Sino ad un mese fa, la situazione della sinistra era sostanzialmente questa:
Ferrero stava attaccato alla giacca di Vendola elemosinando un accordo elettorale
ma Vendola (e con lui Di Pietro) non se ne dava per inteso, perché
stava attaccato alla giacca di Bersani, sperando di consacrare l’intesa
di Vasto
ma Bersani –insidiato dagli orrendi moderati che albergano nel suo
partito- stava attaccato alla giacca di Casini per decidere se fare
alleanza solo con lui o sia con lui che con Vendola e Di Pietro o, in
mancanza, ripiegare sullo schema di Vasto
Casini, a sua volta, non sapeva bene cosa
avrebbe fatto da grande –se il grande centro, se il piccolo alleato di
destra o quello di sinistra- e stava attaccato alla giacca di Cordero di
Montezemolo, a quella di Pisanu ed a quella di Formigoni.
I quali non sapevano se restare aggrappati alla giacca del Cavaliere o attaccarsi a quella di Monti.
Il Cavaliere cercava di riacchiappare la giacca di Bossi (che, per
parte sua, aveva ben altre gatte da pelare) ed, alternativamente, faceva
l’occhiolino a Casini che non sapeva dove buttarsi.
Insomma un bel trenino che non andava da nessuna parte, perché
ciascuno aspettava cosa facesse l’altro. Il peggiore spettacolo che il
teatrino della politica italiana abbia mai prodotto.
Poi è arrivata la bufera del 5 maggio: Lega sprofondata, Pdl
disintegrato, Terzo polo ridotto a “Terza Bufala”, Pd che scricchiola,
Idv e Sel che vanno sotto aspettative e due soli vincitori, Grillo e “il
partito bianco”.
Ed il trenino è deragliato. A prendere per primi l’iniziativa a
sinistra sono stati Vendola e Di Pietro che hanno posto a Bersani l’aut
aut: dicci che vuoi fare e subito, altrimenti ce ne andiamo per la
nostra strada. Il senso della mossa è evidente: i due non vogliono
restare appesi sino all’ultimo a cosa farà Bersani che, magari,
all’ultimo li scarica per fare blocco con Casini. Per di più, ora Sel ed
Idv hanno un potere contrattuale molto maggiore di ieri: stando
all’attuale sistema elettorale, senza di loro il Pd potrebbe avere
qualche residua speranza di vincere solo alleandosi a Casini, ma la cosa
non è affatto sicura. Invece, Vendola e Di Pietro potrebbero tanto
presentarsi come blocco autonomo quanto (e questa per il Pd sarebbe una
vera catastrofe) cercare una alleanza con Grillo. Di Pietro, che ha una
base contigua ed un vecchio amorazzo con i grillini, potrebbe fare da
tramite e portarsi dietro anche Vendola.
In questo caso il Pd sarebbe praticamente finito: già oggi alcuni
sondaggi lo danno di un punto sotto ai 5 stelle, ma, anche senza
azzardare tanto, un blocco Grillo-Di Pietro-Vendola sarebbe
tranquillamente sopra al 20% , a quel punto, se gli attuali trend
elettorali proseguissero, il Pd sarebbe sotto ed il discorso del “voto
utile” gli si rovescerebbe contro, con il risultato di portarlo fra il
10 ed il 15%: una disfatta epocale.
Vedremo cosa dice Bersani che, intanto, è lì che pettina bambole.
E veniamo a Grillo, che gode di un momento molto favorevole ma che già ha qualche inciampo.
In primo luogo, il movimento 5 stelle, che ha avuto una affermazione
non da poco, resta un movimento circoscritto essenzialmente a due
regioni dove ha seguito a due cifre (Piemonte ed Emilia) e ad alcune in
cui supera il 5-6% (Liguria, Veneto, Toscana), mentre arranca nel resto
del Centro Italia, ha percentuali molto ridotte nel Sud e nelle isole.
Ma soprattutto, non ha ancora messo radici solide in Lombardia: se a
questa tornata elettorale ci sono stati centri lombardi come Garbagnate
dove si è affermato, però l’anno scorso a Milano si fermò al 3%, ed a
Como, in questa occasione, non è andato molto al di là. Quindi la
Lombardia resta ancora un punto debole per il movimento, il che non è
poco.
Per di più, M5s continua ad avere una struttura tutta per circoli
informatici e molto poco per gruppi territoriali, quello che è un altro
punto debole. Parlando dei Piraten o di movimenti similari torneremo sul
tema, per ora ci limitiamo ad osservare che poi le liste amministrative
si fanno in sede locale e che, oltre un certo limite, non è possibile
controllarle dal centro. Ne consegue che il movimento è totalmente
vulnerabile alle scorribande di qualsiasi gruppo di avventurieri che,
con un pugno di voti controllati e quattro soldi, sbaraglierebbe
qualsiasi gruppo di giovani collegati in rete. Non sempre si può avere
un Pizzarotti che garantisce seguito elettorale locale e lealtà al
movimento.
