c'è un piccolo problema.
Se tutti i correntisti decidessero di prelevare il contante oppure di chiudere i loro conti correnti in massa lo stesso giorno,le banche potrebbero soddisfare le richieste di 1/10 dei correntisti. Perchè?
Semplice, il tutto è dovuto al sistema della riserva frazionaria che consente alle banche di prestare fino a dieci volte tanto il denaro che hanno in deposito. In sostanza prestano denaro che non hanno, creano ricchezza dal nulla, si tratta di semplici movimenti telematici su un monitor e non di denaro contante.
Il risultato e che nonnhanno il vostro denaro, non esiste lo hanno prestato e quel poco di contante che hanno è rimasto nei bancomat una volta esaurito la banca non ha più una sola banconota da restituire al correntista.
Badate che questo sistema è LEGALE!
La legge lo consente a scapito del disastro che potrebbe causare se tutti decidessimo di ritirare il "NOSTRO" denaro.
Il sistema prospera grazie all'idea che nessuno farà mai una sciocchezza simile. Sciocchezza per le banche s'intende.
La sciocchezza la stanno attuando i greci e gli spagnoli da almeno una settimana, in sole 24 ore gli spagnoli hanno ritirato oltre 1 miliardo di euro da propri conti correnti. Le banche iniziano a tremare.
Dunque, se dovete ritirare il denaro fatelo in fretta prima che il contante nei depositi finisca. Una volta finito non occorre che vi spieghi cosa accadrà a voi e alla vostra banca...
Buona fortuna
AANWO
Spagnoli e Greci nelle ultime settimane hanno preso d'assalto i bancomat per prelevare quanto più denaro contante possibile in caso di default delle loro nazioni. Il rischio è alto anche in Italia ma c'è un piccolo problema.
Se tutti i correntisti decidessero di prelevare il contante oppure di chiudere i loro conti correnti in massa lo stesso giorno,le banche potrebbero soddisfare le richieste di 1/10 dei correntisti. Perchè?
Semplice, il tutto è dovuto al sistema della riserva frazionaria che consente alle banche di prestare fino a dieci volte tanto il denaro che hanno in deposito. In sostanza prestano denaro che non hanno, creano ricchezza dal nulla, si tratta di semplici movimenti telematici su un monitor e non di denaro contante.
Il risultato e che nonnhanno il vostro denaro, non esiste lo hanno prestato e quel poco di contante che hanno è rimasto nei bancomat una volta esaurito la banca non ha più una sola banconota da restituire al correntista.
Badate che questo sistema è LEGALE!
La legge lo consente a scapito del disastro che potrebbe causare se tutti decidessimo di ritirare il "NOSTRO" denaro.
Il sistema prospera grazie all'idea che nessuno farà mai una sciocchezza simile. Sciocchezza per le banche s'intende.
La sciocchezza la stanno attuando i greci e gli spagnoli da almeno una settimana, in sole 24 ore gli spagnoli hanno ritirato oltre 1 miliardo di euro da propri conti correnti. Le banche iniziano a tremare.
Dunque, se dovete ritirare il denaro fatelo in fretta prima che il contante nei depositi finisca. Una volta finito non occorre che vi spieghi cosa accadrà a voi e alla vostra banca...
Buona fortuna
AANWO
Siamo veramente un popolo di italioti?
Lunedì 14 maggio è un bel giorno per Di Pietro e tutta l'IDV che consegnano alla camera le oltre 200.000 firme (c'è anche la mia!) raccolte durante la campagna "Giù le mani dal sacco" per la proposta di legge di iniziativa popolare a favore dell'abolizione dei rimborsi elettorali ai partiti.
Nel frattempo all'interno dell'aula era iniziata la discussione sul dimezzamento dei rimborsi ai partiti ,i relatori della legge bipartisan sono Bressa(PD) e Calderisi (PDL).
L'argomento sta molto a cuore ai nostri parlamentari,infatti hanno partecipato in gran numero,ben 20 su 630!
Le tre scolaresche presenti all'evento si saranno fatte una bella idea della nostra classe politica che ci rappresenta in Parlamento.Questi ragazzi saranno gli elettori di domani e non mi stupirei se decidessero di astenersi dopo aver constatato di persona la superficialità ed il menefreghismo di questi politici che incarnano la vera antipolitica!
Martedì 15 maggio è la volta di Di Pietro e Palomba(PD) con la proposta di legge per reintrodurre pene severe per il reato di falso in bilancio,presentata con degli emendamenti migliorativi ad opera del PD,appoggiata dal governo,da FLI e dall'UDC.
Risultato: la succitata proposta di legge viene svuotata dei suoi più significativi contenuti in seguito all'approvazione in commissione giustizia di un emendamento di Contento(PDL), da parte dello stesso PDL (dopo un estenuante ostruzionismo) di UDC e di FLI, ripristinando l'attuale norma ad personam sul falso in bilancio con l'unica modifica che innalza da 2 a 3 anni la reclusione,ovvero aria fritta!
La colpa di tutto ciò sarebbe da attribuire al sottosegretario Mazzamuto,che stando alle affermazioni della ministro Severino,avrebbe il torto di non essersi letto tutto il testo che lei stessa le aveva consegnato.
La domanda sorge spontanea: che cosa viene pagato a fare,ovviamente con i nostri soldi,questo signore che non sa fare il proprio lavoro? Perché la "rigorosa ministra tecnica" non lo licenzia seduta stante?Non sarà mica a causa dell'art.18?
Il paradossale teatrino si è concluso con scuse e giustificazioni da parte dei deputati di UDC(Ria ha dichiarato di essersi sbagliato a votare)e di FLI tratti in errore dal Governo,ma pronti a rimediare in aula dove IDV e PD ripresenteranno gli emendamenti.
Come mai quando l'Europa ci chiede di fare la riforma sulle pensioni e sul lavoro che producono macelleria sociale,il governo tecnico scatta sull'attenti e procede come un carro armato ed invece quando la stessa Europa ci chiede di combattere la corruzione,che ci costa 60 mld l'anno e sappiamo quanti danni produce a tutto il sistema nazione,si affida una questione così delicata ad un tizio che non sa o fa finta di non saper leggere?
