di Carlo Musilli
In
sordina, alla chetichella, ma alla fine il mini-decreto salva-banche è
arrivato. Il governo lo ha varato con disinvoltura venerdì scorso,
infilandolo fra due provvedimenti che giustamente hanno catalizzato
un'attenzione molto maggiore da parte dei media e dell'opinione
pubblica: la riforma del lavoro e la delega fiscale. Fatto sta che, dei
tre testi su cui si è discusso nell'ultima infinita riunione del
Consiglio dei ministri, quello in favore degli istituti di credito è
l'unico ad entrare immediatamente in vigore. Morale della favola:
nessuno tocchi le commissioni bancarie.
In
sostanza, l'ennesimo decreto approvato dalla squadra Monti ha come
unico scopo quello di annullare una norma inserita nel pacchetto sulle
liberalizzazioni, il cosiddetto "cresci-Italia", che è diventato legge
appena giovedì scorso con l'approvazione definitiva della Camera. La
misura -introdotta al Senato con un emendamento del Pd, cui il governo
aveva dato parere contrario - prevedeva il taglio delle commissioni
bancarie su crediti, fidi (l'impegno a mettere una somma a disposizione
del cliente) e sconfinamenti (l'utilizzo di fondi oltre il limite
accordato dalla banca tramite il fido).
Niente
da fare, abbiamo scherzato: con l'ultimo decreto il governo limita la
nullità delle commissioni a quelle banche che non si adegueranno alle
future disposizioni sulla trasparenza dettate dal Cicr (il Comitato
interministeriale per il credito e il risparmio). Un modo politicamente
corretto per dire "nessuna banca".
Il
dato più interessante è che questa correzione in extremis ha incontrato
una larghissima approvazione in Parlamento. Anzi, il decreto ricalca
praticamente alla lettera un ordine del giorno presentato dalla
maggioranza, con in calce le firme di esponenti Pd, Pdl e terzo polo. Un
elemento in più - se mai ce ne fosse bisogno - per valutare la
labirintite che affligge gli uomini del Partito democratico, ridottisi a
chiedere di cancellare un emendamento che loro stessi avevano
presentato.
Ma
per quale ragione la correzione non è stata inserita all'interno dello
stesso provvedimento sulle liberalizzazioni? E in ogni caso, con la
bulimia legislatrice di questi tempi tecnici, non si poteva infilare in
uno qualsiasi dei testi che attualmente viaggiano in Parlamento? No. E
la ragione ha del fantozziano.
Il
governo ha scelto di non modificare l'emendamento durante la
discussione alla Camera perché questo avrebbe reso necessaria una terza
lettura al Senato, mettendo l'intero decreto "cresci-Italia" a rischio
scadenza (fissata per il 24 marzo). All'inizio si era pensato di
procedere con un nuovo emendamento, stavolta al decreto
semplificazioni, ma anche in questo caso l'aggiunta avrebbe imposto una
terza lettura a Palazzo Madama. Tutte lungaggini di Palazzo che le
banche non potevano permettersi.
La
norma che avrebbe dovuto annullare le commissioni è entrata
ufficialmente in vigore domenica, con la pubblicazione del decreto
liberalizzazioni in Gazzetta Ufficiale. Se l'annullamento della misura
fosse arrivato anche solo con qualche ora di ritardo, per gli istituti
di credito sarebbero stati dolori. Non solo per i minori introiti e per i
fastidi legati all'obbligo di modifica delle procedure interne, ma
anche perché poi avrebbero rischiato una serie di contenziosi legali,
soprattutto con le agguerritissime associazioni dei consumatori. Era
quindi vitale che il virus anti-banche e l'antidoto salva-banche
arrivassero esattamente allo stesso rintocco d'orologio.
Così
è stato, e ora l'Abi può esultare. A inizio mese i vertici
dell'Associazione bancaria italiana si erano dimessi proprio per
ottenere questo risultato. Dopo qualche settimana, quando ormai si era
capito che il pressing sull'Esecutivo aveva dato i suoi frutti, le
dimissioni erano state "congelate". C'è da scommettere che non ne
sentiremo più parlare.
L'Abi
ha espresso "soddisfazione e apprezzamento" per la "sensibilità"
dimostrata dalla politica italiana. Secondo l'Associazione, l'eventuale
annullamento delle commissioni sulle linee di credito avrebbe causato
agli istituti una perdita da 10 miliardi di euro, mettendo a rischio
addirittura 80 mila posto di lavoro.
Ricordiamo
che a dicembre il sistema bancario italiano ha incassato 116 miliardi
di euro dei 489 messi a disposizione dalla Bce nell'ambito
dell'operazione Ltro, che garantisce prestiti triennali al tasso
ridicolo dell'1%. A febbraio la seconda puntata (Ltro2) ha portato nel
nostro Paese altri 139 miliardi, su 529 complessivi. Il tutto con la
possibilità per gli istituti di acquistare con quei soldi titoli di
Stato e speculare sulla differenza dei rendimenti (oggi il tasso
d'interesse sui Btp decennali è superiore al 5%). Ma di questo
ovviamente ci siamo già dimenticati.
Fonte:Nocensura.com
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