mercoledì 7 marzo 2012

LETTONIA E ARGENTINA: DUE RISPOSTE ALLA CRISI

DI RAMON TRUJILLO
Rebeliòn

La Lettonia ha già vissuto sulla propria pelle le politiche economiche che sono ora implementate in Spagna per far fronte alla crisi. Dal 2007 al 2009 la repubblica baltica è stata spazzata via dalla crisi finanziaria globale e ha subito un crollo del PIL, che è sceso del 24%. Il tasso di disoccupazione è passato dal 5,3% del 2007 al 20,5% all'inizio del 2010 [i].

Prima della crisi, il governo lettone aveva deciso di praticare una svalutazione interna per diminuire il costo della produzione e per incrementare le esportazioni. Così ha ridotto lo stipendio diretto (le retribuzioni dei lavoratori), lo stipendio indiretto (la spesa sociale) e lo stipendio differito (le pensioni). In teoria, la spesa pubblica più bassa avrebbe dovuto ridurre il passivo di bilancio e i salari inferiori avrebbero reso le esportazioni più competitive; in questo modo, si sarebbe riusciti a emergere dalla crisi. Nella pratica, invece, i bassi salari e la sempre maggiore disoccupazione provocheranno una flessione dell'attività economica e delle entrate fiscali, e tale manovra, messa in atto per uscire dalla crisi, impoverirà in modo permanente i cittadini.
Il governo lettone ha tagliato gli stipendi del settore pubblico del 25%, il salario minimo del 20% [ii], lo stipendio degli insegnanti è stato ridotto della metà, le pensioni del 10% e ha ritardato l'età pensionabile, anche se l'aspettativa di vita in Lettonia (65 anni) è di 2,9 anni inferiore alla media dell'Unione Europea. Alla fine dell'estate del 2009 erano stati chiusi una trentina di ospedali pubblici e i pazienti hanno dovuto pagare per il ricovero [iii]. In un solo anno il tasso di suicidi è aumentato del 19% [iv].
Nel 2009 la Lettonia ha avuto il più alto livello di disuguaglianza sociale nella UE [v]. Tre anni prima, quando ancora non era iniziata la crisi, destinava il 12,6% del PIL alla spesa sociale, il livello più basso dell’UE (la cui media era del 26,9% del PIL). Il gettito fiscale della repubblica baltica è di 11,2 punti al di sotto della media europea (29,3% del PIL rispetto al 40,5% del 2008). Ovviamente, la Lettonia non aveva un problema di "eccesso di spesa pubblica" o mancanza di margine per aumentare le entrate.
Ma le autorità lettoni non hanno affrontato la crisi tassando i più ricchi, incrementando il settore pubblico o incentivando la domanda interna. Non hanno nemmeno svalutato la moneta (per abbassare il prezzo dei loro prodotti all'estero e incoraggiare le esportazioni), poiché aspirano ad entrare nell'euro nel 2014, dovendo soddisfare i criteri di Maastricht per il 2012 [vi].
Uno studio condotto dagli economisti Mark Weisbrot e Rebecca Ray sulla svalutazione interna in Lettonia fa un confronto con tredici paesi che hanno svalutato le loro monete per affrontare percorsi di crisi economica tra il 1992 e il 2001. A differenza della Lettonia, che non ha voluto svalutare la propria moneta per poter aderire alla zona euro, gli stati che hanno svalutato le loro valute hanno constatato che, tre anni dopo, i rispettivi PIL erano cresciuti del 6,5% rispetto al periodo precedente alla manovra. Di contro il PIL della Lettonia è diminuito del 21,3%, dopo tre anni dall'inizio della crisi [vii].
È vero che nel 2011 il tasso di disoccupazione lettone era sceso al 14,4%. Ma se non fosse stato per l'emigrazione - pari al 10% della forza lavoro tra il 2009 e il 2011 -, il tasso di disoccupazione avrebbe superato il 20% [viii]. La repubblica baltica sta emergendo dalla crisi con un degrado sociale e un calo della qualità della vita che sicuramente durerà per anni.