Nel frattempo all'interno dell'aula era iniziata la discussione sul dimezzamento dei rimborsi ai partiti ,i relatori della legge bipartisan sono Bressa(PD) e Calderisi (PDL).
L'argomento sta molto a cuore ai nostri parlamentari,infatti hanno partecipato in gran numero,ben 20 su 630!
Le tre scolaresche presenti all'evento si saranno fatte una bella idea della nostra classe politica che ci rappresenta in Parlamento.Questi ragazzi saranno gli elettori di domani e non mi stupirei se decidessero di astenersi dopo aver constatato di persona la superficialità ed il menefreghismo di questi politici che incarnano la vera antipolitica!
Martedì 15 maggio è la volta di Di Pietro e Palomba(PD) con la proposta di legge per reintrodurre pene severe per il reato di falso in bilancio,presentata con degli emendamenti migliorativi ad opera del PD,appoggiata dal governo,da FLI e dall'UDC.
Risultato: la succitata proposta di legge viene svuotata dei suoi più significativi contenuti in seguito all'approvazione in commissione giustizia di un emendamento di Contento(PDL), da parte dello stesso PDL (dopo un estenuante ostruzionismo) di UDC e di FLI, ripristinando l'attuale norma ad personam sul falso in bilancio con l'unica modifica che innalza da 2 a 3 anni la reclusione,ovvero aria fritta!
La colpa di tutto ciò sarebbe da attribuire al sottosegretario Mazzamuto,che stando alle affermazioni della ministro Severino,avrebbe il torto di non essersi letto tutto il testo che lei stessa le aveva consegnato.
La domanda sorge spontanea: che cosa viene pagato a fare,ovviamente con i nostri soldi,questo signore che non sa fare il proprio lavoro? Perché la "rigorosa ministra tecnica" non lo licenzia seduta stante?Non sarà mica a causa dell'art.18?
Il paradossale teatrino si è concluso con scuse e giustificazioni da parte dei deputati di UDC(Ria ha dichiarato di essersi sbagliato a votare)e di FLI tratti in errore dal Governo,ma pronti a rimediare in aula dove IDV e PD ripresenteranno gli emendamenti.
Come mai quando l'Europa ci chiede di fare la riforma sulle pensioni e sul lavoro che producono macelleria sociale,il governo tecnico scatta sull'attenti e procede come un carro armato ed invece quando la stessa Europa ci chiede di combattere la corruzione,che ci costa 60 mld l'anno e sappiamo quanti danni produce a tutto il sistema nazione,si affida una questione così delicata ad un tizio che non sa o fa finta di non saper leggere?
martedì 15 maggio 2012
Torino, terra di mafia
L’8 maggio scorso, di fronte alla Commissione Speciale Antimafia, il
presidente del consiglio provinciale di Torino, Sergio Bisacca, ha annunciato
l’intenzione dell’ente da lui diretto di costituirsi parte civile. Fin
qui niente di strano. Se non fosse che uno dei principali indagati
nell’inchiesta è Nevio Coral, noto politico e imprenditore, sindaco di
Leinì per oltre dieci anni (un comune di 15mila abitanti nel torinese)
ed esponente a vario titolo di molte aziende attive in campi che vanno
dall’edilizia ai servizi comunali. Non solo: Nevio Coral è anche il
fondatore di “Nuove Energie”, associazione culturale che ha “l’intento
di incrementare la partecipazione di persone della società civile alla
gestione della cosa pubblica”. Tuttavia, la curiosità è che su come
gestire la cosa pubblica Nevio Coral ha un’idea tutta sua. Stando agli
inquirenti, infatti, il buon Coral – arrestato nel giugno scorso –
avrebbe stabilito solidi rapporti con le cosche calabresi impiantatesi
nella provincia di Torino, tanto che gli ‘ndranghetisti lo userebbero
come “un biglietto da visita”, e addirittura come “un gioco” da
spartirsi e litigarsi per ottenerne ritorni economici e favori di vario
genere. Favori in cambio dei quali Coral otteneva ovviamente un’ottima
contropartita: la garanzia di un mucchio di voti.
E a chi andavano i voti che lui raccoglieva? Al figlio, appunto, che dal 2005 fino al dicembre del 2011 è stato sindaco dello stesso comune, Leinì, divenuto un feudo di famiglia e sciolto per infiltrazioni mafiose nel marzo scorso, riuscendo contemporaneamente ad approdare in consiglio provinciale nel 2009. Ad affermarlo, infatti, sono le carte dell’inchiesta Minotauro, quella che ha portato all’arresto di Coral padre per concorso esterno in associazione mafiosa: Ivano sarebbe fortemente condizionato – per non dire manipolato – nel suo operato dalle indicazioni del padre, che dunque resterebbe il vero burattinaio della politica di Leinì e dintorni. E le ombre dei voti di ‘ndrangheta non ricadono soltanto sul figlio Ivano, ma anche sulla nuora (la moglie dell’altro suo figlio, Claudio) Caterina Ferrero, ex assessore regionale alla sanità, travolta da un’altra inchiesta, di poco precedente all’operazione Minotauro, che la vedeva al centro di uno scandalo fatto di turbative d’asta e corruzione in ambito sanitario. Una famiglia modello , insomma.
Tuttavia, al di là delle accuse formulate dai magistrati, a dare un’idea del sistema messo in piedi da Nevio Coral ci pensano le vive voci dei protagonisti di questa storia: lo stesso politico-imprenditore e i boss coi quali lui interloquiva. L’incontro avviene in un ristorante di proprietà di Claudio Coral, il 20 maggio: l’obiettivo è lanciare l’enfant prodige in corsa per le elezioni provinciali del 6 e 7 giugno 2009, Ivano. Il boss con cui viene intavolata la trattativa è un esponente importante all’interno del “Crimine” di Torino, l’organo di raccordo tra le varie cosche locali, e si chiama Vincenzo Argirò. Il quale, non sapendo di essere intercettato dalle microspie dei Carabinieri, fa un accenno ai bei tempi passati: “dottore, noi siamo qua e siamo felici di esserlo perché … sanno che noi siamo qua con voi e saremo felici come lo siamo stati … anni fa …se voi vi ricordate bene …”. Poi, mentre la serata trascorre, un altro picciotto continua: “con tutto il rispetto che io c’ho per Ivano, lo conosco da piccolo, siamo cresciuti assieme … ascolta … però, dove vai vai, Ivano non è Ivano, Ivano è il figlio di Nevio!”. E Nevio, infatti, che non ha ritenuto opportuno neppure portarlo alla cena, suo figlio, precisa: “In molti casi dicono che è la mia copia più istruita, no? perché lui si è preso una laurea …ha quel qualcosa in più … gli manca, gli manca, forse, gli manca quella maestria e quella esperienza…”.