Ancora: il programma è ancora pieno di buchi: manca tutto il capitolo
della politica estera ed in particolare di politica europea, la parte
dedicata alle istituzioni si riduce solo a quel che riguarda il tema
(pure cruciale) della questione morale, il programma economico ha
rivendicazioni condivisibilissime (come l’abolizione delle stock
options) ma altre di disarmante ingenuità, mentre manca una visione di
insieme. Certo è un movimento giovane che ha bisogno di tempo, ma
proprio questo è quello che manca: le elezioni sono molto vicine (meno
di un anno, al massimo).
Dunque, anche se il M5s ha un avvenire assai promettente, ha le sue
fragilità e non mancano le insidie. E’un po’ presto per intonare la
marcia trionfale: il rischio di capitomboli c’è e non è piccolo. Ed a
questo proposito, dobbiamo dire che l’uscita su chi deve essere il
segretario comunale di Parma ci ha lasciati sbalorditi: ma ve lo vedete
Bersani che dice a Fassino chi deve essere il segretario comunale di
Torino o Di Pietro che dice a De Magistris chi deve essere quello di
Napoli. Ma nemmeno Bossi (per quel che se ne sa) ha mai detto ai suoi
sindaci che segretari comunali dovevano scegliersi. Insomma, facciamo un
movimento all’insegna della democrazia di base, del superamento della
forma partito, poi viene fuori il partito di “one man show”, vi pare
serio? Ma, si dirà, il candidato bocciato da Grillo, Tavolazzi, era
stato espulso dal movimento. A parte il fatto che quella di segretario
generale del Comune non è una carica politica ma amministrativa e non è
richiesta l’appartenenza allo stesso partito del sindaco, il richiamo
peggiora le cose: Tavolazzi è stato espulso personalmente da Grillo al
di fuori di qualsiasi prassi statutaria perché uno statuto non c’è,
dunque, nel movimento si sta o se ne è esclusi solo sulla base delle
decisioni personali del suo condottiero.
Capisco che Grillo –che ha ripetutamente detto di non volersi
presentare alle elezioni- cerchi di porsi come garante del movimento
dalle infiltrazioni e che cerchi di sostituire i tradizionali meccanismi
partitici, ma, con ogni probabilità, è destinato ad ottenere risultati
opposti a quelli che cerca di raggiungere. In primo luogo, è del tutto
illusorio pensare che un solo uomo al centro possa essere un filtro
efficace contro il rischio di infiltrazioni o degenerazioni del
movimento. In secondo luogo, i meccanismi tradizionali dei partiti sono
assolutamente sclerotizzati e da ripensare, ma se l’alternativa è l’iper
centralizzazione di tutto nelle mani di un singolo uomo, tanto vale,
teniamoci i vecchi sistemi che, comunque, sono un po’ più democratici:
le leadership carismatiche non sono mai democratiche.
Peraltro, il problema, già avvertibile prima delle elezioni
amministrative, sta esplodendo in questi giorni. E’ iniziata la corsa al
carro vincente e si avverte chiaramente l’effetto “limatura di ferro”:
quando si forma un magnete con sufficiente forza attrattiva, la limatura
di ferro sparsa inizia ad aggregarsi e il blocco si ingrossa sempre
più. Come le valanghe che più si ingrossano, trascinando a valle
detriti, e più diventano irresistibili, allargando il fronte di discesa e
trascinando sempre più pietrisco.
E non si tratta solo di gruppi locali più o meno genuini e più o meno
di dilettanti, ma anche di gruppi strutturati con gruppi dirigenti
sperimentati: già Pannella sta facendo una corte scatenata a Grillo,
parlandone come del suo possibile erede (erede di cosa, poi, non si sa),
ma anche De Magistris potrebbe pensare di essere la “porta di ingresso”
al Sud per il M5s, i Verdi che, con Bonelli, stanno tentando una
faticosissima risalita, hanno un gruzzoletto di voti da portare in dote e
potrebbero far valere una certa affinità culturale ed ideologica. E
poi, anche Vendola e Di Pietro, come abbiamo visto…
La scelta che si pone non è facile: chiudere le porte a tutti
significherebbe un arroccamento settario che condannerebbe il movimento
ad una precoce decadenza, ma aprirle indiscriminatamente a tutti
farebbe correre il rischio di una implosione a causa del crescente caos
politico programmatico. Come si vede, occorrono una serie di scelte
molto delicate con un elevato rischio di sbagliare per eccesso o per
difetto. E tutto è complicato dalla struttura troppo fluida del
movimento che non può restare cosi a lungo. Se anche il M5stelle
prendesse solo il 7-8% dei voti alle politiche (una percentuale molto
bassa rispetto alle aspettative, che potrebbe provocare brutti effetti
di delusione), questo significa che, pure con il sistema attuale,
otterrebbe una cinquantina di parlamentari: troppi per un movimento cosi
poco strutturato.
Decisamente, siamo in una situazione molto fluida, forse troppo.
Fonte:aldogiannuli.it
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