Di fronte al modello di svalutazione interna in Lettonia ci si dovrebbe soffermare a esaminare ciò che è successo in Argentina in una situazione simile. La recessione del 1998-2002 portò a un crollo del 21,9% del PIL e fece che la povertà passasse dal 18,2% al 42,3% delle famiglie e che la disoccupazione raggiungesse il 21,5% [ix].
Ebbene, nel dicembre 2001, il governo si rifiutò di pagare il debito e subito dopo svalutò la moneta. Questa misura provocò un calo del PIL di quasi cinque punti nel primo trimestre del 2002, e comportò la perdita degli aiuti dalle banche internazionali e maggiori difficoltà per l’accesso al credito.
Tuttavia, il rifiuto di pagare il debito ha liberato risorse e le ha consentito di poter interrompere l’applicazione delle disastrose politiche economiche imposte dai creditori. Liberatasi dalla tutela del Fondo Monetario Internazionale, l'Argentina ha raggiunto una crescita del 94% del PIL nel periodo 2002-2011, la più alta crescita economica in America [x]. Questo straordinario successo è stato ignorato dai grandi media internazionali, perché era dovuto a politiche economiche di sinistra e anche perché ha portato a uno scontro con i poteri finanziari internazionali.
Nel 2007 la povertà era scesa al 16,3% e il tasso di disoccupazione era pari al 9,6%. Inoltre, i salari reali erano cresciuti del 40,1% negli ultimi cinque anni [xi]. Poi, all'inizio del 2010, era impiegata il 55,7% della popolazione in età lavorativa, il più alto livello mai raggiunto dall'Argentina. La disuguaglianza sociale è diminuita e la spesa sociale è quasi triplicata in termini reali, passando dal 10,3% al 14,2% del PIL [xii].
Sfidando l'ortodossia imposta dai mercati, l'Argentina ha dimostrato che era possibile superare la crisi coniugando insieme una forte crescita economica a un miglioramento significativo delle condizioni di vita. Senza inchinarsi ai poteri finanziari, il paese ha deciso di esercitare la sua sovranità e di applicare politiche economiche di sinistra. Esattamente il contrario di quello che hanno fatto i dirigenti della Lettonia, con risultati economici e sociali estremamente negativi.
La risposta di questi due Stati a gravi crisi economiche dovrebbe farci riflettere. La Spagna dovrà valutare se affrontare la crisi con una redistribuzione interna del reddito, un’espansione del settore pubblico legato allo stato sociale e un incremento della domanda interna, associato al miglioramento delle condizioni di lavoro. Si dovrebbe anche aprire un dibattito sull'opportunità di rimanere nell'euro date le condizioni attuali, perché lo stato non ha la possibilità di ricorrere alla svalutazione della moneta e, inoltre, vengono imposte politiche neoliberiste che stanno avendo effetti recessivi e che finiranno per annullare lo stato sociale, i diritti dei lavoratori e per deteriorare la qualità della vita per molti anni a venire.
In questi contesti, relativamente diversi, paesi come l'Argentina e l'Islanda hanno dimostrato che si possono ribaltare con successo le politiche neoliberiste. Paesi come la Lettonia e la Grecia stanno mostrando invece le gravi conseguenze derivanti dall’insistere con queste politiche fallimentari. Il caso greco inoltre sta generando una forte protesta sociale che sicuramente avrà repliche in altri Stati europei per combattere un modello che impoverisce i cittadini europei. La Spagna ha davanti a sé anni difficili che, se si percorrono con le attuali politiche economiche, daranno luogo a un impoverimento duraturo della cittadinanza e che invece, se si affrontano passando per politiche espansive e redistributive, permetteranno di imboccare il sentiero che porta a un miglioramento della qualità della vita e a evitare un impoverimento permanente.
Fonte ComeDonChisciotte

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