E la conferma del fatto che la mediazione della ‘ndrangheta è stata fruttuosa, arriva due giorni dopo le elezioni, quando un altro boss locale, Giovanni Iaria, viene intercettato mentre parla al telefono con un altro affiliato: “gli ho telefonato a Nevio […] ho detto vedrai che gli unici che mantengono gli impegni sono quelli che… vicino a te, e tuo figlio è eletto…viene eletto tuo figlio perché io avevo già fatto i conti […] loro hanno aspettato fino alle tre e mezza a saperlo, però io gliel’ho detto ieri sera alle sei e mezza. […] Ha preso 7500 voti: dei nostri non è scappato nessuno!”.
Dunque il sistema Coral non aveva fallito. Quel sistema che lui aveva esposto alla tavolata dei boss: “Innanzitutto prendiamo uno lo mettiamo in Comune, l’altro lo mettiamo nel consiglio, l’altro lo mettiamo in una proloco, l’altro lo mettiamo in tutta altra cosa, magari arriviamo che ci ritroviamo persone nostre che... E diventiamo un gruppo forte”.
Ora, resta da capire come si svolgerà il dibattimento in aula. La parte civile, infatti, di norma è quella che si ritiene danneggiata e intende far valere le proprie ragioni davanti al giudice, al fine di vedersi risarcita. E ci scapperà da ridere a sentire Ivano Coral in preda a crisi mistiche: “Caro papà, dato che tu mi hai favorito regalandomi i voti della ‘ndrangheta, io mi ritengo da te danneggiato. Non in quanto tuo figlio, ma in quanto membro del consiglio provinciale che oggi ti accusa”. Onde evitare cortocircuiti del genere, a disposizione del povero Nevio Coral, forniamo qui brevemente delle formule linguistiche per uscire dall’imbarazzo nel quale potrebbe cadere. Innanzitutto, può ritenersi perfettamente a posto con la propria coscienza presentandosi come semplice “utilizzatore finale” dei voti illegali che suo padre gli ha fornito; oppure, può proclamarsi come il primo eletto coi voti della ‘ndrangheta a sua insaputa. Formula che, ultimamente, va molto di moda.
di Valerio Valentini
Fonte:byoblu.com
E a chi andavano i voti che lui raccoglieva? Al figlio, appunto, che dal 2005 fino al dicembre del 2011 è stato sindaco dello stesso comune, Leinì, divenuto un feudo di famiglia e sciolto per infiltrazioni mafiose nel marzo scorso, riuscendo contemporaneamente ad approdare in consiglio provinciale nel 2009. Ad affermarlo, infatti, sono le carte dell’inchiesta Minotauro, quella che ha portato all’arresto di Coral padre per concorso esterno in associazione mafiosa: Ivano sarebbe fortemente condizionato – per non dire manipolato – nel suo operato dalle indicazioni del padre, che dunque resterebbe il vero burattinaio della politica di Leinì e dintorni. E le ombre dei voti di ‘ndrangheta non ricadono soltanto sul figlio Ivano, ma anche sulla nuora (la moglie dell’altro suo figlio, Claudio) Caterina Ferrero, ex assessore regionale alla sanità, travolta da un’altra inchiesta, di poco precedente all’operazione Minotauro, che la vedeva al centro di uno scandalo fatto di turbative d’asta e corruzione in ambito sanitario. Una famiglia modello , insomma.
Tuttavia, al di là delle accuse formulate dai magistrati, a dare un’idea del sistema messo in piedi da Nevio Coral ci pensano le vive voci dei protagonisti di questa storia: lo stesso politico-imprenditore e i boss coi quali lui interloquiva. L’incontro avviene in un ristorante di proprietà di Claudio Coral, il 20 maggio: l’obiettivo è lanciare l’enfant prodige in corsa per le elezioni provinciali del 6 e 7 giugno 2009, Ivano. Il boss con cui viene intavolata la trattativa è un esponente importante all’interno del “Crimine” di Torino, l’organo di raccordo tra le varie cosche locali, e si chiama Vincenzo Argirò. Il quale, non sapendo di essere intercettato dalle microspie dei Carabinieri, fa un accenno ai bei tempi passati: “dottore, noi siamo qua e siamo felici di esserlo perché … sanno che noi siamo qua con voi e saremo felici come lo siamo stati … anni fa …se voi vi ricordate bene …”. Poi, mentre la serata trascorre, un altro picciotto continua: “con tutto il rispetto che io c’ho per Ivano, lo conosco da piccolo, siamo cresciuti assieme … ascolta … però, dove vai vai, Ivano non è Ivano, Ivano è il figlio di Nevio!”. E Nevio, infatti, che non ha ritenuto opportuno neppure portarlo alla cena, suo figlio, precisa: “In molti casi dicono che è la mia copia più istruita, no? perché lui si è preso una laurea …ha quel qualcosa in più … gli manca, gli manca, forse, gli manca quella maestria e quella esperienza…”.
E la conferma del fatto che la mediazione della ‘ndrangheta è stata fruttuosa, arriva due giorni dopo le elezioni, quando un altro boss locale, Giovanni Iaria, viene intercettato mentre parla al telefono con un altro affiliato: “gli ho telefonato a Nevio […] ho detto vedrai che gli unici che mantengono gli impegni sono quelli che… vicino a te, e tuo figlio è eletto…viene eletto tuo figlio perché io avevo già fatto i conti […] loro hanno aspettato fino alle tre e mezza a saperlo, però io gliel’ho detto ieri sera alle sei e mezza. […] Ha preso 7500 voti: dei nostri non è scappato nessuno!”.
