20
marzo 2012: a 18 anni dalla morte di Ilaria e Miran. Mariangela Gritta
Grainer ripercorre il Caso ancora senza verità e giustizia.
Ilaria
Alpi: tutti la conoscono come vittima di quell’agguato in cui, insieme a
Miran Hrovatin, fu assassinata a Mogadiscio, quasi 18 anni fa, il 20
marzo 1994. Ma chi era Ilaria? Chi era lei, la donna, la giornalista. I
racconti che di lei sono stati fatti, con diversi linguaggi – la
musica, il cinema, la poesia, le inchieste, il teatro fino a questo
testo – ci hanno avvicinato a lei, ci hanno fatto conoscere Ilaria, ci
hanno detto che è stata uccisa perché era brava, era un talento. E’
stato il suo modo di fare giornalismo di cercare sempre la verità e di
comunicarla che ha fatto paura e che fa ancora paura. Per questo la
verità sulla sua uccisione ancora non si conosce per intero.
Si sa che
si è trattato di un’ esecuzione. Un’esecuzione su commissione: questo è
quanto è emerso da tutte le inchieste giornalistiche, della
magistratura e delle commissioni d’inchiesta che ne hanno evidenziato
anche il movente. “Impedire che le notizie raccolte dalla Alpi e dal
Hrovatin in ordine ai traffici di armi e di rifiuti tossici…venissero
portati a conoscenza dell’opinione pubblica…”
Si sa che
si tratta di traffici illeciti che solamente organizzazioni criminali,
la mafia, l’ndrangheta e la camorra possono gestire, come indagini di
procure, dichiarazioni di pentiti e collaboratori di giustizia hanno
fatto emergere.
Si sa che
recenti inchieste della magistratura riferite al nord Italia dimostrano
che tali organizzazioni criminali possono crescere ed estendere le
loro ramificazioni in tutti i territori e in tutti i mercati perché
godono di coperture, silenzi e complicità nelle strutture di potere
pubbliche e private.
Si sa che
in tutti questi anni sono emerse notizie, dettagli che potrebbero
collegare l’attività di inchiesta di Ilaria ad altri fatti tragici come
ad esempio il delitto Rostagno, la tragedia del traghetto Moby Prince
(1991), l’omicidio dell’ufficiale del Sismi Vincenzo Li Causi avvenuto
proprio a Mogadiscio pochi mesi prima dell’assassinio di Ilaria e Miran:
è il filo “rosso” di cui parlava sempre Giorgio Alpi il papà di Ilaria
che ci ha lasciato senza aver avuto giustizia.
Si sa che a Mogadiscio in quei giorni c’erano ancora migliaia di soldati dell’ONU,
che il generale Carmine Fiore comandava il contingente italiano,
che il colonnello Luca Rayola Pescarini era responsabile del SISMI,
che il colonnello Fulvio Vezzalini era a capo dell’intelligence dell’UNOSOM,
che Mario Scialoja era ambasciatore italiano in Somalia,
che anche un nucleo di carabinieri del Tuscania con compiti di indagine era lì.
Si sa che
nessuno di loro si recò sul luogo del duplice delitto e che quando
Giancarlo Marocchino, un “chiacchierato” italiano in Somalia dal 1984,
arriva sul posto e recupera i corpi, come documentato da un filmato
dell’ABC, Ilaria è ancora viva. Ci fu un’omissione di soccorso.
Si sa che non vennero sequestrate le armi dell’autista di Ilaria né della scorta, non vennero interrogati i testimoni.
Si sa che
nessuna inchiesta è stata finora conclusa da parte delle istituzioni
che avevano il dovere di indagare e di assicurare alla giustizia
esecutori e mandanti.
Si sa che senza l’impegno e la determinazione di Luciana e Giorgio Alpi questo “caso” sarebbe chiuso da anni.
Si sa che non fu disposta l’autopsia ma solo un esame esterno del corpo il cui risultato è però chiarissimo:
Il 22 marzo 1994 al cimitero Flaminio, il dottor Giulio Sacchetti, perito medico scrive:
“….trattasi di ferita penetrante al capo da colpo d’arma da fuoco a proiettile unico; mezzo adoperato pistola, arma corta…….
Quanto
ai mezzi che produssero il decesso si identificano in un colpo d’arma
da fuoco a proiettile unico esploso a contatto con il capo.”
Si sa che Miran Hrovatin è stato colpito da un proiettile analogo al capo.
Si sa che il corpo di Ilaria è stato dolorosamente riesumato due volte (1996, 2004).
Si sa che
sono spariti il certificato di morte redatto sulla nave Garibaldi
(riemerso dopo molti anni), e il body anatomy report redatto dalla
compagnia Brown Root di Huston, insieme ai bloch notes di Ilaria e alle
videocassette registrate.
Si sa che
la sentenza di condanna all’ergastolo di Hashi Omar Assan (secondo
processo), nelle sue motivazioni, indica un solo movente di quella che
definisce una esecuzione premeditata e organizzata.
“….
