L’8 maggio scorso, di fronte alla Commissione Speciale Antimafia, il
presidente del consiglio provinciale di Torino, Sergio Bisacca, ha annunciato
l’intenzione dell’ente da lui diretto di costituirsi parte civile. Fin
qui niente di strano. Se non fosse che uno dei principali indagati
nell’inchiesta è Nevio Coral, noto politico e imprenditore, sindaco di
Leinì per oltre dieci anni (un comune di 15mila abitanti nel torinese)
ed esponente a vario titolo di molte aziende attive in campi che vanno
dall’edilizia ai servizi comunali. Non solo: Nevio Coral è anche il
fondatore di “Nuove Energie”, associazione culturale che ha “l’intento
di incrementare la partecipazione di persone della società civile alla
gestione della cosa pubblica”. Tuttavia, la curiosità è che su come
gestire la cosa pubblica Nevio Coral ha un’idea tutta sua. Stando agli
inquirenti, infatti, il buon Coral – arrestato nel giugno scorso –
avrebbe stabilito solidi rapporti con le cosche calabresi impiantatesi
nella provincia di Torino, tanto che gli ‘ndranghetisti lo userebbero
come “un biglietto da visita”, e addirittura come “un gioco” da
spartirsi e litigarsi per ottenerne ritorni economici e favori di vario
genere. Favori in cambio dei quali Coral otteneva ovviamente un’ottima
contropartita: la garanzia di un mucchio di voti.
E a chi andavano i voti che lui raccoglieva? Al figlio, appunto, che
dal 2005 fino al dicembre del 2011 è stato sindaco dello stesso comune,
Leinì, divenuto un feudo di famiglia e sciolto per infiltrazioni mafiose
nel marzo scorso, riuscendo contemporaneamente ad approdare in
consiglio provinciale nel 2009. Ad affermarlo, infatti, sono le carte
dell’inchiesta Minotauro, quella che ha portato all’arresto di Coral
padre per concorso esterno in associazione mafiosa: Ivano sarebbe
fortemente condizionato – per non dire manipolato – nel suo operato
dalle indicazioni del padre, che dunque resterebbe il vero burattinaio
della politica di Leinì e dintorni. E le ombre dei voti di ‘ndrangheta
non ricadono soltanto sul figlio Ivano, ma anche sulla nuora (la moglie
dell’altro suo figlio, Claudio) Caterina Ferrero,
ex assessore regionale alla sanità, travolta da un’altra inchiesta, di
poco precedente all’operazione Minotauro, che la vedeva al centro di uno
scandalo fatto di turbative d’asta e corruzione in ambito sanitario.
Una famiglia modello , insomma.
Tuttavia, al di là delle accuse formulate dai magistrati, a dare
un’idea del sistema messo in piedi da Nevio Coral ci pensano le vive
voci dei protagonisti di questa storia: lo stesso politico-imprenditore e
i boss coi quali lui interloquiva. L’incontro avviene in un ristorante
di proprietà di Claudio Coral, il 20 maggio: l’obiettivo è lanciare l’enfant prodige
in corsa per le elezioni provinciali del 6 e 7 giugno 2009, Ivano. Il
boss con cui viene intavolata la trattativa è un esponente importante
all’interno del “Crimine” di Torino, l’organo di raccordo tra le varie
cosche locali, e si chiama Vincenzo Argirò. Il quale, non sapendo di
essere intercettato dalle microspie dei Carabinieri, fa un accenno ai
bei tempi passati: “dottore, noi siamo qua e siamo felici di esserlo
perché … sanno che noi siamo qua con voi e saremo felici come lo siamo
stati … anni fa …se voi vi ricordate bene …”. Poi, mentre la serata trascorre, un altro picciotto continua: “con
tutto il rispetto che io c’ho per Ivano, lo conosco da piccolo, siamo
cresciuti assieme … ascolta … però, dove vai vai, Ivano non è Ivano,
Ivano è il figlio di Nevio!”. E Nevio, infatti, che non ha ritenuto opportuno neppure portarlo alla cena, suo figlio, precisa: “In
molti casi dicono che è la mia copia più istruita, no? perché lui si è
preso una laurea …ha quel qualcosa in più … gli manca, gli manca, forse,
gli manca quella maestria e quella esperienza…”.
E la conferma del fatto che la mediazione della ‘ndrangheta è stata
fruttuosa, arriva due giorni dopo le elezioni, quando un altro boss
locale, Giovanni Iaria, viene intercettato mentre parla al telefono con
un altro affiliato: “gli ho telefonato a Nevio […] ho detto vedrai
che gli unici che mantengono gli impegni sono quelli che… vicino a te, e
tuo figlio è eletto…viene eletto tuo figlio perché io avevo già fatto i
conti […] loro hanno aspettato fino alle tre e mezza a saperlo, però io
gliel’ho detto ieri sera alle sei e mezza. […] Ha preso 7500 voti: dei
nostri non è scappato nessuno!”.
Dunque il sistema Coral non aveva fallito. Quel sistema che lui aveva esposto alla tavolata dei boss: “Innanzitutto
prendiamo uno lo mettiamo in Comune, l’altro lo mettiamo nel consiglio,
l’altro lo mettiamo in una proloco, l’altro lo mettiamo in tutta altra
cosa, magari arriviamo che ci ritroviamo persone nostre che... E
diventiamo un gruppo forte”.
Ora, resta da capire come si svolgerà il dibattimento in aula. La
parte civile, infatti, di norma è quella che si ritiene danneggiata e
intende far valere le proprie ragioni davanti al giudice, al fine di
vedersi risarcita. E ci scapperà da ridere a sentire Ivano Coral in
preda a crisi mistiche: “Caro papà, dato che tu mi hai favorito
regalandomi i voti della ‘ndrangheta, io mi ritengo da te danneggiato.
Non in quanto tuo figlio, ma in quanto membro del consiglio provinciale
che oggi ti accusa”. Onde evitare cortocircuiti del genere, a
disposizione del povero Nevio Coral, forniamo qui brevemente delle
formule linguistiche per uscire dall’imbarazzo nel quale potrebbe
cadere. Innanzitutto, può ritenersi perfettamente a posto con la propria
coscienza presentandosi come semplice “utilizzatore finale” dei voti
illegali che suo padre gli ha fornito; oppure, può proclamarsi come il
primo eletto coi voti della ‘ndrangheta a sua insaputa. Formula che,
ultimamente, va molto di moda.
di Valerio Valentini
Fonte:byoblu.com
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