Dunque il sistema Coral non aveva fallito. Quel sistema che lui aveva esposto alla tavolata dei boss: “Innanzitutto prendiamo uno lo mettiamo in Comune, l’altro lo mettiamo nel consiglio, l’altro lo mettiamo in una proloco, l’altro lo mettiamo in tutta altra cosa, magari arriviamo che ci ritroviamo persone nostre che... E diventiamo un gruppo forte”.
Ora, resta da capire come si svolgerà il dibattimento in aula. La parte civile, infatti, di norma è quella che si ritiene danneggiata e intende far valere le proprie ragioni davanti al giudice, al fine di vedersi risarcita. E ci scapperà da ridere a sentire Ivano Coral in preda a crisi mistiche: “Caro papà, dato che tu mi hai favorito regalandomi i voti della ‘ndrangheta, io mi ritengo da te danneggiato. Non in quanto tuo figlio, ma in quanto membro del consiglio provinciale che oggi ti accusa”. Onde evitare cortocircuiti del genere, a disposizione del povero Nevio Coral, forniamo qui brevemente delle formule linguistiche per uscire dall’imbarazzo nel quale potrebbe cadere. Innanzitutto, può ritenersi perfettamente a posto con la propria coscienza presentandosi come semplice “utilizzatore finale” dei voti illegali che suo padre gli ha fornito; oppure, può proclamarsi come il primo eletto coi voti della ‘ndrangheta a sua insaputa. Formula che, ultimamente, va molto di moda.
di Valerio Valentini
Fonte:byoblu.com
lunedì 14 maggio 2012
Hannelore Kraft:la forza del cambiamento
Dopo la Francia anche la Germania mostra di voler cambiare la tendenza rigorista imposta dalla sua cancelliera di ferro a tutta l'Europa.
Si è votato solo in una regione,che conta però oltre 13.000 milioni elettori,la Nordreno Westfalia è anche la più ricca della nazione ed il segnale è chiaro ha vinto la socialdemocratica Hannelore Kraft che nel suo programma ha intenzione di spendere ed investire soprattutto per l'infanzia e l'istruzione,prevedendo solo un approccio graduale al taglio dei debiti.
L'articolo che segue,scritto da Marina Verna sulla stampa.it,aiuta meglio a capire chi sia e come la signora Kraft intenda voltare pagina,buona lettura!
Hannelore, la ragioniera che sfida la politica del rigore
“Che giornata meravigliosa!” Hannelore Kraft, 50 anni, neo ministro-presidente: «Sono onorata, il mio proposito è fare qualcosa per l’infanzia e l’istruzione, e questo farà bene anche alle finanze del Paese»
«Indebitarsi per prevenire i problemi costa meno che ripararli»
Le donne funzionano in modo diverso dagli uomini, non meglio o peggio. Hanno altri pensieri, altre esperienze, altre priorità». E così, «funzionando» in modo diverso e infilandosi là dove gli uomini non volevano andare per esempio, a raccogliere i cocci delle sconfitte – la socialdemocratica Hannelore Kraft è arrivata per la seconda volta in venti mesi in cima al suo Land, il Nord Reno-Vestfalia. Rieletta con un programma di spesa dopo che il suo governo era caduto per eccesso di debiti. E c’è pure chi la suggerisce come antiMerkel alle elezioni federali del 2013. Due donne diametralmente opposte, due politiche inconciliabili: il rigore contro l’indebitamento.
Il destino del nuovo ministro-presidente è già nel nome: Kraft, forza. E di forza gliene è occorsa tantissima per coprire la lunga strada che da Müllheim – la cittadina della Ruhr dov’è nata nel 1961, figlia di un tranviere e una commessa – l’ha portata ai palazzi del potere di Düsseldorf, l’elegante capitale del Land dove però lei non abita: la sua città è sempre Müllheim, di cui ha conservato il forte accento e i modi semplici e solidi. E dove vive con il marito, conosciuto ai tempi della scuola a una festa di Carnevale, e il figlio diciannovenne. Lì ha studiato, ha preso un diploma e ha cominciato a lavorare in banca. Ma era una vita troppo piccola. Così si è iscritta all’Università e ha studiato economia, laureandosi a Duisburg a 28 anni, con un intermezzo al King’s College di Londra. Il nuovo lavoro è conseguente: consulente aziendale per la piccola industria. Il suo mondo è quello: la Ruhr operosa e modesta.
La politica arriva, un po’ a sorpresa, nel 1994, alle elezioni comunali a Müllheim. Serve un volto nuovo, lei è capace, dopo pochi mesi ha già un ruolo di responsabilità. Bastano sei anni per fare il salto nel parlamento regionale e poche settimane per diventare ministro degli Affari federali ed europei, poi dello Sviluppo tecnologico. Il grande salto avviene nel 2005 quando, dopo 39 anni di governo ininterrotto, la Spd è battuta dalla Cdu e perde il Land. I politici locali, stravolti i e avviliti, non sanno come ricominciare. Affidano a lei la riscossa, nominandola nei posti-chiave che servono a prepararla: capogruppo al parlamento, responsabile del partito. È la prima donna eletta in quelle cariche. Cinque anni dopo Kraft restituisce il Land al suo partito, anche se con un governo di minoranza. Da ministro-presidente dimostra che cosa significhi «funzionare diversamente». Fa una classica politica socialdemocratica: più giustizia sociale, più asili, scuole mgiliori, aiuti alle famiglie. Per lei i debiti sono «denaro ben investito». «È la regina del debito, una irresponsabile», la accusano dall’opposizione.
Effettivamente, Kraft spende molto, oltre a non aggredire il debito (172 miliardi di euro): abolisce le tasse universitarie che il suo predecessore aveva appena messo, riforma il sistema scolastico, promulga nuove leggi per l’integrazione. Tutte riforme che costano. Nel 2011 il deficit è di tre miliardi e la Corte dei conti boccia una manovra perchè contempla troppi nuovi debiti. A marzo 2012, davanti a una finanziaria che prevede un deficit ancora superiore al 2011 – 3,6 miliardi – l’opposizione fa cadere il governo. Ma oggi Kraft è di nuovo in sella con una percentuale altissima, che le consentirà di formare una maggioranza con i verdi.