E che questi scopi siano da individuarsi nella eliminazione e
definitiva tacitazione della Alpi e di chi collaborava professionalmente
con la giornalista perché divenuta costei estremamente “scomoda” per
qualcuno è ipotesi non seriamente contestabile alla luce non solo di
quanto sopra argomentato ma anche degli elementi e delle considerazioni
che seguono.
Gli
argomenti trattati dalla giornalista durante il colloquio avuto poco
prima della sua partenza per Bosaso con Faduma Mohamed Mamud (teste
sentita nel primo processo) nonché quelli oggetto dell’intervista con il
sultano di Bosaso difficoltosamente ottenuta, l’interesse dimostrato in
relazione al sequestro della nave della società Shifco, la visita dei
pozzi oggetto di uno scandalo connesso con la cooperazione, il tenore
della telefonata intercorsa tra la Alpi e il suo caporedattore Massimo
Loche nel corso della quale la giornalista aveva anticipato al collega
di avere in mano “cose molto grosse”…… sono tutte circostanze che
inducono a fondatamente ritenere che Ilaria Alpi avesse nella sua
attività di giornalista scoperto fatti ed attività connesse con traffici
illeciti di vasto ambito……”
Si sa che
Ilaria Alpi era stata minacciata di morte a Bosaso nei giorni
precedenti il suo assassinio e probabilmente sequestrata se pur per
breve tempo da esponenti di clan locali.
Si sa che è in corso il processo per il reato di calunnia nei confronti di Ali Rage Hamed detto Jelle, testimone
d’accusa chiave nei confronti di Hashi Omar Hassan in carcere da oltre
dieci anni dopo la condanna definitiva a 26 anni.
Si sa che
c’è una conversazione telefonica registrata in cui Jelle dichiara di
essere stato indotto e pagato da un’autorità italiana perchè accusasse
Hashi ma di voler ritrattare e raccontare la verità.
Si sa che
se verrà confermato che Jelle ha mentito e che è stato pagato per
mentire si dovrà riaprire tutta l’inchiesta sul duplice assassinio di
Ilaria e Miran.
Si sa che la sentenza di assoluzione (primo processo) di Hashi Omar Assan definiva tutto il procedimento come “la costruzione di un capro espiatorio” stante che “il caso Alpi pesava come un macigno nei rapporti tra Italia e Somalia” e stante che “alcune
piste potrebbero portare a ritenere che la Alpi sia stata uccisa, a
causa di quello che aveva scoperto, per ordine di Ali Mahdi e di Mugne
(presidente della Shifco, società a cui appartenevano i pescherecci,
compresa la Fara Omar sequestrata a Bosaso e su cui Ilaria stava
indagando ndr)”.
Si sa che quando
Ilaria effettuò la prima (di sette in poco più di un anno) missione in
Somalia (20 dicembre 1992-10 gennaio 1993) erano giunti da pochi giorni i
primi elementi di ricognizione del nostro contingente militare per la
missione internazionale al comando USA.
Si sa che
il 9 dicembre erano sbarcati per primi in Somalia i marines americani
in modo spettacolare e con le Tv di tutto il mondo appostate sulle
spiagge: una risposta allo shoc delle immagini dell’immane tragedia
somala che erano entrate in tutte le case nei mesi precedenti. Dal
gennaio del 1991, alla caduta (e alla fuga) di Siad Barre, sanguinario
dittatore, corrotto, sostenuto e foraggiato anche dall’Italia fino
all’ultimo, la Somalia era precipitata in una guerra civile disastrosa:
cinque milioni di somali divisi in sei etnie, cinquanta clan e oltre 200
sottoclan. I clan, le faide tribali, i signori della guerra sono i
nuovi padroni. Le conseguenze per la popolazione già stremata e
poverissima sono esodi, carestie, epidemie, criminalità, contrabbando:
un terreno fecondo per faccendieri e trafficanti di ogni tipo.
Si sa che esiste un
documento (ancora segretato ma già all’attenzione del Copasir,
l’organismo di controllo sull’attività dei servizi segreti) che
rivelerebbe come il SISMI (attuale Aise) sarebbe “coinvolto” nella
gestione del traffico e dello smaltimento dei rifiuti tossici con un
esplicito riferimento anche al traffico di armi.
Il
documento porta la data dell’11 dicembre 1995 e rivela “che il governo
di allora, guidato da Lamberto Dini, avrebbe destinato una somma ingente
di denaro al nostro servizio segreto per «lo stoccaggio di rifiuti
radioattivi e armi»”.
Si sa che
il 13 dicembre 1995, in circostanze misteriose (secondo gli stessi
magistrati impegnati nelle indagini) muore il capitano Natale De Grazia,
figura chiave del pool investigativo coordinato dal procuratore di
Reggio Calabria Francesco Neri che indaga sulle “navi dei veleni”.
Francesco
Neri nell’audizione del 18.1.2005 davanti alla commissione
parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi ha raccontato della
sua indagine sui rifiuti tossici e sulle navi, iniziata nel 1994. Ha
spiegato dettagliatamente della perquisizione a casa di Giorgio Comerio,
noto trafficante di armi, e coinvolto secondo gli investigatori nel
piano per smaltire illecitamente rifiuti tossico nocivi che prevedeva la
messa in custodia di rifiuti radioattivi delle centrali nucleari in
appositi contenitori e il loro ammaramento.