«Non dobbiamo solo risparmiare», è stato il mantra ripetuto in campagna elettorale. «Risparmiamo in modo coerente, miglioriamo le entrare, ma ricordiamoci che nessun bambino deve restare indietro. Perché se resta indietro ci costerà molto di più». Conti alla mano, ha dimostrato che spendere bene per la famiglia e l’istruzione permette di ridurre gli immensi costi delle «riparazioni» per i disastri familiari e scolastici. Ogni anno, ha ricordato, «il Nord Reno-Vestfalia paga 23 miliardi in “riparazioni” su un bilancio di 55 miliardi. Perché non aiutiamo prima genitori e insegnanti? A conti fatti, spenderemo meno». E gli elettori le hanno creduto.
Si è votato solo in una regione,che conta però oltre 13.000 milioni elettori,la Nordreno Westfalia è anche la più ricca della nazione ed il segnale è chiaro ha vinto la socialdemocratica Hannelore Kraft che nel suo programma ha intenzione di spendere ed investire soprattutto per l'infanzia e l'istruzione,prevedendo solo un approccio graduale al taglio dei debiti.
L'articolo che segue,scritto da Marina Verna sulla stampa.it,aiuta meglio a capire chi sia e come la signora Kraft intenda voltare pagina,buona lettura!
Hannelore, la ragioniera che sfida la politica del rigore
“Che giornata meravigliosa!” Hannelore Kraft, 50 anni, neo ministro-presidente: «Sono onorata, il mio proposito è fare qualcosa per l’infanzia e l’istruzione, e questo farà bene anche alle finanze del Paese»
«Indebitarsi per prevenire i problemi costa meno che ripararli»
Le donne funzionano in modo diverso dagli uomini, non meglio o peggio. Hanno altri pensieri, altre esperienze, altre priorità». E così, «funzionando» in modo diverso e infilandosi là dove gli uomini non volevano andare per esempio, a raccogliere i cocci delle sconfitte – la socialdemocratica Hannelore Kraft è arrivata per la seconda volta in venti mesi in cima al suo Land, il Nord Reno-Vestfalia. Rieletta con un programma di spesa dopo che il suo governo era caduto per eccesso di debiti. E c’è pure chi la suggerisce come antiMerkel alle elezioni federali del 2013. Due donne diametralmente opposte, due politiche inconciliabili: il rigore contro l’indebitamento.
Il destino del nuovo ministro-presidente è già nel nome: Kraft, forza. E di forza gliene è occorsa tantissima per coprire la lunga strada che da Müllheim – la cittadina della Ruhr dov’è nata nel 1961, figlia di un tranviere e una commessa – l’ha portata ai palazzi del potere di Düsseldorf, l’elegante capitale del Land dove però lei non abita: la sua città è sempre Müllheim, di cui ha conservato il forte accento e i modi semplici e solidi. E dove vive con il marito, conosciuto ai tempi della scuola a una festa di Carnevale, e il figlio diciannovenne. Lì ha studiato, ha preso un diploma e ha cominciato a lavorare in banca. Ma era una vita troppo piccola. Così si è iscritta all’Università e ha studiato economia, laureandosi a Duisburg a 28 anni, con un intermezzo al King’s College di Londra. Il nuovo lavoro è conseguente: consulente aziendale per la piccola industria. Il suo mondo è quello: la Ruhr operosa e modesta.
La politica arriva, un po’ a sorpresa, nel 1994, alle elezioni comunali a Müllheim. Serve un volto nuovo, lei è capace, dopo pochi mesi ha già un ruolo di responsabilità. Bastano sei anni per fare il salto nel parlamento regionale e poche settimane per diventare ministro degli Affari federali ed europei, poi dello Sviluppo tecnologico. Il grande salto avviene nel 2005 quando, dopo 39 anni di governo ininterrotto, la Spd è battuta dalla Cdu e perde il Land. I politici locali, stravolti i e avviliti, non sanno come ricominciare. Affidano a lei la riscossa, nominandola nei posti-chiave che servono a prepararla: capogruppo al parlamento, responsabile del partito. È la prima donna eletta in quelle cariche. Cinque anni dopo Kraft restituisce il Land al suo partito, anche se con un governo di minoranza. Da ministro-presidente dimostra che cosa significhi «funzionare diversamente». Fa una classica politica socialdemocratica: più giustizia sociale, più asili, scuole mgiliori, aiuti alle famiglie. Per lei i debiti sono «denaro ben investito». «È la regina del debito, una irresponsabile», la accusano dall’opposizione.
Effettivamente, Kraft spende molto, oltre a non aggredire il debito (172 miliardi di euro): abolisce le tasse universitarie che il suo predecessore aveva appena messo, riforma il sistema scolastico, promulga nuove leggi per l’integrazione. Tutte riforme che costano. Nel 2011 il deficit è di tre miliardi e la Corte dei conti boccia una manovra perchè contempla troppi nuovi debiti. A marzo 2012, davanti a una finanziaria che prevede un deficit ancora superiore al 2011 – 3,6 miliardi – l’opposizione fa cadere il governo. Ma oggi Kraft è di nuovo in sella con una percentuale altissima, che le consentirà di formare una maggioranza con i verdi.
«Non dobbiamo solo risparmiare», è stato il mantra ripetuto in campagna elettorale. «Risparmiamo in modo coerente, miglioriamo le entrare, ma ricordiamoci che nessun bambino deve restare indietro. Perché se resta indietro ci costerà molto di più». Conti alla mano, ha dimostrato che spendere bene per la famiglia e l’istruzione permette di ridurre gli immensi costi delle «riparazioni» per i disastri familiari e scolastici. Ogni anno, ha ricordato, «il Nord Reno-Vestfalia paga 23 miliardi in “riparazioni” su un bilancio di 55 miliardi. Perché non aiutiamo prima genitori e insegnanti? A conti fatti, spenderemo meno». E gli elettori le hanno creduto.
Provaci ancora finanza creativa!
Ci risiamo,il lupo perde il pelo ma non il vizio e così la JP Morgan Chase(la più grande banca americana) ha perso 2,3 miliardi $ in sei settimane con i derivati.
Sì proprio lei,la banca che si era distinta per essere uscita indenne e senza macchia dalla crisi precedente.
Ebbene, oggi quella immagine di verginità si è sciolta come neve al sole,grazie soprattutto al suo capo dell'ufficio investimenti il sig.Dimon ,che, d'accordo con altri uomini di vertice della banca stessa,ha ordinato l'aumento di operazioni a dir poco rischiose ed azzardate,insomma si è affidato a quella "finanza creativa" che sappiamo essere stata la causa principale della crisi statunitense del 2007 .
Occorre essere dei geni per comprendere che se si fanno le regole in Parlamento(quello americano) e che queste vengano condizionate dalle lobby finanziarie sia ovvio che siano poco credibili ed affidabili?
Proprio il signor Dimon,a capo della lobby bancaria, ha condotto una battaglia per svuotare la "regola Volcker",quella che impedirebbe alle grandi banche americane di fare scommesse speculative adoperando mezzi propri,dandone un'interpretazione alquanto elastica permettendo così che i grossi investimenti speculativi possano essere intesi come coperture dal rischio.
Sarà un caso che il buco di oltre 2 miliardi $ della JP Morgan,sia stato creato proprio dall'attività definita copertura dal rischio?
La JP Morgan si è fatta un autogol(per fortuna!) perchè proprio nel momento in cui la sua battaglia politica si stava concludendo positivamente,ha risvegliato l'opinione pubblica che sembrava essersi distratta e con essa il partito dei riformatori che sembra essersi rinvigorito.
Il senatore democratico Carl Levin ha dichiarato a tal proposito: “L’enorme perdita della JP Morgan è la prova che quella che i banchieri chiamano la copertura del rischio in realtà nasconde operazioni rischiose, che devono essere proibite a quelle aziende di credito che sono troppo grosse per essere lasciate fallire”.
Dimon ha addirittura dileggiato Volcker: “Non capisce niente dei mercati di capitali”, aveva dichiarato in una recente intervista alla rete Fox Business, ricamando sulla famosa battuta di Volcker secondo cui “l’ultima innovazione bancaria di qualche utilità fu il Bancomat”.
Come dare torto a Volker?
Sì proprio lei,la banca che si era distinta per essere uscita indenne e senza macchia dalla crisi precedente.
Ebbene, oggi quella immagine di verginità si è sciolta come neve al sole,grazie soprattutto al suo capo dell'ufficio investimenti il sig.Dimon ,che, d'accordo con altri uomini di vertice della banca stessa,ha ordinato l'aumento di operazioni a dir poco rischiose ed azzardate,insomma si è affidato a quella "finanza creativa" che sappiamo essere stata la causa principale della crisi statunitense del 2007 .
Occorre essere dei geni per comprendere che se si fanno le regole in Parlamento(quello americano) e che queste vengano condizionate dalle lobby finanziarie sia ovvio che siano poco credibili ed affidabili?
Proprio il signor Dimon,a capo della lobby bancaria, ha condotto una battaglia per svuotare la "regola Volcker",quella che impedirebbe alle grandi banche americane di fare scommesse speculative adoperando mezzi propri,dandone un'interpretazione alquanto elastica permettendo così che i grossi investimenti speculativi possano essere intesi come coperture dal rischio.
Sarà un caso che il buco di oltre 2 miliardi $ della JP Morgan,sia stato creato proprio dall'attività definita copertura dal rischio?
La JP Morgan si è fatta un autogol(per fortuna!) perchè proprio nel momento in cui la sua battaglia politica si stava concludendo positivamente,ha risvegliato l'opinione pubblica che sembrava essersi distratta e con essa il partito dei riformatori che sembra essersi rinvigorito.
Il senatore democratico Carl Levin ha dichiarato a tal proposito: “L’enorme perdita della JP Morgan è la prova che quella che i banchieri chiamano la copertura del rischio in realtà nasconde operazioni rischiose, che devono essere proibite a quelle aziende di credito che sono troppo grosse per essere lasciate fallire”.
Dimon ha addirittura dileggiato Volcker: “Non capisce niente dei mercati di capitali”, aveva dichiarato in una recente intervista alla rete Fox Business, ricamando sulla famosa battuta di Volcker secondo cui “l’ultima innovazione bancaria di qualche utilità fu il Bancomat”.
Come dare torto a Volker?
sabato 12 maggio 2012
IMU, Equitalia e patto di stabilità: la rivolta dei sindaci
di Debora Billi
I sindaci in rivolta contro IMU ed Equitalia. Ma cova una ribellione più radicale: quella che ha in mente De Magistris.
Chissà se rivedremo l'Italia dei Comuni in un non lontano futuro. Un'ipotesi fantascientifica, sicuramente, ma se il nostro Paese finirà come Grecia è molto probabile che le autonomie locali comincino a far da sé. Ce l'abbiamo nel DNA, in fin dei conti, a differenza dei greci e di altri europei.
Le prime avvisaglie si colgono già, e non tutte ricollegabili all'imminente tornata elettorale amministrativa. Il sindaco di Calalzo di Cadore che caccia l'odiatissima Equitalia e riprende in mano (pubblica) la riscossione dei tributi, mentre mezza Italia, da Cosenza a Caserta al Piemonte medita di seguirlo. E' già previsto che i Comuni gestiscano in proprio i tributi, a partire dal 2013, mi sembra però improbabile che la riscossione dell'IMU possa venir sottratta ad Equitalia.
A proposito di IMU, i sindaci leghisti invitano i cittadini allo sciopero fiscale. Serviva proprio un bel coup de theatre, dopo gli scandali che hanno travolto la Lega mandando a ramengo i voti di protesta che il governo Monti le garantiva. Ma alle proteste della Lega si è unito anche l'autorevole Pisapia, sindaco di Milano ("Pisapia guida il fronte dei sindaci", dice il Sole24Ore), a traino anche il fiorentino Renzi e da Roma Alemanno. Pezzi da 90.