Francesco Neri dirà tra molte altre cose:
“Nella
perquisizione ……la cosa che ci incuriosì più di ogni altra fu il
ritrovamento del certificato di morte di Ilaria Alpi proprio nella
carpetta della Somalia……
insieme
a corrispondenze sulle autorizzazioni richieste al governo somalo e con
Ali Mahdi, ad altre informazioni su siti e modalità di smaltimento
illegale di rifiuti radioattivi”. Che ci faceva il certificato di morte
di Ilaria tra le carte di Comerio?
Si sa che
l’avvocato Carlo Taormina, presidente della commissione parlamentare
d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin invece che
ricercare i responsabili del duplice assassinio ha perseguito con
tenacia e senza risparmio di mezzi l’obiettivo di scagionare alcune
persone quali:
Giancarlo Marocchino ha
raccontato diverse versioni di quanto accadde il 20 marzo 1994; ha
assistito forse anche all’agguato stesso, di certo non ha detto tutto
quello che sa e forse ha anche mentito.
Omar Mugne,
ingegnere della Shifco, società a cui apparteneva la Farah Omar, il
peschereccio sequestrato a Bosaso di cui si occupò Ilaria Alpi nel suo
ultimo viaggio in Somalia. E’ possibile che Mugne abbia anche
incontrato Ilaria forse proprio sulla Farah Omar sospettata di
trasportare armi e rifiuti; dell’incontro esisterebbe una cassetta
registrata, come sostenuto dal alcuni testimoni.
Si sa che le conclusioni di Taormina sono vergognosamente false, offensive della professionalità e della memoria di Ilaria e Miran: “Si trattò di
un tentativo di sequestro finito male; nessun mistero, dunque, Ilaria e
Miran non stavano conducendo alcuna indagine scottante. A Bosaso erano
andati in vacanza, al mare. Eroi del giornalismo perché sono morti. Ma
nulla stavano cercando o avevano trovato circa ipotetici traffici di
armi di rifiuti o altro”.
Si sa che sono state fatte carte false ignorando tutte le testimonianze che provavano la tesi dell’esecuzione e “pilotandone” altre.
Il
sultano di Bosaso, ad esempio, ha confermato la sparizione di alcune
cassette video registrate (ha detto che l’intervista che gli fece
Ilaria, pochi giorni prima di essere uccisa, durò due o tre ore, solo
una di una ventina di minuti è giunta in Italia!) e ha dichiarato
davanti alla commissione d’inchiesta (10 febbraio 2006): “…a Ilaria
ho detto che quelle navi portavano via dalla Somalia il pesce e poi
venivano con le armi………tutti parlavano del trasporto delle armi e dei
rifiuti….chi diceva di aver visto…non si vedeva vivo o spariva, in un
modo o nell’altro, moriva…”
Ci
sono documenti, testimonianze, informative, inchieste: un materiale
enorme, accumulato in 17 anni dalle inchieste giornalistiche, della
magistratura, delle commissioni d’inchiesta parlamentari e governative,
che “custodisce” le prove.
Si
conosce ormai quasi tutto su quel che accadde in quei giorni a
Mogadiscio, sul perché del duplice delitto, perfino su chi poteva far
parte del commando. Ma gli esecutori sono ancora impuniti e non si è
ancora arrivati ai mandanti a chi ha armato il gruppo di fuoco.
Perché alla verità giudiziaria non si è ancora arrivati? Chi non vuole questa verità e quindi giustizia e perché?
In fondo basterebbe indagare a fondo su quanto aveva scritto Ilaria su alcuni bloch notes ritrovati.
A
partire da questa piccola nota: ” 1400 miliardi di lire dove è finita
questa impressionante mole di denaro? “ (1.400.000.000.000 “Sono
tanti undici zero. Proprio tanti. Troppi. …. non è che il viaggio è
finito. E infatti ce ne vuole, ancora, per arrivare in fondo al viaggio,
in fondo a tutti e undici gli zero.” da Lo schifo – omicidio non casuale di Ilaria Alpi nella nostra ventunesima regione” )
Ilaria
nel film “il più crudele dei giorni” ad un certo punto con sullo sfondo
la strada Garoe Bosaso, costruita con i fondi della cooperazione
italiana dice:
“Per
darvi un’idea di quanto sia utile spendere centinaia di miliardi della
cooperazione in Somalia ecco…questa è la strada Garoe Bosaso una
strada…che almeno è servita per coprire ogni sorta di porcherie tossiche
e radioattive che l’occidente ha la buona abitudine di affidare a
questi poveri disgraziati del terzo mondo, tutto con la complicità di
politici, militari, servizi segreti, faccendieri italiani e somali….
“Io so.
Io so e so anche i nomi e adesso ho anche le prove”.
Mariangela Gritta Grainer
Portavoce dell’Associazione Ilaria Alpi
(postfazione tratta dal libro LO SCHIFO di Stefano Massini, Promo Music, Corvino Meda Editore)
Fonte:Nocensura.com
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