Finora nulla di nuovo. Ma c'è un pezzo da 90 che ha fatto una dichiarazione di cui non ha parlato nessuno, e che secondo me è la più dirompente.
Si tratta di De Magistris sindaco di Napoli, che ha messo in discussione senza mezzi termini nientemeno che il patto di stabilità:
«Il governo - ha detto De Magistris - ci deve dare subito segnali sul patto di stabilità altrimenti lo sforeremo sui beni costituzionalmente protetti», ha detto de Magistris. Il patto di stabilità impone ai comuni che hanno soldi in cassa di non spenderli per poter garantire il pareggio di bilancio. Napoli spenderà quel che ha in cassa, dce il sindaco, per pagare i servizi.
Chissà se Giggino alle parole farà seguire i fatti. Qualora accadesse, è ipotizzabile una reazione a catenza da parte di altre città, con le sanzioni che questo comporta. E se decidessero, poi, di non ottemperare neanche alle sanzioni? L'Italia dei Comuni ritorna.
Fonte: crisis.blogosfere.it
I sindaci in rivolta contro IMU ed Equitalia. Ma cova una ribellione più radicale: quella che ha in mente De Magistris.
Chissà se rivedremo l'Italia dei Comuni in un non lontano futuro. Un'ipotesi fantascientifica, sicuramente, ma se il nostro Paese finirà come Grecia è molto probabile che le autonomie locali comincino a far da sé. Ce l'abbiamo nel DNA, in fin dei conti, a differenza dei greci e di altri europei.
Le prime avvisaglie si colgono già, e non tutte ricollegabili all'imminente tornata elettorale amministrativa. Il sindaco di Calalzo di Cadore che caccia l'odiatissima Equitalia e riprende in mano (pubblica) la riscossione dei tributi, mentre mezza Italia, da Cosenza a Caserta al Piemonte medita di seguirlo. E' già previsto che i Comuni gestiscano in proprio i tributi, a partire dal 2013, mi sembra però improbabile che la riscossione dell'IMU possa venir sottratta ad Equitalia.
A proposito di IMU, i sindaci leghisti invitano i cittadini allo sciopero fiscale. Serviva proprio un bel coup de theatre, dopo gli scandali che hanno travolto la Lega mandando a ramengo i voti di protesta che il governo Monti le garantiva. Ma alle proteste della Lega si è unito anche l'autorevole Pisapia, sindaco di Milano ("Pisapia guida il fronte dei sindaci", dice il Sole24Ore), a traino anche il fiorentino Renzi e da Roma Alemanno. Pezzi da 90.
Finora nulla di nuovo. Ma c'è un pezzo da 90 che ha fatto una dichiarazione di cui non ha parlato nessuno, e che secondo me è la più dirompente.
Si tratta di De Magistris sindaco di Napoli, che ha messo in discussione senza mezzi termini nientemeno che il patto di stabilità:
«Il governo - ha detto De Magistris - ci deve dare subito segnali sul patto di stabilità altrimenti lo sforeremo sui beni costituzionalmente protetti», ha detto de Magistris. Il patto di stabilità impone ai comuni che hanno soldi in cassa di non spenderli per poter garantire il pareggio di bilancio. Napoli spenderà quel che ha in cassa, dce il sindaco, per pagare i servizi.
Chissà se Giggino alle parole farà seguire i fatti. Qualora accadesse, è ipotizzabile una reazione a catenza da parte di altre città, con le sanzioni che questo comporta. E se decidessero, poi, di non ottemperare neanche alle sanzioni? L'Italia dei Comuni ritorna.
Fonte: crisis.blogosfere.it
PROTEZIONE CIVILE/ 900 mila euro da anni destinati a L’Aquila e mai arrivati. I sonni della Protezione anche dopo Bertolaso
Scritto da Carmine Gazzanni
Novecentomila mila euro parcheggiati. Sarebbe proprio il caso di dirlo, dato che stiamo parlando di sei mezzi - macchine per il movimento terra - che sarebbero serviti per le operazioni di ricostruzione post sisma. E il condizionale è d’obbligo, dato che non sono mai arrivati a destinazione.
La faccenda ha dell’incredibile. Ma andiamo con ordine. Ad oggi sono stati già spesi circa 250 milioni di euro di puntellamenti. Nonostante questo, ancora 33 mila persone, secondo gli ultimi dati, non fanno rientro nelle loro case. Sia chiaro: nessuno qui sta dicendo che le operazioni di ricostruzione possano avvenire dall’oggi al domani. Richiedono tempo, interventi mirati.
Ma richiederebbero anche e soprattutto impegno e puntualità. Cosa che, a quanto pare, manca. In un comunicato del 30 aprile scorso il CoNaPo (sindacato autonomo dei Vigili del Fuoco) ha denunciato una situazione a dir poco incredibile, che si stenta a credere. Nel maggio 2009 (ad un solo mese dal terremoto, dunque) la Case Construction Equipment, società del gruppo Fiat, dona sei macchine movimento terra “per supportare - come si legge nel comunicato - le operazioni di sgombero delle macerie e di ricostruzione”. In pratica un aiuto per sveltire le operazioni post-terremoto.
Novecentomila euro il valore delle sei macchine: un escavatore cingolato, un escavatore gommato, un miniescavatore, una ala gommata, una minipala compatta e un sollevatore telescopico. Eppure questi mezzi non sono mai arrivati a L’Aquila. Sono passati ben quattro anni, ma niente. Nonostante il capoluogo abruzzese ne avesse più che bisogno.
L’Assessore all’Ambiente aquilano Alfredo Moroni è intervenuto sulla questione: “Della questione se n’è occupato non solo il Conapo, sindacato autonomo dei Vigili del Fuoco, ma anche il Direttore Centrale per l’emergenza del dipartimento dei vigili del Fuoco, dott. Mistretta, nonché il sottosegretario al Ministero dell’interno dottor Ferrara”. E cosa hanno risposto dal Viminale? Si rasenta l’incredibile: “La donazione non aveva vincolo di destinazione”. In pratica, cioè, nonostante i mezzi siano stati destinati a L’Aquila, alla fine non sono arrivati perché non c’è alcun “vincolo”. E, in effetti, di questi sei mezzi tre sono in funzione, ma in altre zone: nei comandi provinciali di Roma, Piacenza e Genova. Come se si facesse un dono a Tizio, ma poi si desse a Caio.
Non solo. Se tre mezzi hanno comunque trovato una loro destinazione (per quanto anomala), per gli altri tre nemmeno quella. Sono parcheggiati. Fermi al Dipartimento della Protezione Civile. Un’assurdità. Soprattutto se si considera che comunque i Vigili del Fuoco impegnati nella ricostruzione hanno dovuto provvedere in altro modo, acquistando mezzi per rimuovere le macerie. Insomma, sei mezzi donati per la ricostruzione, nessuno arrivato a destinazione. Sebbene ce ne fosse bisogno. Sebbene ce ne sia bisogno. Tre impiegati impropriamente altrove. Tre, addirittura, fermi. Parcheggiati. Inutilizzati.
La questione, ora, è arrivata anche in Parlamento grazie ad un’interrogazione (di ieri) del deputato Idv Augusto Di Stanislao, il quale sottolinea che “il dipartimento dei vigili del fuoco, il quale continua a spendere risorse per le macchine, quando ci sono 900 mila euro di mezzi fermi, debba fare chiarezza e dare spiegazioni tanto quanto il Dipartimento della protezione Civile”. E chiede, infine, se il Governo “non ritenga di dover intervenire affinché la donazione della società del gruppo Fiat giunga finalmente a destinazione, a sostegno di un territorio ancora fortemente in difficoltà e che necessita di questi mezzi”.
Speriamo che dal dipartimento della Protezione si diano risposte concrete. E nessuno dica che non ne sapeva niente. Che le macchine erano inutilizzate “a loro insaputa”. È una scusa, oramai, inflazionata. Non regge più.
Fonte:Infiltrato.it
Novecentomila mila euro parcheggiati. Sarebbe proprio il caso di dirlo, dato che stiamo parlando di sei mezzi - macchine per il movimento terra - che sarebbero serviti per le operazioni di ricostruzione post sisma. E il condizionale è d’obbligo, dato che non sono mai arrivati a destinazione.
La faccenda ha dell’incredibile. Ma andiamo con ordine. Ad oggi sono stati già spesi circa 250 milioni di euro di puntellamenti. Nonostante questo, ancora 33 mila persone, secondo gli ultimi dati, non fanno rientro nelle loro case. Sia chiaro: nessuno qui sta dicendo che le operazioni di ricostruzione possano avvenire dall’oggi al domani. Richiedono tempo, interventi mirati.
Ma richiederebbero anche e soprattutto impegno e puntualità. Cosa che, a quanto pare, manca. In un comunicato del 30 aprile scorso il CoNaPo (sindacato autonomo dei Vigili del Fuoco) ha denunciato una situazione a dir poco incredibile, che si stenta a credere. Nel maggio 2009 (ad un solo mese dal terremoto, dunque) la Case Construction Equipment, società del gruppo Fiat, dona sei macchine movimento terra “per supportare - come si legge nel comunicato - le operazioni di sgombero delle macerie e di ricostruzione”. In pratica un aiuto per sveltire le operazioni post-terremoto.
Novecentomila euro il valore delle sei macchine: un escavatore cingolato, un escavatore gommato, un miniescavatore, una ala gommata, una minipala compatta e un sollevatore telescopico. Eppure questi mezzi non sono mai arrivati a L’Aquila. Sono passati ben quattro anni, ma niente. Nonostante il capoluogo abruzzese ne avesse più che bisogno.
L’Assessore all’Ambiente aquilano Alfredo Moroni è intervenuto sulla questione: “Della questione se n’è occupato non solo il Conapo, sindacato autonomo dei Vigili del Fuoco, ma anche il Direttore Centrale per l’emergenza del dipartimento dei vigili del Fuoco, dott. Mistretta, nonché il sottosegretario al Ministero dell’interno dottor Ferrara”. E cosa hanno risposto dal Viminale? Si rasenta l’incredibile: “La donazione non aveva vincolo di destinazione”. In pratica, cioè, nonostante i mezzi siano stati destinati a L’Aquila, alla fine non sono arrivati perché non c’è alcun “vincolo”. E, in effetti, di questi sei mezzi tre sono in funzione, ma in altre zone: nei comandi provinciali di Roma, Piacenza e Genova. Come se si facesse un dono a Tizio, ma poi si desse a Caio.
Non solo. Se tre mezzi hanno comunque trovato una loro destinazione (per quanto anomala), per gli altri tre nemmeno quella. Sono parcheggiati. Fermi al Dipartimento della Protezione Civile. Un’assurdità. Soprattutto se si considera che comunque i Vigili del Fuoco impegnati nella ricostruzione hanno dovuto provvedere in altro modo, acquistando mezzi per rimuovere le macerie. Insomma, sei mezzi donati per la ricostruzione, nessuno arrivato a destinazione. Sebbene ce ne fosse bisogno. Sebbene ce ne sia bisogno. Tre impiegati impropriamente altrove. Tre, addirittura, fermi. Parcheggiati. Inutilizzati.
La questione, ora, è arrivata anche in Parlamento grazie ad un’interrogazione (di ieri) del deputato Idv Augusto Di Stanislao, il quale sottolinea che “il dipartimento dei vigili del fuoco, il quale continua a spendere risorse per le macchine, quando ci sono 900 mila euro di mezzi fermi, debba fare chiarezza e dare spiegazioni tanto quanto il Dipartimento della protezione Civile”. E chiede, infine, se il Governo “non ritenga di dover intervenire affinché la donazione della società del gruppo Fiat giunga finalmente a destinazione, a sostegno di un territorio ancora fortemente in difficoltà e che necessita di questi mezzi”.
Speriamo che dal dipartimento della Protezione si diano risposte concrete. E nessuno dica che non ne sapeva niente. Che le macchine erano inutilizzate “a loro insaputa”. È una scusa, oramai, inflazionata. Non regge più.
Fonte:Infiltrato.it
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